35. Oro fuso

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CRIS

Gocce precipitano dalle sue ciglia scure, dal suo naso mignon e si catapultano sul labbro inferiore spalancato. La doccia riecheggia, i nostri respiri affannano lo spazio, il mio cuore ha steso bandiera bianca. Non capisce più un cazzo.

Ma io l'ho capito. L'ho capito anche troppo bene. Che sono un coglione gigantesco, perché nella bomba atomica che mi ha silenziato neuroni e sensazioni, Luna è stata la scialuppa di salvataggio che mi ha tirato fuori.

Sono scombussolato, distrutto, ho fatto lo sprint finale, ho concluso la maratona, eppure mi sento davanti a qualcosa di più irruento, una staffetta di cui non sapevo essere il partecipante in gara.

Le labbra di Luna sono spalancate, le sue ciglia calano. C'è una luce ocra, lontana, che filtra da qualche parte.

Premo la fronte contro la sua. E il gemito di sollievo che emette mi manda in mille pezzi, come se già non lo fossi.

Sono in un loop temporale. Siamo dei cretini a credere che il tempo cancelli i sentimenti. Dieci anni fa, come ora. Cos'è cambiato?

«Luna?» Ho l'affanno.

«Stai meglio?» Ce l'ha anche lei.

Annuisco e nel farlo mi rendo conto della sua vita che sto stringendo tra le mani. La canotta smanicata è molle, incollata alle sue forme. Che sento, parecchio, troppo. Vorrei non essere così sensibile, non premere con i pollici sulla zona frontale del suo addome, massaggiando le creste iliache sporgenti.

Vorrei non sentire il suo respiro che va in frantumi.

Perché anche io lo sono ormai.

«Cris?»

Non riesco a vederla bene, ma il suo tono mi sa di catastrofico. C'è tenerezza, l'alba di un segreto, il sipario di un non detto.

«Perché...» sussurra, indugia. «Respiri così se stai bene?»

E lei lo sa. Porca puttana, se lo sa!

Ci stacchiamo, per guardarci meglio. Le sue gambe sono rannicchiate sulle mie, in una posizione che di comodo non ha un cazzo. Ma sono nude, anche io sono mezzo nudo, ho solo dei boxer per dormire.

«E tu stai bene?» sussurro. Che domanda idiota, che frase cretina.

Annuisce, nella penombra.

«Allora perché respiri così se stai bene, Lu?»

Il suo sguardo si tramuta in porcellana, poi si crepa, si frantuma. I nostri respiri sono troppo potenti, sorpassano anche lo scroscio della doccia.

«Non siamo mai stati pesci rossi io e te, no?»

«Mai.»

«E allora perché facciamo finta di esserlo adesso?»

LUNA

Ho bagnato il pavimento del bagno, ci sono chiazze d'acqua ovunque.

Non riesco a guardare Cris, se lo faccio mi piegherò a quello che sento.

Mi tampono i capelli con l'asciugamano, mi stringo nell'accappatoio che ho messo sui vestiti umidi. Non ero in grado di svestirmi con Cris nella stanza. Una vocina suggeriva di farlo, lo voleva, lo voleva così tanto, che ha immaginato mille volte di andare da lui, mostrarmi nuda e baciarlo.

Non riesco a trattenermi, non sono brava nel nascondere le cose.

Non mi capita mai di perdere il controllo. Perché sono sempre libera, di mostrare, di fare, di sentire.

Il controllo non mi serve. Mai.

Adesso è fondamentale.

Ho paura.

«Luna?»

Sollevo gli occhi, ma non voglio. Lo faccio, ma non dovrei.

«Grazie.» E sorride.

Lui ha avuto un attacco di panico e sta sorridendo, come se niente fosse.

Sono io che rischio di averlo adesso.

«Sono contenta tu stia bene.» Raggiungo a capo chino la porta in un palese invito a farlo uscire, ma lui non mi segue.

«Rimarresti con me a dormire stanotte?»

Mi volto di scatto. Vado in mille pezzi, torno all'origine, mi disintegro.

Il petto poderoso di Cris si gonfia, cerca aria, a metri di distanza da me. Io accanto all'entrata, lui dal lato opposto della stanza.

Eppure non ho mai sentito così tanti metri così insignificanti.

È troppo poca, la distanza non è sufficiente. Stupidi metodi di misura.

«Non me lo hai chiesto davvero...»

«Non siamo mai stati bravi a fingere, noi.» Trema, ovunque, è una sensazione più che una constatazione visiva.

E il problema è che me la sento vibrare anche dentro, quel suo sguardo che non mi molla, che non esita, che non si nasconde. Mi spingo con la schiena contro la porta a vetri, la brezza serale filtra dallo spiraglio aperto.

«No, Cris. Non siamo fatti per fingere.»

E lo lascio uscire senza fermarlo.

Perché se lo facessi avrei tradito quella parte di me che ha promesso che non avrebbe mai più permesso a Cristian Belgiovine di spezzarmi il cuore.

Perché da lui non mi sono mai ripresa del tutto.

E il cuore, nella vita, può essere spaccato una volta sola. Il kintsugi non può risanare le crepe per sempre.

«Buonanotte, Cris.»

Mi piange il cuore, che sgocciola colate d'oro fuso.

«Buonanotte, Luna.»

Perché anche il suo sembra piangere? Se è il mio che è stato rotto?

Tutti i Colori del CieloWhere stories live. Discover now