Nella stanza dell'orrore

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L'ospedale. Le visite. Tutti i controlli. La notte che sembrava eterna.

Lyla Strokes aveva diciannove anni. Qualche contusione sul corpo, qualche segno sul volto e un senso d'inquietudine che, con ogni probabilità, non l'avrebbe mai più abbandonata.

Mai, per tutta la vita.

I genitori ci avevano raggiunti al Virginia Hospital non appena avevano ricevuto la telefonata del detective Hart Miller. Erano rimasti in camera con lei per tutto il tempo.

Lyla era scomparsa da casa la sera precedente. La segnalazione era stata inoltrata alla polizia soltanto il mattino successivo, quando Kenneth e Sue, il padre e la madre, si erano resi conto che non era rientrata. L'avevano chiamata, poco prima di accorgersi che aveva dimenticato il cellulare a casa. Quindi, dopo essersi accertati che non fosse con nessuna delle amiche che era solita frequentare, si erano rivolti alla centrale, perché Lyla non era una persona impulsiva o incosciente. Non aveva mai trascorso una notte fuori senza avvisare.

Io, Ryan e Miller eravamo in sala d'attesa. Aspettavamo di poter parlare con lei.

Più Miller che Ryan ed io, a dire il vero. Era lui l'unico autorizzato. Ma Ryan era stato il suo partner tanti anni prima nonché il suo migliore amico, ed io ero con Ryan, quindi, quando fu il momento, ebbi il permesso di essere presente.

Entrammo tutti e tre nella piccola stanza d'ospedale e ci sedemmo accanto al suo letto.

<<Come stai, Lyla?>> le domandò Miller, con delicatezza.

Lei non rispose. I suoi occhi, fermi contro il soffitto, erano inespressivi. Il suo viso era pallido, e il fisco esile la faceva sembrare ancora più giovane di quanto non fosse.

<<Riesci a sentirmi, Lyla? Ti va di parlare? Soltanto qualche minuto.>>

Lei continuò a non rispondere.

Guardai Miller e riconobbi sul suo volto un'espressione sconsolata, sofferta.
Sugli occhi di Ryan, invece, c'era il fuoco.

<<Ethan>> disse la ragazza, rivolgendo lo sguardo verso di me.

Mi avvicinai a lei dopo che Miller, con un cenno del capo, mi ebbe dato il consenso.

<<Sono qui, Lyla. Come ti senti?>>
<<Ho paura. È tutto così buio. La luce, per favore... Non spegnere più la luce.>>

Ryan e Miller mi guardarono, con aria cupa.

<<No. Nessuno spegnerà la luce. Va tutto bene. Sei al sicuro.>>

Lei tornò a fissare il soffitto bianco della camera.

<<Le loro gole... Le potevo vedere... Così da vicino. Le vedo ancora. Sono aperte. Da una parte all'altra. E i loro occhi... Loro lo stanno guardando.>>

<<Dov'eri, Lyla? Cosa riesci a ricordare? Avevi già visto quel posto?>>

Lei scosse lentamente la testa.

<<Non lo so. Non ho visto nulla. Soltanto buio. Poi una stanza. Le fotografie alle pareti, lui in piedi di fronte a me.>>

Parlava lentamente, scandendo tutte le parole.

<<Sei riuscita a vederlo?>> le chiesi, con naturalezza, senza dare peso a ciò che stavo dicendo.

<<No. Lui...Aveva il volto coperto. Indossava una maschera, o un cappuccio forse...Non lo so, sono ancora...>>

<<La stanza com'era?>>

<<Fredda. Piccola. Potevo vedere le fotografie. Sulle pareti, su tutte le pareti. E di ogni dimensione.>>

Si interruppe, poi mi guardò negli occhi.

<<Io le vedo ancora. Quelle immagini. Sono sul tuo viso. Sul suo>> disse, indicando Ryan <<sul suo...>> indicando Miller, <<le vedo così bene.>>

Si interruppe, poi dopo qualche secondo ricominciò a parlare.

<<Mi sta chiedendo di ballare per lui, ma io non sono brava. Dice che merito di morire. Merito di morire urlando dal dolore, e poi mi viene vicino. Prende il telefono e ...>>

Conoscevo il seguito. Il messaggio vocale indirizzato a me. Ma perché? Continuavo a non capire per quale ragione la sua attenzione fosse incentrata su di me in quel modo. Non aveva senso.

<<Mi dice ciò che devo dirti, e ripete che devo essere brava. Altrimenti mi taglia la gola, lentamente, da un lato all'altro.>>

<<Che cosa fa, poi? Te la senti di continuare a parlare?>>

Lei annuì. Il suo volto era stanco, segnato. La voce le tremava sempre di più.

<<Lui si muove nella stanza, mentre io registro il messaggio. Cammina da una parte all'altra e poi si appoggia a una parete, sfiora con i guanti le fotografie che sono appese. Si ferma davanti ad una di loro e...>>

Si interruppe, come se le parole non volessero più uscire.

<<E poi che cosa fa?>> le chiesi, prendendole una mano nella mia.

<<Non lo so. Le respira vicino. Lo posso sentire. Poi la bacia, come se stesse baciando una persona.
Sussurra qualcosa che non capisco, poi torna da me. Mi domanda se sono stata brava.>>

Lyla si bloccò ancora, poi il pianto interruppe definitivamente quei ricordi.

Mi avvicinai a lei il più possibile, mi sedetti sul suo letto. Le accarezzai lentamente il viso, i capelli.

<<Va tutto bene, Lyla. È tutto finito, adesso. Sei con noi. I tuoi genitori sono qui fuori. Sei al sicuro. Nessuno ti farà più del male.>>

Rimase in silenzio per qualche istante, poi si staccò da me all'improvviso.
Mi guardò diritto negli occhi, e per la prima volta mi sembrò di riconoscere un bagliore di lucidità in lei.

<<Dice che tu devi capire, Ethan>> sussurra, avvicinandosi al mio orecchio. <<Lui dice che tu devi comprendere. È sicuro che prima o poi ci riuscirai; ripete che ne è convinto.>>

La guardai.

<<Devo capire che cosa?>>

Lei scosse la testa.

<<Non l'ha spiegato. Ma ha detto che è per questo che sono viva. Perché tu possa vedere quanto è grande. Quanto potere ha su di me, su di te. E... su Marianne.>>

Sentii il sangue gelarsi nelle vene.

<<Che cosa?>>

<<Ha parlato di Marianne. Ha voluto che la nominassi nel messaggio vocale che mi ha fatto registrare. Lui... lui dice che Marianne è il prezzo che tu dovrai pagare. Ripete che...>>

La guardai più da vicino, lasciando che i miei occhi sconvolti si perdessero nei suoi.

<<Lui dice che imparerete a nuotare insieme. Nel sangue. Nel sangue di Marianne.>>

La ballerinaWo Geschichten leben. Entdecke jetzt