1. Nero liquirizia

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LUNA

«Cristian.» Mi getta lì il suo nome, senza riguardo. Quasi sia la cartaccia da buttare di una caramella.

«Luna.» Mi presenta Edoardo Belgiovine, mio migliore amico, con la voce piatta, suo marchio di fabbrica.

«Luna.» Ripete Cris, a bassa voce, in modo spensierato, quasi il mio nome sia invece la caramella da gustare.

So che siamo circondati da altre facce, altri occhi. Tante persone, troppe voci. Ma lui spicca, vivido, vibrante. Sorride, un'azione compiuta mille volte da tutti gli esseri viventi di questo mondo.

Eppure, quel suo distendersi di labbra, ha qualcosa di uguale ma unico. Come il cielo, sempre lo stesso sulle nostre teste, eppure sempre diverso.



Non ricordo quando sia avvenuto, quel momento esatto in cui i miei occhi hanno incontrato i suoi per la prima volta. So com'è successo, ma non quando.

Per me, Cristian, invece che la carta da buttare di una caramella, è sempre stato una liquirizia. Una di quelle che una volta che l'assaggi ti si incastra tra i denti, il sapore si tatua sulle papille gustative, un retrogusto impossibile da togliere.

Cris mi è finito tra le dita, sulle ciglia, nelle risate.

Cristian Belgiovine.

Cugino del mio migliore amico.

La mia prima cotta storica.

Ma anche la rottura più dolorosa della mia vita.

Per cui ora che lo rivedo, con la sigaretta mollemente aggrappata tra indice e medio, il polso virile premuto contro la fronte, mi rendo conto che quell'agglomerato di emozioni che mi suscita è proprio come la liquirizia.

Credevo di averne scordato il sapore, ormai che sono passati tanti anni, ma lui ha lasciato un retrogusto difficile da essere dimenticato.

Ma io non sono più quella di allora. Sono più vicina ai trenta che ai venti e sono passati quasi dieci anni da quando tra me e lui è finita.

Cristian sputa aria dalla bocca, dal naso, come se si volesse liberare di tutto l'ossigeno a disposizione; le spalle atletiche strizzate in una camicia chiara che, lontano dalle luci sfavillanti del buffet del matrimonio, ne rendono il colore indistinguibile. Di sicuro è di buona fattura e fatta su misura. Tutto il suo abbigliamento lo è sempre stato.

È accasciato sugli scalini, l'eco del ricevimento del matrimonio giunge distante.

Un istinto subdolo mi amoreggia nelle vene. Faccio per cascarci. Poi ci ripenso: non sono una crocerossina e lui mi ha spezzato il cuore. Lui era la sirena e io la scialuppa che è diventata un derelitto.

Sollevo l'orlo del vestito che strascica sulla ghiaia. Rischio di sciuparlo e Ludo mi ammazza se glielo riporto rovinato. Indietreggio. Lo scricchiolio dei sassolini sotto i sandali mi tradisce.

I suoi occhi mi trovano, nascosti dietro il polso.

Cristian ha sempre saputo come trovarmi. Nemmeno fossi l'unica stella nel cielo e lui un astronomo. Telescopi a cui non sono mai riuscita a nascondermi.

«Oh. Ciao, stronza.» Solleva la testa, le spalle paiono ricordarsi che hanno una postura da poter assumere. «Non mi mancava altro che incontrare te per chiudere la serata in bellezza.»

Sorrido. «Carino come sempre, Cris.»

«Mi ha insegnato la migliore.»

«Quante scemenze...»

«Tutte quelle che mi hai sempre rifilato tu.»

Le sue iridi mi scavano il petto; hanno sempre lasciato solchi in troppi posti.

«Non siamo più ragazzini, Cris, non ce la facciamo a parlare come adulti?»

Puntella i palmi sulle ginocchia e assume un'espressione feroce ma appagata, quasi strafottente, il viso gli si trasforma. Gli si è trasformato tutto negli ultimi anni.

«Comincia pure quando vuoi che io ti seguo.» Ammicca.

Stronzo.

Lo penso, una frazione di istante, una collera mordace. Quella rabbia non ha senso, non mi serve. Questa furia è solo un riflesso del suo atteggiamento, non la provo davvero. Non mi può toccare se non glielo permetto.

Inspiro con intenzione.

Sono passati moltissimi anni. In fin dei conti siamo solo degli sconosciuti che hanno condiviso qualcosa tanto tempo prima. Quell'istinto furioso è lo spettro di una ferita mal risarcita. Una che non abbiamo mai affrontato.

Lascio fuoriuscire l'aria e rilasso le spalle.

Così va meglio.

«Sai cosa? Mi piacevi di più da ragazzina.» Mastica la parola come fosse solida. «Almeno allora avevi le palle.»

Ogni buon proposito va a farsi benedire. Vorrei tirargli un pugno. Dritto sul viso. Mi fremono le mani, mi sento sporca e instabile.

Sono brava a mantenere il mio equilibrio, nessuno mi fa sentire fuori asse. Maledetto Cristian Belgiovine: è proprio la liquirizia che non avrei mai dovuto assaggiare. 

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