27. Palette di Miyazaki

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CRIS

«Ma anche no!»

«Oddio, sei così schizzinoso...»

«Schizzi... che?»

«Schizzinoso. Sofisticato. Picky. Solo perché ha un sapore diverso dal solito.»

«Ma figurati se assaggio un coso che si chiama Mango Sticky Rice. Che cavolo fanno? Appiccicano con la colla il riso al mango?»

Luna scoppia a ridere, si tiene la pancia e le vengono le rughette agli angoli degli occhi. Se tutti i bambini mantenessero la spontaneità anche da adulti, rideremmo tutti come lei.

«Fammi capire, non lo hai mai assaggiato?»

«Ovvio.»

«Guarda che il Cris di un tempo l'avrebbe provato subito.»

Mi sento colto in fallo. Quel Cris di un tempo lo sopravvaluta troppo. O lo sottovaluto io.

Ehi, Crisdiuntempo, se sei ancora qui a giro dentro di me, potresti avere la decenza di farti vivo?

«Il Cris di un tempo era sciagurato e non ci teneva al proprio benessere fisico. Io non la mangio la colla.»

Luna mi strattona, ha afferrato il bordo della canotta e mi sta trascinando. È forte per essere un affarino longilineo tutto gambe e saluti al sole. Se facendo tutti quei cani a testa sù e giù si diventa così forti, tanto vale che pratichino yoga anche nella boxe.

Mi spinge a sedere su una panca in legno.

«Non lo mangio» borbotto.

Pale di ventilatori volteggiano impazzite. Ma sembra solo che spostino il caldo afoso da un lato all'altro, altro che vento, questo è uno scirocco artificiale. Abbiamo sulle teste un tetto di pali di legno, paglia e un telone verde.

Proprio a norma, sì. Ma tanto nemmeno gli altri posti lo sono.

La vita di questo minuscolo lembo di terra si svolge qui. In una strada mezza sterrata e mezza sterrata-vorrei-diventarlo che unisce un lato dell'isola all'altro. Si susseguono strutture di ristoranti in legno che Dio-solo-sa-come hanno persino due piani, senza pavimento nella maggior parte dei casi e con norme igieniche ridotte al minimo. Ah, e senza pareti, cioè ce n'è una al massimo, quella di fondo, ma per il resto sono aperte. Al naturel, ha blaterato prima Luna.

«Vedi, schizzinoso. Sembra tu stia guardando lo schifo.»

«Guarda che si chiama preoccupazione. Quello lì sta arrostendo una pannocchia con un lanciafiamme sotto un tetto di paglia.»

Luna segue il mio sguardo, ma invece che preoccuparsi, sorride. «Qui sono spartani, è tutto più semplice.»

«Basta che quel semplice non faccia prendere fuoco ai miei vestiti. A casa ci vorrei tornare abbronzato, non abbrustolito.»

Mi spintona, tirandomi una spallata, ripete l'ultima parola che ho detto ridacchiando. È troppo contagioso, questo suo modo di fare, mi dà carta bianca nello sparare quello che penso senza nemmeno rifletterci. Luna ha il potere di sollevare le sbarre della mia dogana mentale.

Le guardie di confine appena la vedono sbaraccano e vanno in ferie.

C'è ancora quel silenzio assordante nella mia testa. È così incredibile che sento tutto il resto con un'intensità nuova.

Luna è seduta accanto a me, invece che di fronte. Cosa che faceva anche anni fa. Mi indica ghirigori indecifrabili su un foglietto formato A3 di plastica, sullo sfondo sono disegnati chicchi di riso e ananas.

Per decifrare il menù ci vorrà un bella botta di culo.

«Dimmi che sopravviveremo al pranzo.»

«Basta che non prendi il Tom Yum Soup. E che dici Mai Ped.»

«Mani piedi?»

Ridacchia, lo fa di pancia, con gli occhi, con le spalle. Ride con tutto. Come cavolo fa a ridere così?

«Significa no piccante. Cioè, il piccante tanto ce lo mettono lo stesso, ma in quantità da turisti, ovvero mangiabile.»

«A me piace il piccante.»

Mi guarda come se guardasse un bambino che gli ha detto che la terra è piatta. «Non questo piccante, Cristian Belgiovine. Ma se vuoi provare... sappi che abbiamo altri otto giorni di ritiro, poi dobbiamo tornare in patria.»

«E che vuol dire?»

«Che rischi di sentirti male per giorni, sciocco.»

«Va bene, sapientina, quindi che mangiamo?»

Ordina nominando i piatti thailandesi a memoria, le sento dire più volte quel manipiedi, o come cavolo si dice. A conclusione dice khup kun kah. Adesso so come si pronuncia, me lo ha anche scritto sul tovagliolo. Che, tra parentesi, è carta igienica. Dice che noi uomini bisogna sostituire il kah con krap.

Ho provato a imitarla. Mi sono sentito un cretino. Ma un universale thank you, non va bene?

«Quindi...» Si sostiene il viso con il palmo della mano, il gomito puntellato sul tavolo in legno.

«Quindi...»

Ho le braccia conserte sul tavolo, siamo entrambi ruotati per guardarci negli occhi. Abitudine che con lei non viene mai meno. Noto che tra di noi c'è una terra di nessuno.

C'è il passato e il presente. Due cose scollegate tra di loro. C'è qualcosa che me la rende familiare, eppure la testa mi dice il contrario.

Stava piangendo prima, parecchio, e quel coso che le ho strappato da sotto gli occhi sta continuando a vibrare in modo costante nella mia tasca dei cargo. Mi chiedo quando smetterà. L'importante è che il silenzio nella mia testa rimanga tale.

È troppo bello per essere reale.

E la realtà, per una volta, ha assunto sfumature delicate ma vibranti, come quelle dei film di Miyazaki che guardavo con mia mamma quando non riusciva a uscire di casa.

La realtà è una palette delle pellicole di Miyazaki. Sembra più reale, più cruda, ma anche più bella.

Tutti i Colori del CieloWhere stories live. Discover now