Cosa ricordi?

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<<Ricominciamo da capo, Lyla.>>

La guardai. Era seduta sul letto, la testa appoggiata al cuscino, gli occhi chiusi.

Erano trascorse diverse ore da quando l'avevamo portata all'ospedale.

<<Parlami ancora dei rumori.>>

Rimase qualche istante in silenzio. Scosse la testa, come se fosse in preda a uno stato di confusione troppo difficile da gestire. Poi mi rispose.

<<La stanza era buia. Ricordo il freddo. Mi sembra di sentirlo ancora addosso, sulla pelle. Durante il tragitto... Quando lui mi ha rapita... Non ricordo nulla del viaggio. Mi sono risvegliata dentro la stanza. Ero già seduta sulla sedia. Avevo una benda sugli occhi.>>

<<Una benda?>>

Lyla annuì.

La porta della camera dell'ospedale si aprì e sulla soglia comparve Ryan Cooper.

Lasciai qualche istante Lyla da sola, poi gli spiegai brevemente ciò che avevo appena sentito da lei. Ma lui voleva che fosse Lyla a raccontarglielo, così tornammo in camera e le chiesi di ricominciare da capo, ancora una volta.

Un infermiere entrò e ci disse che avevamo pochi minuti, perché doveva riposare. Lyla incominciò a raccontare.

<<La benda... Ricordo la benda sui miei occhi. Non riuscivo a vedere nulla. Soltanto il buio. Ma lo sentivo. Potevo sentire il suo respiro vicino a me. L'odore del suo fiato.>>

La voce le tremava. Teneva gli occhi chiusi.

<<Che cosa ha fatto poi?>>
<<Mi ha tolto la benda. Subito ho fatto fatica a capire che cosa ci fosse intorno a me. Dove mi trovassi. Non riuscivo a riconoscere e distinguere i colori. Ero rimasta al buio per troppo tempo.>>
<<E poi? Lui com'era, Lyla? Che aspetto aveva?>> domandò Ryan, sedendosi sul letto accanto a lei e prendendole una mano.
Lei scosse la testa. Sul volto aveva un'espressione terribile di sconforto, impotenza.
<<Non lo so. Io... Io non lo so. Aveva un cappuccio sul viso... Ricordo i suoi occhi azzurri. Ma nient'altro.>>
<<Sforzati, Lyla. Com'era? Alto, basso, magro, robusto... Saresti in grado di descriverlo per ciò che sei riuscita a vedere?>>

Lei sembrò pensarci qualche istante, poi, lentamente, le parole iniziarono ad uscire.

<<Lui... Lui era alto. Sì, abbastanza alto.>>
<<Alto quanto?>> la incalzò Ryan.
<<Non lo so, parecchio. Uno e ottanta, forse. Un po' di più.>>
<<E poi?>>
<<Poi... Magro, ma non esile. Un fisico asciutto. Sembrava forte.>>

Ryan annuì e le si avvicinò ancora.

<<Stai andando benissimo, Lyla. Poi? Che cosa ha fatto dopo? È rimasto lì con te?>>
<<Sì.>>
<<Che cosa faceva?>>
<<Niente. Restava immobile davanti a me. Mi fissava. Si avvicinava e poi... Poi mi respirava addosso. Potevo sentire il suo fiato, era così vicino... >>
<<Ti ha fatto del male? Ti ha costretta a fare qualcosa?>>
Lyla scosse la testa, con un gesto stanco.
<<Mi ha costretta ad inviare quel messaggio vocale a lui>> disse sottovoce, indicandomi <<ma non mi ha fatto del male. Restava immobile di fronte a me, e mi guardava. Ed era questa la cosa più spaventosa. Il modo in cui lui mi fissava. Poi si avvicinava alle pareti, ogni tanto, dove c'erano le fotografie di tutte quelle ragazze morte.>>
<<Che cosa faceva?>> chiese Ryan.
<<Lui... Fissava anche loro. Restava immobile. Anche per tanto tempo. Rimaneva fermo a guardarle. Come se stesse parlando con loro, nella sua testa. Non lo so. Avevo troppa paura per pensare a lui..>>
<<E poi?>>
<<Poi si avvicinava di più a quelle immagini, sembrava che le annusasse, o qualcosa del genere.>>

Mi avvicinai anche io a lei. Continuava a tremare. Mi sedetti sul letto accanto a Ryan e la guardai negli occhi.

Era incredibile che fosse sopravvissuta. Ma l'assassino l'aveva lasciata andare soltanto per un motivo.

L'aveva fatto per me.

Per farmi capire che cosa sarebbe successo a Marianne. Per farmi vedere quanto fosse forte, e quanto io fossi impotente di fronte a lui. Ryan era l'esempio di come una vita perfetta potesse crollare in pezzi all'improvviso.

Pensai che una volta fuori da lì avrei raggiunto Marianne a casa. Sapevo che non era sola, che c'era un altro uomo con lei, ma sentivo il bisogno di vederla.

Prima però volevo che Lyla dicesse a Ryan ciò che aveva detto a me. Ciò che aveva sentito.

<<Diglielo, Lyla. Digli che cosa hai sentito quando lui era in silenzio di fronte a te.>>

Ryan la guardò, poi guardò me con aria interrogativa. Gli avevo detto al telefono che forse avevamo un dettaglio sul quale lavorare, ed ero fermamente convinto che fosse davvero così.

Lyla abbassò lo sguardo verso il pavimento, quindi riprese a parlare, sottovoce, ad occhi chiusi.

<<Lui non diceva nulla, restava davanti a me, ed io... All'inizio non capivo, ma poi diventava sempre più chiaro, nel silenzio di quella stanza così umida, così fredda.>>

<<Che cosa?>> chiese Ryan.

<<Il rumore che sentivo provenire da qualche parte in lontananza. Ovattato... Lontano, sì, ma anche così chiaro. Così nitido.>>
Si interruppe, riaprì gli occhi e guardò il detective.

<<Sembrava il rumore del traffico di una grande strada. Un'autostrada o una superstrada. Era... era lontano e vicino al tempo stesso.>

Smise di parlare, ed io guardai Ryan. Ebbi come l'impressione che, sul suo viso, si fosse accesa per la prima volta una scintilla. Una luce.

Forse, avevamo davvero un punto di partenza, adesso. Una traccia reale, un indizio concreto da cui partire.

<<Cerca di descrivermi ancora una volta l'ambiente in cui ti trovavi, Lyla>> le disse Ryan, stringendole nuovamente la mano. <<Tutto. Voglio sapere tutto. Ogni singolo dettaglio. Il clima, gli odori, i colori di quella stanza.>>
Si fermò, la guardò negli occhi.
Lei, però, sembrava lontana adesso.
Assente.

<<Credevo che sarei morta>> disse Lyla sottovoce, in un sussurro improvviso.

I suoi occhi, che ora sembravano spenti, fissavano un punto indistinto oltre le nostre spalle.

La sua voce non aveva inflessioni. Nessuna emozione.
Il vuoto più totale.

In quel momento mi resi conto che dalla stanza dell'assassino forse Lyla non sarebbe mai più uscita davvero.

<<Ero morta>> ripeté, sottovoce.

<<Ero morta.>>

La ballerinaWhere stories live. Discover now