Rivedendo Karen

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Ryan Cooper chiuse la cartellina che conteneva i fascicoli e la ripose nel cassetto in cui l'aveva trovata.

Si strofinò gli occhi, accese una sigaretta, prese un paio di pillole dal tubetto che teneva sempre con sé nel giubbotto e le mandò giù.

Tirò fuori dalla tasca il cellulare e scorse la rubrica.

I suoi occhi si fermarono quando arrivò al numero di Karen.

Avrebbe voluto telefonarle, ma non lo fece. Lasciò l'ufficio di Miller, attraversò la centrale senza salutare nessuno e chiamò un taxi.

Quindici minuti dopo era davanti a casa di lei, quella in cui si era trasferita dopo che si erano separati.

Adesso lei conviveva con Mick, un suo collega alla Virginia University, dove lavorava. Erano entrambi docenti di diritto, e avevano iniziato a frequentarsi un paio di anni dopo il divorzio da Ryan.

L'ex detective suonò il citofono, sperando di trovarla.

<<Chi è?>> domandò lei.
<<Sono Ryan.>>

Ci fu un attimo di silenzio che gli sembrò eterno, quindi sentì il rumore del portone che si apriva.

Entrò in ascensore e si guardò nello specchio. Aveva un aspetto terribile. Occhiaie profonde, barba incolta, rughe ben visibili.

Arrivò davanti all'ingresso dell'appartamento e la trovò immobile sulla soglia.

Era bellissima, come la ricordava.

I capelli lunghi e biondi le scivolavano sulle spalle, e sembrava almeno dieci anni più giovane dei quarantadue che aveva.

Si guardarono negli occhi senza dire nulla, poi lei lo abbracciò.

<<Ciao, Ryan.>>
<<Ciao, Karen.>>

Si rese conto, in quell'abbraccio, di quanto gli fosse mancata durante tutto quel tempo.

Lo sapeva, l'aveva sempre saputo, ma non l'aveva mai davvero realizzato.

<<Entra>> gli disse lei, dandogli le spalle e facendogli strada all'interno dell'appartamento.

Lui la seguì in soggiorno e si sedette sul divano. Lei gli si sedette accanto.

<<Ne è trascorso di tempo dall'ultima volta in cui ci siamo visti>> gli disse, esitando.

Lui annuì e ripensò a quando le loro strade si erano separate. Al giorno in cui se ne era andato da Virginia.

<<Sì>> disse <<ne è trascorso. Ma io... So che è colpa mia, Karen. Me ne sono andato e non sono più tornato. Non da te, almeno. Per un po'... Ho pensato di poter andare avanti senza dover rivivere ogni giorno quella notte.>> Scosse la testa, si guardò le mani. <<Poi mi sono reso conto che non è possibile, che non lo sarà mai. E quando mi hai chiamato per dirmi di questo nuovo omicidio...>> scosse la testa, esitò. <<Non lo so, Karen. Si è acceso qualcosa dentro di me. Ho ripensato a te ogni giorno, e sono qui perché credo di non essermi mai scusato per il modo in cui me ne sono andato.>>

Lei sospirò, lo guardò negli occhi azzurri, a fondo.

<<Non ti devi scusare con me, Ryan. Non ti giudico per ciò che hai scelto di fare. Forse hai avuto ragione tu a cambiare vita. Io non lo so, davvero.>>

<<Non è servito a nulla. La ferita è rimasta dov'era. Ho mandato in pezzi ciò che eravamo e avrei voluto che fosse andata diversamente. Poco fa ho ripreso in mano i fascicoli del caso e...>>

<<Perché sei venuto qui da me, Ryan?>>

Lui scosse la testa, in silenzio.

<<Non lo so.>> La guardò, chiuse gli occhi per un istante e poi li riaprì. <<Sono qui soltanto perché avevo voglia di rivederti, Karen. Nessuno più di te può capire ciò che sento. Mi sei mancata.>>

Lei sorrise, ma era un sorriso pieno di malinconia. Era l'uomo che più di ogni altro aveva amato, ed era davanti a lei, e le stava dicendo che lei gli era mancata. Karen era una donna intelligente, sensibile. Aveva rispettato la sua decisione di andarsene quando il mondo era crollato addosso alle loro vite, e adesso che per la prima volta dopo tanti anni lo rivedeva non sapeva che cosa pensare.

Stava per dirgli qualcosa, poi il telefono di lui suonò, interrompendo quel momento.

<<Scusami>> disse Ryan, guardano il nome sul display <<devo rispondere.>>

Lei annuì.

<<Ciao, Ethan. Dimmi.>>
<<Ryan, sono ancora con Lyla, all'ospedale. Ho parlato con lei e forse... Forse abbiamo un indizio, Ryan. Mi ha detto qualcosa. Riesci a raggiungermi?>>

Ryan sentì una vibrazione farsi strada dentro di sé.

Era adrenalina, era rabbia, era la voglia di incendiare il mondo.

Era la luce che in profondità non aveva mai lasciato si spegnesse. Mai, neanche nei momenti peggiori.

<<Sto arrivando, Ethan. Aspettami lì.>>

Si alzò dal divano, guardò Karen con l'espressione di chi avrebbe avuto ancora tanto da dire, poi si avvicinò alla porta.
Uscì e chiamò l'ascensore apprestandosi a salutare l'ex moglie.

<<Chi era?>> gli domandò lei.

Lui esitò.

<<Ethan Welback. Il testimone.>>

Lei scosse la testa, abbassò gli occhi sul l pavimento del pianerottolo. Poi tornò a guardare l'ex marito.

<<Non voglio che tu vada di nuovo a fondo, Ryan. Sono stata io a chiamarti, è vero, ma... adesso ho paura. Perché tu sai cosa c'è in fondo all'abisso. Lo sai che cosa puoi trovare. Che cosa troverai.>>

Entrò nell'ascensore.

<<Ci vediamo, Karen.>>

Lei annuì, restando in silenzio.

Le porte si chiusero e lui scomparve dalla sua vista.

<<Anche tu mi sei mancato, Ryan>> disse Karen in un sussurro, sottovoce, quando ormai davanti a sé non c'era più nessuno.

La ballerinaWhere stories live. Discover now