40. Alba dorata

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CRIS

Sono contradditorio. Voglio rivedere Luna e non penso ad altro.

E mi sento uno schifo, un muffin vigliaccio, un involtino colpevole. Oltre ad avere fame, sono un presuntuoso egoista che negli ultimi anni ha fatto solo danni isolandomi da tutto e da tutti. Ed è la voce di Gioia a confermarlo.

«Sai cosa sembri?»

La sua voce al telefono ha qualcosa di estraneo e familiare allo stesso tempo. Penso che il fattore nuovo sia la tranquillità con cui stiamo conversando, come se non fossimo stati insieme fino a poco fa. C'era sempre tensione, aspettative distrutte, felicità forzata. Le relazioni sono strepitose, quando non ti ingabbiano.

Gioia mi amava e ci ha provato fino alla fine a trovare una soluzione. L'ho costretta a passare tanto tempo da sola, ad assecondare i miei silenzi e la mia assenza. Ho dato al lavoro così tanto che mi domando se non è stato quello a prendersi tutto di me, aspettative e personalità.

Mi sono annientato, ho lasciato che succedesse. Non è così assurdo se ci penso. Ne sono sempre stato consapevole da quel giorno in cui ho distrutto la chitarra. Ho preso una scelta credendo fosse davvero quello che volevo.

L'inizio di una carriera e la fine del mio sogno. La fine di me stesso.

Certo, se ci penso, mi ci sono voluti solo nove anni, un viaggio intercontinentale ed essere costretto all'angolo dalla vita, per capire che forse... e sottolineo forse, sto sbagliando qualcosa.

Sono un cretino. Dovrei farmi un tatuaggio, magari lo scrivo in indiano, almeno fingo di farlo passare per un mantra.

«Scusami, Gioia.»

«Non devi dirlo più, Cris, non ce n'è bisogno.»

Non so come farmi perdonare. Gioia è sempre stata troppo dolce per me, troppo paziente, gentile. Non ho idea perché si sia ostinata a stare con me fino ad adesso. Certo, i suoi genitori l'hanno spinta, la pressione sociale ci ha resi perfetti l'uno per l'altra. Ma non credo abbia mai finto.

«No, Giò... Non sai per cosa mi sto scusando.» Forse è il soprannome con cui la chiamo, o forse solo il fatto che davvero abbiamo passato molto tempo insieme. Ma riconosco qualcosa nel sospiro che attraversa i mille chilometri che ci separano.

È un sospiro che dice tanto.

«E invece sì, Cris. So per cosa ti stai scusando.»

Fermo il tamburellare con cui non riesco a tenere il piede fermo. Sposto lo sguardo sulla palma che ondeggia a causa del vento, oltre la vetrata della mia stanza.

«Sei... diverso, Cris. Non posso dire che sembri felice, ma qualcosa di simile. Mi è capitato di sentirti così tranquillo negli anni, ma sono state rarissime le volte in cui è successo. Era un miracolo, credo di ricordarmele tutte, sai?»

Mi sento ancora peggio. «Mi dispiace.»

«Cosa avevamo detto?»

«Non posso evitarlo, Giò. Te lo devo. Dovresti essere incazzata nera con me, per averti fatto buttar via anni preziosi della tua vita. Perché non ho capito un cazzo di quello che stavi facendo per me. E perché non ti meritavo.»

«Non è che...» Le si spegne la voce. Hanno staccato l'interruttore.

Tutto si fa quieto e allora capisco che c'è qualcos'altro sotto.

«C'è un motivo se non lo sono, Cris.»

Eccolo, uno di quei momenti che si fa strada a gomitate, un presagio, un indizio vestito da messaggero.

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