50. Pioviggine incolore

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CRIS

Ogni passo che faccio mi crescono i dubbi, l'insicurezza. Ma questa cosa ho scelto di farla e non torno indietro. Devo parlare con mamma e papà, per Agata.

Perché se lo merita, perché mi ha permesso di accompagnarla in terapia oggi e quella fiducia che ha riposto in me non posso buttarla via.

Anche se mi sto letteralmente cagando in mano.

Non mi ero mai reso conto che invertire i ruoli, in una famiglia, inverte anche qualcosa dentro di te.

Tocca a me fare il fratello maggiore per Agata. E non mi tiro indietro.

Lei gli ha già detto che probabilmente allenterà il lavoro perché vuole dare spazio alla passione per la fotografia naturalistica. Non ha avuto il coraggio di ammettere ai nostri genitori che vuole fare solo quello di professionale, che l'azienda non le importa, bensì la schiaccia, la asfissia. La odia. E la sta consumando, fuori e dentro. La sua pelle ne porta i segni e ancora a lungo ne porterà.

Ne faccio un altro paio anch'io e finalmente sono davanti alla camera loro. Li ho sentiti rincasare poco fa, devono essere entrambi là dentro adesso.

Ho promesso ad Agata che l'avrei aiutata e ora lo farò, cercherò di convincere mamma e papà a lasciare andare mia sorella per la sua strada, magari li aiuterò anche io, di quando in quando.

Sollevo il pugno per bussare, ma una voce supera lo stipite accostato e mi immobilizzo.

«Che senso ha se tutto questo non sarà loro un giorno?»

E c'è un singhiozzo, forte, soffocato dalla rigidità di mia madre, quella che si impone, così come di rimando fa Agata, avendo imparato da lei.

L'uscio è accostato, non chiuso, spingo appena per aprirmi uno spiraglio, ma il coraggio lo perdo e non riesco ad avanzare.

«Lo so, Rosa, lo so...» Mio padre sospira, con una pesantezza atroce.

I due si guardano adesso, la mamma ha il blazer in mano, papà i bottoni di un polsino sganciati. E si guardano, come se ci fossero solo loro e quel qualcosa che li sta distruggendo insieme.

«Voglio che siano felici...» sussurra mamma, appena udibile.

«Anche io.» Le fa eco papà.

«Ma se nessuno di loro due prenderà il nostro posto, dovremmo cedere alle pressioni di Giovanni Costa. Vuole l'azienda, ci sta col fiato sul collo da anni, ha tutto il consiglio dalla sua parte. Non accetterebbero in subentro nessun altro se non loro come nostra discendenza, io non-»

Un singhiozzo le mangia le parole, la tramuta in una maschera di orrore e dolore straziante.

Mi sento male, sto vedendo troppo, qualcosa che non è concesso ai figli, un velo oltre cui non dovevo guardare.

«Rosa, mia Rosa...» Mio padre avanza, esaurisce lo spazio tra di loro e le prende il volto con entrambe le mani.

Non ricordavo mio padre fosse così delicato, né che mia madre fosse così fragile.

«Non puoi farlo, non puoi lasciarti andare.»

Ma io ho visto mamma lasciarsi andare, l'ho vista farlo tante volte, e sono sempre stato lì, a raccoglierla, a scuoterla o anche solo a passarle un bicchier d'acqua.

Papà non l'ha mai scoperto e non credevo nemmeno lo sapesse.

Mamma soffre molto, ha uno specialista che vede settimanalmente e ci sono giorni, dove lei non è. Non c'è. E basta. Sparisce tra le pieghe del letto e di sofferenze così grosse che la rendono piccola e inesistente in questo mondo.

Mamma si aggrappa ai polsi di papà, lui le accarezza il viso. Mi sembrano così consumati, esausti. Non mi ero reso conto del prezzo degli anni.

«Non lo farò... »

«No, Rosa, non lo farai davanti a loro. Non puoi dargli questo peso, sono giovani, hanno tutta la vita davanti. Lasciamo che se la godano come noi non siamo riusciti a fare, eh?»

Mamma annuisce, tra le lacrime. I capelli messi in piega e il trucco spesso non dissimulano le rughe che le si formano sul volto. Non rughe di vecchiaia, ma pieghe di dolore, di quello enorme e insopportabile che ti scava il viso e l'anima.

«Se stai male, vieni da me. Se vuoi nasconderti a loro, ti copro io, Rosa. Vieni da me, smettila di far finta di essere la donna di ferro.»

«Ma io lo devo essere...» mormora. Ci sono tante lacrime.

«Lo sei, oh sì che lo sei. Lo sei stata per la tua famiglia, per me, per l'azienda, per loro. Ma adesso lascia che quella corazza si riposi. Ci sono io e anche se l'azienda che abbiamo costruito non resterà nella nostra famiglia, anche se perderemo tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi trent'anni, andrà bene così. Siamo io e te, Agata e Cristian. Ci basta questo. Bastiamo noi, Rosa mia.»

«Andrà tutto bene...» sussurra mamma, tra un singhiozzo e l'altro.

«Andrà tutto bene.» Annuisce papà, prima di portare la testa di mamma al petto, avvolgerla stretta e finalmente strizzare con forza gli occhi, per mostrare quella sofferenza che divora anche lui, ma che non voleva far vedere a mamma.

Ma io vedo tutto. Tutto quanto.

E credo che non potrò mai più togliermi dalla testa anche solo un fotogramma di ciò che ho visto.

Ho il petto pesante, il respiro pesante, la vita mi è pesante.

Anche il primo passo lo è, la prima falange che muovo, tutto. Ogni parola, ogni sorriso che fingo, ogni rassicurazione con cui entro nella stanza.

Più i miei genitori nascondono il dolore e il pianto, dissimulando compostezza, più tutto in me si fa rigido, denso, zavorra.

«Dato che Agata vuole fare la fotografa, pensavo che potrei subentrare io a lavorare in azienda. Che ne pensate?»

E sorrido.

Anche se dentro fa male.

E vedo il sollievo, l'orgoglio, la fiducia scoppiare in loro.

E allo stesso tempo sento la mia musica scivolare dentro di me, in un posto lontano, nascosto, impervio.

Esco dalla camera, dal corridoio, da casa.

Inizia a tuonare, le goccioline mi appannano gli occhi, ma cammino, scappo, ancora, ancora. Fino a quando non salgo sul motorino, stringo il casco con mani tremanti e raggiungo Luna.

Non faccio in tempo a dire niente, sotto casa sua, che me la stringo al petto, forte, con tutto me stesso, con quel panico che fa male e mi divora.

«Va tutto bene.»

Lei sa tutto, gliel'ho raccontato sere fa. Ma non ha idea della piega che ha preso la conversazione, cosa mi sono costretto a fare. Per la loro felicità. E anche per la mia.

I miei mi hanno dato troppo amore nella vita per non restituirglielo adesso, che ne hanno bisogno.

Mi stringe a sé, Luna, mi lascia cascare sulle sue spalle, nelle sue parole, che sanno di casa, di conforto, di un abbraccio che vorrei non mi lasciasse andare mai.

Sa di aria, Luna, la mia Luna. Sa di quell'ossigeno senza il quale, adesso, avrei difficoltà a respirare.

«Non lascerai andare la musica, non lo farai, Cris. Ci sarò io a ricordartelo.»

E mentre la pioviggine incolore ci ricopre e il mondo si fracassa, la stringo a me, nascondendola in quel punto in cui la mia musica si è accucciata e sta suonando la mia melodia, quella che spero di non smettere mai di sentire. 

Tutti i Colori del CieloOn viuen les histories. Descobreix ara