Il ritrovamento del corpo

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Non ero pronto. Nessuno lo è mai.


Crediamo sempre di essere forti, di essere grandi. Di avere un'età che, grazie alle esperienze del passato, ci rende in qualche modo immuni a ciò che la vita ha in serbo.

Non è così. Anche quando vogliamo convincere noi stessi che lo sia, non lo è.

La testa fissa contro la parete. Le braccia e le gambe allargate, come a formare una enorme croce.

E sappiamo che dopo l'autunno arriva sempre la primavera. Le foglie degli alberi tornano a riflettersi nel sole del mattino. Il verde colora i prati, i giardini, i parchi dove i bambini hanno ripreso a correre e giocare.
Gli amori nuovi fioriscono all'improvviso.

Il suo corpo inchiodato allo specchio, ogni arto fissato a una delle quattro estremità.
Il suo volto a fissare senza espressione chiunque si ritrovi davanti a lei. Me.

La pioggia in primavera ha un odore diverso. Simile a quello della ruggine. Lava il grigio della città, pulisce le strade e i pensieri.
Mi era sempre piaciuto camminare con Marianne sotto la pioggia, nei nostri pomeriggi da innamorati. Quando ancora pensavo a darle ciò che voleva. Ciò che meritava.

Il sangue che cade da tutte le ferite sul suo corpo, e crea un'enorme macchia rossa sotto di lei.
Un lago di sangue. Il rosso è ovunque.

Che cosa è più importante, allora? Una vita in due, alla ricerca di un momento che sia perfetto, soltanto nostro, e che poi rimanga nel tempo, o una vita da soli, alla ricerca della verità, del successo personale, della luce?


Tutto ha un prezzo. Nel mondo frenetico in cui viviamo, nessuno ci regala niente. Siamo soltanto noi a costruire il nostro futuro. Diamo e prendiamo. Abbiamo delle priorità. Scegliamo che cosa viene prima e che cosa viene dopo.


Perché avevo lasciato che Marianne scivolasse via da me? Perché avevo mollato la presa? Quando era successo, di preciso?

Gli occhi, aperti e morti, a contemplare il nulla. Ma fissavano me. Non avevano pace. Come gli occhi di Claire Goodway. Sembravano sereni, ma era una bugia, una menzogna. Erano gli occhi di una morta, ormai.

Il suo corpo inchiodato allo specchio rendeva concreta una sensazione che non era tangibile: l'impotenza.
Non c'era nulla che potessimo fare, ormai.
Per lei era finita, per sempre.

Le serate al cinema con Marianne. Un film, un abbraccio improvviso, la sua testa che scivolava contro il mio collo nel buio della sala. Le sue dita che si intrecciavano con le mie. Il suo respiro. Il modo in cui lei sapeva ridere.

Il bagno della scuola di danza era così freddo, e lei vestita di bianco.

Come una ballerina.

Indossava le scarpe ai piedi, quelle a punta.
Due colori. Il bianco del vestito, candido, e il rosso del suo sangue. Scuro, andato, perduto.

Quando avevo lasciato che tutto cadesse in pezzi? Quando avevo deciso di essere così egoista con lei? Come mi ero permesso di credere, a un certo punto, che il mio mondo fosse più importante del suo?

La gola era stata squarciata da un taglio profondo come l'inferno. La sua testa non ricadeva verso il basso perché il grosso chiodo che le era stato piantato in mezzo alla fronte e poi conficcato nel muro la sorreggeva, in modo che lei potesse guardarci. Fissarci, per la vita.

<<Come sarebbe a dire che non mi ami, Marianne?

<<Ti amo appena appena. È diverso. È pur sempre amore, non credi, Ethan Welback?>>

<<Appena appena, eh? Ti costerà caro, lo sai?>>

<<Oh sì. Ma costerà più a te, Ethan Welback.>>

Ed entrambi a ridere, come due adolescenti. Come due che si amano più di tutti gli altri.

I passi di Miller e Ryan si avvicinavano al corpo inchiodato alla specchio, dilaniato.
Il gelo di quel bagno mi entrava nel sangue, nel cervello e nel cuore.
ancora una volta, la guardavo.

Non era Marianne.

Era una ragazza che non avevo mai visto prima.

Adesso sapevo che cosa stavo perdendo. Soprattutto, sapevo che non avrei avuto una seconda occasione.

La ballerinaWhere stories live. Discover now