A guardare le stelle che non c'erano

1.4K 153 45
                                    

Era uscito per raggiungere Browntown Park, il giardino non distante da dove abitavano. La notte buia, immobile. Gli alberi spogli, i giochi di ombre che creavano sotto i colpi forti del vento.

Ryan che correva, disperato. Ansimava, si fermava, si guardava intorno, poi riprendeva a respirare piano.

Intorno soltanto tenebre.

Quella voce che risuonava incessante nella sua testa. Come un'ossessione infantile. Un luogo senza vie di fuga. La storia di un destino già scritto, quello dell'ennesima vittima.

<<C'è qualcuno che ti aspetta ai giardinetti, Ryan. Vai a vedere.>>

I suoi occhi si muovevano all'impazzata nel buio. Poteva sentire sulla pelle l'affanno, l'angoscia, la profonda sensazione di impotenza.

E poi quella panchina, in mezzo a due pini.

La ragazza seduta. La vedeva di spalle, da lontano. Anima solitaria in mezzo al buio. La testa era rivolta verso l'alto. E passo dopo passo, mentre si avvicinava a lei, Ryan continuava a risentire quella frase, ancora e ancora e ancora, senza tregua.

<<C'è qualcuno che ti aspetta ai giardinetti, Ryan. Vai a vedere.>>

Silenzio. La panchina sempre più vicina. La ragazza sempre più vicina. La fine sempre di tutto sempre più vicina.

<<C'è qualcuno che ti aspetta ai giardinetti, Ryan. Vai a vedere.>>

Il suo vestito bianco. Il silenzio che sapeva di vuoto infinito.

I suoi passi ora pesanti, tremanti che, istante dopo istante, lo avvicinavano sempre di più a lei.

La testa della ragazza rivolta all'indietro, lo sguardo puntato contro il cielo.

Sembrava che stesse guardando sopra di sé le stelle che non c'erano.

<<C'è qualcuno che ti aspetta ai giardinetti, Ryan. Vai a vedere.>>

Non aveva ancora guardato il suo volto, ma lo sapeva.

Lo sapeva, poteva essere soltanto ciò che credeva. Poteva essere soltanto la sua vita che, dopo quella notte, sarebbe andata in pezzi per sempre.

E adesso, alla fine, li poteva vedere.
Gli occhi della ragazza.
Gli occhi di sua figlia.

Erano proprio loro. Quelli che aveva amato dal primo secondo in cui li aveva visti. Ed erano aperti, a contemplare il cielo. Spenti, adesso.
Vuoti, immobili.

La gola tagliata. Il sangue, tutto quel sangue, che macchiava il bianco il vestito che indossava. Il trucco sul suo viso. Il rossetto. La cipria.

<<C'è qualcuno che ti aspetta ai giardinetti, Ryan. Vai a vedere.>>

Si sedeva accanto a lei, su quella panchina fredda.

Le stringeva una mano, poi vomitava. Lasciava che il dolore uscisse. Non usciva. Continuava a trafiggergli il cuore. Una lama che andava giù, nel profondo, rubando per sempre ciò che restava della sua vita. No, Ryan. Non più vita. Esistenza.

Si lasciava scivolare a terra, sull'erba fredda, davanti alla panchina. Il suo viso cadeva ai piedi di sua figlia, davanti alle scarpe bianche, a punta, da danza classica.
Gliele aveva messe l'assassino, perché lei non ne aveva mai avute. Lei non era una ballerina. Non lo era mai stata.

L'aveva uccisa per lui.

Perché lui era l'uomo che gli stava dando la caccia. Ed era vicino, forse.

Ryan si rialzava, tornava a fissare il volto di sua figlia Melissa, poi si sedeva di nuovo sulla panchina, il viso rigato di lacrime.

La guardava, ancora una volta.

Ancora per una volta, l'ultima nella sua vita, si perdeva nei suoi occhi.

Continuavano a fissare le stelle che non c'erano.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora