3. Verde smeraldo

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LUNA

La mia furia è così forte che sorridendo mi conficco i denti nel labbro.

Cerco Edo intorno a me, ma non lo vedo. Grazie al cielo. C'è troppo casino nel cortile del liceo: nuvoloni colorati, polvere gettata sui capelli, pesticciata sotto i piedi. Scappo tra nubi arancio, pervinca, smeraldo. Mi bruciano gli occhi, mi pizzica il naso. Spero che almeno siano biodegradabili, razza di ignoranti.

Ripeto il mantra che ho letto questa mattina, ma non ricordo il significato di nessuna parola.

L'accettazione della libertà d'espressione sessuale. Questo è lo scopo di quest'evento che ha riempito il cortile di colori. Bella pagliacciata, dato che è stata proprio Ludovica a organizzarla.

Era una cosa importante, pensavo ci credesse davvero.

Le querce maestose del vialone sventolano le proprie foglie, raggi filtrano accecandomi. Raggiungo il cancello rosso d'entrata; è tutto ricoperto da scritte strafottenti e scarabocchi sconclusionati. Indviduo Ludo con le sue amiche. Ridono come piace ai ragazzi: maliziose, contenute, da fighe. Si scrollano la polvere dai vestiti; fanno finta di togliersela, ma se la stanno solo sistemando sulle braccia nude. Vanitose.

Sono indecisa, mi si arrovella sulla lingua quello che vorrei dirle e quello che invece vorrei chiederle: perché si è comportata così?

Sono combattuta. Voglio difendere Edo, ma non voglio puntare il dito contro nessuno.

«Edoardo Belgiovine si è fatto di sicuro anche lui.» Un'amica di Ludovica accompagna la frase indicando Cristian Belgiovine, intento a parlare a pochi passi dal cancello.

Cris si ferma, voltato di tre quarti. Polvere gialla volteggia giù dal suo ciuffo castano, si deposita sulla punta del naso, gli tinge il labbro spalancato. Sta sorridendo a qualcuno, ma ha qualcosa nella postura che mi suggerisce che ha colto il discorso delle ragazze.

«Non c'è cosa più divina che farsi la cugina, dicono.» La voce di Ludo è alta, sovrasta lo schiamazzo.

Respiro con forza. Non lo sta insinuando davvero...

Ci deve essere una spiegazione. Lo ripeto, me ne convinco. È appena diventato quello il mio nuovo mantra. Fisso le parole, gli do' corpo, lascio che la rabbia non trovi campo per attecchire.

«Magari vale anche per il cugino, no?» Conclude un'altra.

Divampa tutto, mi inonda; il mantra si sfracella, ne perdo l'intento.

Impiego due secondi, no, uno, no: mezzo.

«Ehi, reginetta degli stronzi.» Afferro la borsa vintage di Ludo e la strattono, costringendola a voltarsi verso di me. So che la colpa dei pettegolezzi è sua. E solo sua.

Vorrei capire cosa nasconde oltre lo sguardo allibito e chiederle perché si è comportata così. Ma la rabbia mi guida. Le strappo di mano il telefono, lo sventolo dinanzi ai suoi occhi truccati e allarmati. Minchia quanto trucco, le bratz di mia sorella ne avevano meno. Sicuramente la sua pelle non approva.

«La prossima volta che pubblichi minchiate sui social, pensaci prima.» Non sto gridando, ma sembra. Mille paia di occhi mi osservano, polvere violacea volteggia intorno a noi. C'è odore di polline; sudore mascherato da profumi costosi.

«Conta fino a dieci, Ludo, poi a cinquanta. Ma se ti riesce, arriva anche a mille, va'. E poi stai zitta, che tanto fai più bella figura.»

Cosa sto dicendo? Che cattiveria...

Tutti i Colori del CieloWhere stories live. Discover now