31. Oceano

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CRIS

Allungo una mano a Luna, che l'afferra subito. La guido lungo il corridoio che porta nell'ala della villa dedicata alla zona notte.

È buio, non ho acceso le luci. Sono folle. Ho staccato la spina del cervello e ho difficoltà a credere di non essere in un sogno. E cazzo, per nessuna ragione al mondo voglio svegliarmi.

Non devo più nascondermi, perché Luna mi ha baciato. Non devo più trattenermi, perché è lei a rimanermi appiccicata allo stesso modo che io faccio con lei.

Mi fa sentire instabile, la gravità deve aver sovvertito le proprie regole, perché le mie labbra trovano troppo spesso le sue. Non ho idea di come, non so come sia possibile, ma c'è troppo spazio tra di noi. E non lo sopporto. Mi manda in crisi. E la bacio. Inciampo nei suoi piedi. E lei mi bacia. Ci spalmiamo al muro. Labbra calde, denti, pelle, profumo d'erbe, tessuti, lingua.

L'ossigeno è parecchio sopravvalutato, scienziati idioti. Starei in apnea una vita solo per non smettere mai di baciarla.

Il tragitto per la camera non mi è mai parso così lungo.

La sua risata mi è rimasta incastrata nel timpano, non riesco a smettere di sentirla, è un loop infinito. Una melodia pazzesca. Assomiglia a quella che le ho cantato. Che era scritta da me. Solo per lei.

Le sue labbra sono piccole, fresche, vogliono le mie. Ci cerchiamo, ci spingiamo per poi tirarci indietro. E ho perso il senno, cazzo, perché le mani in tasca, come sono stato costretto a tenerle finora, non riesco a rimettercele.

Mi piace, mi da di matto, la sento ovunque. C'era lei e la musica, la melodia e lei. Ed erano tutt'uno. Siamo tutt'uno. E mi piace sentirla, cristo, mi manda in crisi, non riesco a smettere di toccarla. La voglio in modo che non so gestire. Tutto e nulla. È troppo forte, troppo intenso. Non voglio spaventarla. Ma lei mi bacia più a fondo, si spinge contro di me al muro.

«Cristian!»

Mi fermo, le nostre labbra si scollano di botto, un rumore strano.

Per qualche secondo c'è silenzio, poi un mugolio, uno scricchiolare, qualcosa che va in pezzi. Suoni che riconosco bene.

«Tesoro?»

No, ti prego, non di nuovo...

Scivolo in avanti, mi aggrappo alla parete, Luna è agganciata a me. Non ho il tempo di afferrarla, di pensare, di ragionare.

Spalanco la porta di camera dei miei, l'odore mi coglie alla gola. È chiuso, troppi respiri, poca aria. La luce sul comodino di mamma è accesa, le tapparelle buttate giù oltre la finestra chiusa. Non si vede il cielo, la luna, le stelle. L'assenza mi soffoca.

«Mamma...»

Ha il braccio penzoloni dal letto, un bicchiere è andato in mille pezzi sul pavimento, il contenuto ha bagnato un lato del tappeto, quello con le frange afgane.

Raccolgo i frammenti facendo attenzione, poi le stringo le dita. Sono inginocchiato accanto a lei. Vorrei non vedere le pasticche sul comodino. Anche se so che sono solo pastiglie di valeriana, rimedi omeopatici, qualcuno forse meno naturale e più chimico. Ma niente di allarmante.

Non lo è mai.

«Mamma?»

Lei ha lo sguardo vuoto, presente ma assente, una cosa a cui non mi abituerò mai.

«Agata...» Indica a terra.

Trovo il telefono sotto il bordo del letto, lo raccolgo e glielo passo, ma lei nega con la testa. Capelli arruffati, cuscini in cui sprofonda, ha un aspetto terribile, di chi dorme poco ma anche troppo, occhiaie e viso pallido. Sembra malata.

Tutti i Colori del CieloWhere stories live. Discover now