Marianne, la mia ballerina

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Avevo davanti agli occhi le immagini che mi ritraevano al mercato insieme a Marianne. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal cellulare e a smettere di leggere le parole che le accompagnavano.

La mia ballerina.

Erano trascorsi due giorni da quando era iniziato tutto. Avevo scritto l'articolo e David l'aveva pubblicato. La polizia aveva esaminato la mail che avevo ricevuto, ma inutilmente. Il detective Miller mi aveva ripetuto che la cosa migliore da fare, per me e Marianne, sarebbe stata lasciare la città.

Seduto al tavolo da pranzo del mio appartamento, stringevo tra le mani il cellulare. Sapevo che avrei dovuto chiamarla, dirle ciò che era successo. Spiegarle che era in pericolo.

A causa mia.

Le telefonai.

<<Ethan>> disse.
<<Ciao, Marianne. Ti devo parlare. Adesso. Ci dobbiamo vedere.>>

Ci fu un silenzio dall'altra parte. Potevo immaginare a che cosa stesse pensando.

<<Ethan... Ti prego. Cerca di capire. Apprezzo che tu abbia mollato tutto e ti sia trasferito qui, dico davvero. E mi ha fatto piacere rivederti, sarei una bugiarda se lo negassi. Ma non può funzionare così. Non...>>
<<Marianne, ascoltami. Sei in pericolo. Ricordi ciò che ti ho raccontato sull'omicidio della ragazza alla scuola di ballo?>>

Lei esitò, poi mi rispose, titubante.

<<Sì, e allora?>>
<<L'assassino mi ha contattato. Più di una volta. Non ti ho detto nulla perché non mi sembrava giusto spaventarti o farti preoccupare inutilmente, all'inizio. Ma adesso è diverso. Lui ci ha visti insieme, Marianne.>>
<<Che cosa?>>
<<Mi ha inviato delle fotografie di noi due al mercato. Accompagnate da un messaggio nel quale parla di te.>>

Ci fu un altro silenzio. Più lungo, questa volta. Più inquietante.

<<Cosa... Che cosa diceva?>>
<<Ti minacciava. Diceva che saresti diventata una ballerina. La sua ballerina.>>

Mi si gelò il sangue nelle vene a pronunciare quelle parole.

<<Ma come fa a conoscerti?>> mi chiese Marianne, con la voce che aveva iniziato a perdere sicurezza.

<<Non ne ho idea. Ci siamo scontrati la notte dell'omicidio fuori dalla scuola di danza. Potrebbe avere riconosciuto il mio volto. Ma non so come possa sapere tutte queste cose di me. Ho parlato con la polizia, e mi hanno detto che la cosa migliore sarebbe lasciare immediatamente la città, Marianne. Tu ed io.>>

Lei sospirò.

<<Non ho intenzione di farlo. Mi sono appena trasferita qui. Sto bene. Mi sembra di aver finalmente lasciato tutto alle spalle, e non posso continuare a cambiare vita in questo modo. Non...>>

<<Marianne, non sto scherzando. E nemmeno lui.>>
<<Devo andare, Ethan. Mi dispiace. Sono abbastanza adulta da saper badare a me stessa, e sono un avvocato. Lavoro ogni giorno con gente così. Squilibrati che pensano di poter spaventare le persone. Non ho paura.>>
<<Non ti capisco, Marianne.>>
<<Sei tu che dovresti lasciare la città, Ethan. Sei qui per me, ma non voglio che tu sia in pericolo a causa mia. E non ne vale la pena. Non ho intenzione di tornare indietro né di farti credere che ci sia ancora una speranza per noi, perché non c'è.>>

Rimasi in silenzio, chiusi gli occhi. Mi resi conto che la ferita che Marianne si portava dentro era molto più profonda di quanto avessi immaginato. Ma non capiva. Non capiva quanto rischioso potesse essere sottovalutare quella situazione. E non avevo idea di come avrei fatto a convincerla a cambiare idea.

<<Marianne, stai sbagliando. Sto dicendo che...>>
<<Devo andare, Ethan. Mi dispiace. Abbia cura di te.>>

Riagganciò, ed io rimasi immobile a fissare il telefono. Le mie dita, gelide, quasi non riuscivano a chiudersi.

Mi alzai, aprii il frigo, presi una birra.
Tornai al tavolo e la aprii. Bevetti un sorso, cercando di mettere da parte per un attimo quei pensieri.

Presi di nuovo il cellulare, aprii la mail che mi era stata inviata dall'assassino.
Fissai ancora una volta le fotografie.

Stavamo bene insieme. O forse ero io, soltanto io, a credere che fosse così. Ma lei era bellissima. Era perfetta. Ed era così stupida. Pensava che parlassi in quel modo per convincerla a tornare con me. Non riusciva a vedere oltre la linea invisibile che aveva tracciato tra noi due. E non avevo idea di come sarei potuto uscire da quella situazione.

Mandai giù un altro sorso di birra, lessi ancora una volta le parole sotto le fotografie.

Stai attento a non scivolare nel sangue.
Anche lei è una ballerina adesso, Ethan.

La mia ballerina.

Che cosa voleva dire? Era delirio. Eppure sembrava così reale.
Ripensai all'espressione di Claire Goodway, la ragazza che avevo trovato morta sul palcoscenico due notti prima. Il suo sguardo sereno e al tempo stesso privo di pace.

Stavo per incominciare a cercare qualcosa su internet che la riguardasse, deciso a recuperare informazioni sia su di lei che su Gloria Stewart, la prima vittima di tredici anni fa, quando il campanello della porta suonò.

Cercai di non far rumore alzandomi. Mi avvicinai alla porta e guardai dallo spioncino.

Fuori, nell'oscurità del pianerottolo, c'era un uomo che non avevo mai visto prima.
Era alto, un fisco solido e un'espressione stanca sul viso.
Non sapevo che cosa fare, così indietreggiai ma lui suonò una seconda volta il campanello.

<<So che sei in casa, Ethan Welback. Posso vedere i tuoi piedi muoversi dalla fessura sotto la porta. Mi chiamo Ryan Cooper. E ho bisogno di parlare con te. Adesso.>>

La ballerinaWhere stories live. Discover now