Vite spezzate

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Osservai Ryan Cooper cercando di decifrare la sua espressione. Era fermo sulla soglia, pronto ad andarsene, e mi fissava come se avesse già indovinato il mio carattere, i miei punti deboli e quelli di forza. Le sue parole mi diedero modo di pensare anche a me stesso, come non avevo più fatto da tempo. Avevo lasciato il lavoro al giornale a New York, e l'avevo fatto per Marianne. Dentro di me, però, la luce non si era spenta. Lo sapevo nel modo in cui si sanno certe cose importanti, cose che non hanno bisogno di essere ricordate perché tanto sono sempre lì, nel loro posto riservato, speciale. Le parole di Ryan mi avevano scosso.
Io ero un giornalista. Vivevo nella ricerca della verità. E lo ero diventato perché quella era la mia natura, la mia vocazione. Se ero arrivato ad ottenere tanto successo a New York, era stato perché ero mosso dal mio spirito, dal mio istinto. Così, d'un tratto mi fu incredibilmente chiaro: non avrei lasciato Virginia. Non l'avrei fatto perché in qualche modo quel caso era diventato anche mio.

Feci un passo verso Ryan e guardai l'orologio che aveva al polso. Erano le sette e trenta. Mi era quasi passato di mente, ma avevo un appuntamento per le otto al Cogan's, il pub vicino alla scuola di danza. L'avevo fissato la sera prima.

<<Sto uscendo anche io, Ryan. È sicuro di voler andare? Perché, ecco... beh, sto per incontrare una persona, e mi farebbe piacere se lei venisse con me.>>

Lui mi guardò con espressione interrogativa.

<<Elisabeth Skin. La direttrice della scuola di danza in cui ho rinvenuto il cadavere di Claire Goodway. Ha già parlato con la polizia, ma le ho chiesto se le andava di scambiare di incontrarmi. Ha accettato.>>

<<D'accordo>> disse Ryan <<verrò con lei.>> Poi mi guardò e sospirò <<ma sa che cosa sto per chiederle, vero? Lo sa perché è un bravo cronista.>>

Sorrisi.

<<Mi sta per chiedere di restare fuori dal caso, insieme a tutte quelle altre cose che si chiedono di solito ai giornalisti, giusto?>>
<<Giusto. E so anche che lei mi dirà di sì ma che poi non lo farà, vero?>>
<<Vero.>>
<<Bene. Allora incominciamo a darci del tu, Ethan. Potremmo andare molto d'accordo, noi due.>>

Sorrisi ancora. A pelle, Ryan Cooper mi piaceva. Era un uomo ferito, e si leggeva negli occhi la sofferenza che si portava dentro. Al tempo stesso, però, mi sembrava brillante in un modo diverso. Non era per qualcosa che avesse fatto o detto, perché non aveva fatto ancora nulla. Era per come si muoveva, per il modo in cui parlava, e soprattutto per la luce che aveva negli occhi. La luce di chi, stretto nell'angolo, sta ancora tirando pugni all'avversario sul ring. Più forte di prima.
Mi piaceva, ne ero sicuro.

Uscimmo dal mio appartamento e ci dirigemmo a piedi verso il Cogan's. C'era molto che avrei voluto domandargli: su di lui, sul suo passato, sul caso al quale aveva lavorato, ma evitai. Rimanemmo in silenzio per quasi tutto il tragitto, e dopo una decina di minuti ci ritrovammo di fronte al locale.

Entrammo, ci sedemmo a un tavolo e ordinammo due birre.

<<L'assassino, tredici anni fa, non aveva commesso errori. Mai.>> disse lui, parlando lentamente, senza guardarmi. I suoi occhi erano fissi sul legno del tavolino. <<Nessuna impronta, nessuna traccia. L'unico messaggio che ci aveva lasciato era la mail inviata a me. Quella di cui ti ha parlato Miller. Per il resto, nulla. Tredici omicidi tra il 2003 e il 2006. Poi più niente. Ho trascorso gli ultimi anni a interrogarmi su questo silenzio.>>
Annuii, senza sapere che cosa pensare.
<<Stavo per cercare informazioni sulla prima vittima, Gloria Stewart. Che cosa ricordi di lei, Ryan?>>

Si voltò e appoggiò gli occhi sulla grande vetrata che ci separava dalla strada.

<<Era una ballerina molto brava, piuttosto famosa. Era originaria di Virginia. Sappiamo che da lei è partito tutto. L'orrore è incominciato con la sua morte. Ricordo una città nel panico. Perché Virginia era sempre stato un posto tranquillo, abitato da persone tranquille. Lavoratori e studenti. Pochi crimini, pochi reati, pochi disordini. Ma dopo Gloria Stewart è cambiato qualcosa. Di colpo nessuno si è sentito più al sicuro, perché all'epoca il caso fece scalpore e i media scrissero di tutto.>>

Posai anch'io lo sguardo sulla strada, all'esterno. Adesso, era quasi deserta.

<<Vorrei ripartire da lei, Ryan. Dai suoi famigliari, se ancora ci sono. Se ancora vivono qui.>>

Lui annuì, poi terminammo insieme le nostre birre e lui fece cenno alla cameriera di portarne altre due.

<<È esattamente ciò che avevo intenzione di fare anch'io, Ethan.>>

Era strano. Mi sembrava di essere in sintonia con quell'uomo. Mi sembrava di capire la sua solitudine e il suo malessere, anche se non li avevo provati sulla mia pelle. Mi ritrovai a pensare alle vite spezzate. Quella di Ryan, quelle delle vittime, quelle delle famiglie. E sentii un'euforia incredibile farsi strada all'improvviso dentro di me, in profondità. L'assassino mi aveva minacciato. Aveva minacciato la ragazza che amavo. Ero lì, fermo oltre la linea di confine che non avrebbe dovuto essere superata; quella oltre la quale poi tornare indietro sarebbe stato impossibile, e lo sapevo, lo sentivo. Conoscevo quella sensazione. Ma era come se il reporter di nera famelico, determinato, ambizioso che era in me fosse saltato fuori dal nulla senza chiedermi il permesso. Per qualche ragione, mi stava bene.

Stavo per dire qualcosa, quando vidi la porta del Cogan's aprirsi e riconobbi Elizabeth Skin, la direttrice della scuola di danza con cui avevo appuntamento, ferma sulla soglia.

Anche lei mi vide e si diresse verso il nostro tavolo.

La ballerinaWhere stories live. Discover now