Mettere insieme i pezzi

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Il taxi che mi stava conducendo all'hotel in cui alloggiava Ryan correva veloce nella notte di Virginia. Guardai l'ora. Quasi le quattro. Mi domandai più volte se non sarebbe stato meglio aspettare l'indomani mattina, e la risposta che mi diedi fu sempre negativa.
Non avevamo tempo. Nessuno di noi lo aveva.


Avevo capito dove avessi già visto quel ciondolo. Era stata una frazione di secondo: all'improvviso tutto mi era diventato chiaro. L'immagine si era stampata con nitidezza incedibile nella mia testa, ed era ancora lì, indelebile.
Riuscivo a rivedere con estrema chiarezza anche il volto della persona che teneva il ciondolo tra le mani.

Guardai fuori dal finestrino la neve che aveva incominciato a cadere leggera sulla città paralizzata, senza colori, senza nessuno per le strade.

E ancora, gli occhi dell'uomo che teneva quel ciondolo tra le mani. Il suo sguardo freddo, apatico.

<<Signore, siamo arrivati.>>


Pagai il tassista e lo ringraziai, poi entrai nell'hotel in cui alloggiava Ryan e mi guardai intorno.
Più che un hotel era un albergo da pochi dollari a notte.
Non c'era nessuno alla reception.
Suonai il campanello più volte e dopo qualche minuto un uomo dall'aria stanca e dallo sguardo assonnato si materializzò di fronte a me.

<<Come posso esserle utile?>>
<<Sto cercando una persona che alloggia qui. Si chiama Ryan Cooper.>>

L'uomo mi chiese un documento e poi compose un numero di telefono. Parlò sottovoce e disse qualcosa che non riuscii a sentire, poi fece un cenno di assenso con la testa, rivolgendosi a me.

<<Camera 306, terzo piano>> mi disse, senza aggiungere altro.

Mi diressi verso l'ascensore e salii.

Ryan mi aspettava in piedi di fronte alla porta della stanza. Aveva lo sguardo fisso su di me e l'aria stropicciata, più di quando poco prima aveva lasciato il mio appartamento.

<<A quanto pare non riesci proprio a separarti da me, ragazzo>> mi disse.
<<Già>> risposi, indicando con un cenno del capo l'interno della sua stanza.
<<Ma credo di avere scoperto qualcosa, Ryan.>>

Mi guardò. Probabilmente si stava domandando come avessi fatto a scoprire qualcosa se fino a pochissimo tempo prima eravamo insieme nel mio appartamento, a parlare di come le nostre vite stessero cadendo in pezzi.

Ci sedemmo davanti al piccolo tavolino che era attaccato ad una parete della stanza. Tirai fuori dalla tasca del cappotto la bustina di plastica che conteneva il ciondolo e gliela porsi.

<<Ti ho già parlato di questo ciondolo>> gli dissi, <<e disgraziatamente non l'ho ancora consegnato a Miller.>>
Ryan sgranò gli occhi, incredulo.
<<Ti ucciderà per questo, Ethan. È una prova. Potrebbero esserci delle impronte, sopra. Devi consegnarlo subito e..>>
<<Lo so, lo so, lo farò domani mattina. Sono successe così tante cose in questi giorni e all'improvviso mi sono dimenticato di averlo nella tasca del mio cappotto. Ma il punto non è questo, Ryan. Osserva bene il ciondolo. L'assassino l'ha perso quando ci siamo scontrati quella notte di fronte alla scuola di ballo. Osservalo con attenzione.>>

Ryan si alzò, si diresse verso il comodino accanto al letto, aprì il secondo cassetto e tirò fuori una pistola e un paio di guanti neri. Se li infilò e riprese la busta di plastica tra le mani. Fece uscire delicatamente fuori il ciondolo e lo avvicinò agli occhi. Lo accarezzò, sfiorando con le dita le due mezze lune incise che si incrociavano formando una sorta di croce obliqua.

<<Non mi sembra un ciondolo in produzione su larga scala, Ryan. A me sembra un ciondolo che è stato disegnato e fatto su misura da qualcuno. Al di là della catenina d'argento... la superficie con le due mezze lune che si incrociano, il modo in cui sono state incise in profondità... non mi sembra un oggetto che potrei acquistare in un negozio.>>

Ryan annuì, continuando ad osservarlo.

<<Sono d'accordo>> disse, <<sembra un ciondolo fatto su misura. Su richiesta.>>
<<Ma non è tutto>> continuai, con una sorta di eccitazione nella voce <<io avevo l'impressione di averlo già visto, in passato, soltanto che non ricordavo quando, come o dove. Ma adesso sì, Ryan. Adesso ricordo.>>
Mi guardò, incastrando gli occhi nei miei.
<<Dove l'hai visto?>>
<<È stato dieci anni fa, circa. Ero ancora un ragazzino. Non scrivevo ancora per il Times di New York, ma lavoravo per un piccolo quotidiano locale. Conoscevo Marianne da tre anni, più o meno. Ci trovavamo qui a Virginia, dai genitori di lei. Ero uscito a comprare qualcosa e stavo ritornando a piedi verso il loro appartamento. Ricordo di avere attraversato il JFK Park, poco distante dal centro. Era buio, c'era silenzio. All'improvviso sentii delle urla. Era una ragazza, avrà avuto più o meno diciotto anni. Qualcuno meno di me. Comunque, c'era un uomo accanto a lei, stavano litigando. Pensai a una discussione tra fidanzati, o qualcosa di simile, così lì per lì non diedi importanza al fatto. Li avevo superati da un pezzo ormai, ed ero abbastanza distante da loro quando la ragazza urlò una seconda volta, in modo più disperato, però. E poi una terza, una quarta.
Così mi fermai e tornai indietro di corsa. L'uomo che le era accanto le stava stringendo le mani intorno al collo.
Gridai qualcosa, ma lui sembrava non accorgersi di me, come se non esistessi. Allora mi scagliati contro di lui e lo feci cadere a terra.>>

Ryan mi ascoltava attento, assorbendo ogni singola parola.

<<E poi?>>
<<Poi gridai alla ragazza di chiamare la polizia, perché l'uomo sembrava non riuscire a calmarsi, come se fosse in preda a un delirio, o qualcosa di simile. Cercò di colpirmi con violenza, ma evitai il colpo. Gli tirai un pugno sul viso. Ero un giornalista in erba ma ero anche una testa calda. Sapevo fare a botte. Così lo colpii più volte, senza fermarmi, fino a che lui non si arrese. Pochi minuti dopo un paio di agenti erano arrivati sul posto.
Lo perquisirono e lo trovarono in possesso di un coltello da caccia. Lo arrestarono, ci fu un processo ed io fui chiamato a testimoniare.>>
<<E questo cosa c'entra con il ciondolo?>> chiese Ryan, accendendo una sigaretta.
<<Al processo, il giorno in cui salii sul banco dei testimoni e raccontai quanto era accaduto, lui era lì, seduto a poca distanza da me. E mi guardava, dritto negli occhi. Aveva un'espressione persa, lontana. Come se non provasse alcuna emozione. Io parlavo cercando di evitarlo, ma non vi riuscivo sempre. Ricordo quella scena come se fosse ieri. Lui che seduto di fronte a me mi fissava e giocherellava con quel ciondolo. Lo stringeva tra le mani, accarezzava le due lune incagliate sulla superficie, toccava la catenina d'argento. E mi fissava.
Quando l'udienza terminò io mi diressi verso l'uscita del tribunale e gli passai accanto. Teneva ancora quel ciondolo tra le mani e riuscii a vederlo bene, benissimo. Mi rimase impressa l'immagine delle lune che si incastravano andando a formare quella specie di croce storta.
Uscii dall'aula ma prima di farlo mi voltai un'ultima volta verso quell'uomo.

Mi stava ancora guardando. Era immobile, e tra tutte le persone presenti lì dentro, fissava me.>>

Ryan sospirò, piano. Spense la sigaretta. Io, a raccontare quella storia che credevo di avere rimosso, provai una sensazione improvvisa di sconforto.

<<Ricordi il nome di quell'uomo?>> mi chiese, alzandosi. La sua voce rtremava.

Si avvicinò alla porta a vetri che dava al balcone della camera d'albergo, scostò le tende e rimase immobile ad aspettare la mia risposta, mentre i suoi occhi azzurri si perdevano nella notte che in silenzio si stava trasformando in mattina.

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