41. Grigio

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CRIS

Non ce la faccio più.

Il panico monta quando meno me l'aspetto. Mi morde il respiro ed è pronto a masticarsi tutto il resto. Penso alle parole di Gioia, al modo in cui ci siamo salutati questa mattina, alla tranquillità che non provavo da tanto in sua compagnia.

So perché ho avuto l'attacco di panico. Ora sono pronto a lasciarlo andare, quel Cris grigio che ha lasciato andare tutto alla deriva, e sono pronto a prendermi la responsabilità dei danni che ho fatto ma soprattutto della verità... di ciò che sento.

Sono grigio da quando Luna mi ha lasciato quasi dieci anni fa.

Da quando in realtà ha tradito la mia fiducia, sradicando l'ultima ancora che mi impediva di venir trascinato via dalla corrente. La malattia di mia sorella, la responsabilità dell'azienda, il dolore dei miei genitori e la musica...

Luna era l'unica cosa che mi teneva radicato a me stesso.

Lei ha strappato via quel appiglio e io sono diventato grigio.

È stata colpa mia, non sua, ma è da allora che è successo.

E stare con lei mi ha fatto comprendere che questi dieci anni non sono valsi un cazzo. È lei la persona che dà un valore nuovo al tempo, a me stesso, a quello che volevo essere e che ancora posso diventare. Nessuno mi ha mai fatto sentire così.

Luna mi attrae in troppi modi per riuscire a scindere il come.

Voglio ascoltarla quando parla di sua mamma, voglio starle accanto e vederla fiorire nelle lezioni di yoga, baciarla di nuovo. E sentire che ha bisogno di quel bacio tanto quanto ne ho bisogno io. Voglio sapere qual è il posto più bello in cui ha insegnato e perché, voglio che mi porti con sé nel suo prossimo viaggio, che mi permetta di starle accanto mentre pensa. Mentre pensa e basta. Mi basterebbe anche questo.

Voglio stare con lei. In tutti i modi possibili che mi vengono in mente.

E fa paura.

Perché non ho mai provato niente del genere, da dieci anni fa, con lei.

E l'attacco di panico me lo diceva. Oh sì, che ero arrivato a un crocevia bello potente. Che da qui non si scappa più. Che quel maledetto passo in avanti per avere il fottuto coraggio di cambiare direzione, dovevo farlo o sarei tornato indietro, rotolando su me stesso, trascinandomi addosso detritti e macerie.

La lezione di yoga è finita. Siamo vuoti ma pieni. L'orizzonte dell'oceano è infuocato dal sole. Le palme sono frustate dal vento, le ultime barche in lontananza stanno attraccando al molo.

Le assi scricchiolano mentre Luna ci invita a sedere a terra.

Oggi ci ha fatto ridere e piangere, lei per prima ci ha mostrato cosa non le riesce, lo ha fatto senza preoccuparsi del nostro giudizio. E poi ci ha invitati a fare lo stesso: trovare la cosa che ci riesce peggio e avere il coraggio di farla e sbagliare. Davanti a tutti. Ma principalmente davanti a noi stessi.

«La verità è che nessuno è perfetto.» Sistema una caviglia sull'altra, i pantaloncini corti le lasciano scoperte le ginocchia spigolose. «Io vi insegno, certo, ma siete soprattutto voi a insegnare a me, o meglio... mi ricordate ogni giorno che non ho raggiunto nulla. E non in senso brutto, ma concreto. Ogni giorno mi rimetto nelle mani di quello che devo imparare. E sono felice, con tutti i problemi, gli alti e bassi e gli errori. Sbaglio, spesso. Ma alla fine del giorno è la felicità l'unica cosa che mi fa sentire soddisfatta e piena. L'unica ragione di vita.»

Sta seduta in questa posizione come se le assi non fossero rigide a tal punto da spaccarci l'osso sacro. Non si sposta i ciuffi che le finiscono dinanzi agli occhi. Ha occhi solo per noi. Ci guarda, uno a uno, e sorride. Come se l'unica cosa importante fossimo noi e non il resto. Non al centro, il mondo fuori.

Che potere osservare gli altri e allo stesso tempo lasciarsi vedere per come siamo davvero.

«E come hai fatto a capire che questo è quello che ti rende felice?» chiede la ragazza cubana che finalmente parla con un tono di voce chiaro e limpido.

Pensavo che non sapesse parlare bene l'inglese e invece a quanto pare era solo la timidezza che la costringeva a balbettare.

«Il trucco è fermarsi a capire cosa ci fa sorridere.» Luna scuote la testa, lo sguardo puntato per qualche istante verso l'alto.

Il tramonto le colpisce il profilo. Sembra dipinto da un'artista. Uno di quelli che prova a descrivere il profumo delle albicocche con la sola intensità del pennello.

«Nella vita non facciamo altro che correre e le cose, quelle belle, finiamo sempre per perderle o per non notarle. Ci passano sotto il naso e nemmeno ce ne accorgiamo. Ecco, voi rallentate e vedrete che troverete qualcosa che vi fa ridere come degli scemi, che vi fa dolere la mascella da quanto sorridete.»

Siamo tutti rapiti dalla semplicità di quello che dice Luna. C'è qualcosa di saggio e antico nelle sue parole. Ma è anche infantile e basilare. Tutto allo stesso tempo.

«E una volta che riconosciamo cosa ci fa sorridere?»

Luna piega una gamba, appoggia il piede sulle assi in legno e si sporge in avanti verso di noi. Qualcosa in lei, la fa somigliare a una bambina, nel momento in cui si appresta a rivelare un segreto enorme. Ha la serietà negli occhi e la compostezza di chi sa che ciò che dirà si appresta a cambiare tutto.

«Allora tenetevi stretta quella cosa, quella sensazione, quelle persone, qualsiasi cosa sia. Custoditela, vivetela, ancora e ancora. Sperate fino in fondo, respiratela appieno. Non abbiate paura. Anche se può spaventare, non ve ne pentirete. Mai.» Luna allarga le braccia toniche, la canotta che indossa le lascia scoperte le spalle incendiate dal tramonto. «Io non ho mai trovato altro che mi facesse sorridere più di questo.»

Ci indica tutti, sposta lo sguardo su ognuno di noi. Ma poi, all'improvviso, senza un avvertimento, lo ferma nel mio. Me lo pianta proprio qui, in mezzo al cuore.

Ci incateniamo, non ci molliamo. Quanto cazzo è bello questo.

Qualcosa frulla troppo forte, mi fracassa il semplice e il difficile, allinea paura e desideri, rincuora il panico e manda a fancula la testa. Manderei a fanculo anche tutto il resto da quanto sono cretino.

Io so la risposta. E l'ho sempre saputa.

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