E' cattiva la gente che non ha mai provato dolore,
perché quando si prova il dolore, non si può
più voler male a nessuno.
Carlo Cassola
MADISON
Stella inizia ad urlare, piangere, dimenarsi. Lancia cuscini, coperte, si mette in ginocchio e lancia anche il telefono dall'altra parte della stanza. Sono terrorizzata.
Rimango immobile sul divano per qualche secondo a fissarla sbigottita, sembra sia indemoniata quando fino a poco fa stavamo ridendo insieme.
Ma che diamine è successo.
Stremata e inginocchiata per terra piange a dirotto e urla. Sento il campanello della porta squillare. Alex è appena uscito ma spero davvero sia lui per darmi una mano. Corro ad aprire e vedo il suo sguardo sconcertato quanto il mio appena apro la porta.
"Ma che cazzo succede?"
"Non lo so. Per favore, vieni".
Mi sorpassa correndo e vedendo Stella in quello stato, per terra in soggiorno, rimane fermo davanti a lei anche lui e non sembra sapere che fare.
Mi inginocchio vicino a lei. Grida. "Stella, Dio che hai fatto?"
"COME HA POTUTO! NON PUO' ESSERE!" Urla lei.
Alzo lo sguardo verso Alex e si inginocchia anche lui.
"Dicci che è successo, chi ti ha ridotto così? Cosa hai visto?"
I suoi occhi sono così distrutti e rossi che mi spavento. Con la mano tremolante come se stesse prendendo la scossa, indica il telefono dall'altra parte della stanza.
Corro verso dove ha indicato e spero non si sia rotto lo schermo perché l'ha lanciato con una tale forza da creare un leggero buco sul muro. Magari l'effetto degli allenamenti intensivi.
Controllo la prima schermata che mi appare e vedo una foto.
Non riconosco subito chi sono i due ragazzi che vedo, ma si stanno baciando.
Alex viene vicino a me e prende il telefono. Dopo un secondo sgrana gli occhi e rimane impalato a fissare la foto. Sento un bisbiglio.
"Simon".
I due ragazzi sono in piedi e sembrano essere nei corridoi nel campus.
Riprendo il telefono e ha ragione. Simon è con una ragazza che non ho mai visto.
Si stanno baciando.
Simon ha tradito Stella.
Io e lui ci guardiamo ancora più affranti di prima e ci giriamo lentamente verso Stella che ancora inginocchiata per terra con le braccia al petto respira a fatica, piange, emette versi e bisbiglia.
"Non è possibile, non è possibile, non è possibile".
Ci avviciniamo cautamente a Stella e l'abbraccio. Alex le tiene il braccio attorno alla vita per reggerla, lei non riesce neanche a reggersi in ginocchio.
Non sappiamo entrambi cosa dire. Non riusciamo a credere a quello che abbiamo visto e stiamo ancora mettendo a fuoco l'accaduto. L'unica cosa che possiamo fare è aspettare che si calmi, le diamo dell'acqua e Alex la prende in braccio mettendola sul divano.
Poi Alex esce in terrazzo e da come sento sta chiamando Jacob informandolo dell'accaduto.
Io sono vicino a lei, le tengo la mano ma lei ha lo sguardo perso e gli occhi dorati sono diventati rossi. Alex rientra e si siede vicino a noi.
"Stella, prometto che verremo a capo della questione. Adesso ho chiamato Jack, vedrai che risolveremo tutto e capiremo che cazzo succede. Ci incontreremo tutti noi ragazzi e parleremo con Simon".
Stella non risponde, fissa il vuoto.
Le accarezzo la mano fredda, il suo colore di carnagione caldo diventa bianco come il mio naturale.
Sono preoccupata, sembra che sia irrecuperabile.
"Non possiamo fare niente". Bisbiglia.
La sua voce è diversa e non sembra lei, ho paura che l'abbiamo persa. Non può perdere la sua luce, non può smettere di combattere e vivere radiosa come sempre. Ho una sensazione di nostalgia immensa nel vederla così vuota.
Forse ho perso la mia migliore amica.
JACK
"Entra".
Un brivido di freddo mi avvolge mentre accedo nell'ufficio di mio padre.
L'ambiente è infido, illuminato dalla lampada sulla scrivania ed è quasi sera. La luce che entra dalle finestre è appena sufficiente. Questa notte sognai di nuovo quelle maledette farfalle e inizio a pensare di essere più folle di quanto credessi. Ogni notte lo stesso sogno da quando lei non c'è più, pensare che le disegnava sempre quando era in vita. Bizzarro, visto che Madison ha una collana con una piccola farfalla argento.
Mio padre è seduto sulla sedia dietro la scrivania rivolta verso le finestre quindi non lo vedo in volto, chiudo la porta alle mie spalle e mi avvicino.
Cerco di assumere un tono che non marchi tutto il mio disprezzo e disgusto nei suoi confronti ma è difficile. Estremamente difficile.
Mi ha convocato qui. Sento l'odore del legno pregiato che avvolge questa stanza: mobili, pavimento e soffitto. Tutti materiali e oggetti di valori ottenuti macchiandosi le mani di rosso. Ma questo per lui è un dettaglio irrilevante.
"Sai cosa sto per chiederti. Quindi anticipami la tua risposta senza giri di parole".
La voce è severa, aspra, pungente. E per i miei gusti, irritante. Ma non posso darlo a vedere, sarebbe rischioso.
"Sai ciò che penso. Quindi evita di farmi ripetere". Rispondo.
Gira la sedia in pelle nera verso di me, lo sguardo è arcigno e vendicativo per la mia risposta impulsiva.
"Jacob, non sfidarmi. Sai cosa succede se lo fai". Si alza e viene davanti a me, posandosi sulla scrivania e mettendosi a braccia conserte. "Un matrimonio è la soluzione migliore per l'inevitabile aumento di guadagno e prosperità per l'azienda". Mi guarda con i miei stessi occhi ghiaccio e so che anche io riesco ad incutere lo stesso effetto eversivo sulle persone con il mio sguardo.
Su tutti, tranne lei.
"Lei è la nostra garanzia di successo" si avvicina e raggiunge la mia altezza. "Perché già sottomessa a te, ti vuole. E tu devi volere lei".
La follia umana arriva a livelli estremi quando si parla di potere, a tal punto da chiedere al proprio figlio di sposarsi a quasi ventidue anni con la figlia di un coordinatore di una tra le più importanti imprese di New York, insieme alla nostra.
Questa è una cosa che mai mi stancherò di rinnegare: la mia indipendenza.
"Posso arrivare ad alti livelli senza l'ausilio di una donna, specialmente se neanche la conosco a sufficienza. E non provo altro che disprezzo per lei".
Ride con quella voce instabile tale che è lui, ma purtroppo non riesco a nascondergli nulla. "Certo che la conosci. Non cercare di mentirmi, Jacob. La conosci eccome".
Si avvicina a me. "Anzi, è stata lei a proporre questa alleanza inizialmente. Poi non so perché tu decisi di fare stronzata di lasciarla. Adesso mi ha ricontattato, riproponendomi la stessa cosa".
"Non eravamo una coppia e mai lo saremo. Non ho bisogno di nessuno".
Torna a ridere e sento ribollire il sangue. Poi, si gira. Prende la tazza di caffè sulla scrivania.
La scaraventa al muro.
Un rumore assordante di coccigi aleggia nell'aria e pezzi di ceramica cadono a terra.
Respira a fatica ma non mi muovo. Forse inizierà a picchiarmi, ma ormai so come difendermi.
Torna a rigirarsi verso di me, troppo lentamente, con il volto contratto dal fastidio nei confronti del mio atteggiamento disobbediente. Una ribellione andata ad acuirsi sempre più nel corso degli anni.
E ultimamente, dopo un recente incontro, sento di voler essere ancora più libero.
E non ho paura.
"Tu hai bisogno di me. Sono io che ti ho dato tutto questo" indica l'ambiente circostante. "Dovresti essere grato, Jacob William".
Rimarca il mio secondo nome, come marchio di possesso nei miei confronti, come oggetto di sua proprietà che manovra da quando è nato. Ancor prima che nascessi sapeva ciò che ne avrebbe fatto di me.
Qualche volta mi chiedo se dovessi morire, a lui dispiacerebbe?
Non rispondo ma non per paura, per disprezzo.
Voglio uscire da qui, la gola brucia e le braccia tremano perché l'istinto di cacciare le armi è pericolosamente alto e lui se ne accorge. Sul suo volto appare un ghigno.
"Cosa c'è? Sei nervoso? Devi solo scopartela, Jacob. Non ti sto mica chiedendo qualcosa di faticoso. Non devi provare per forza sentimenti e questo lo sai benissimo". Ride rumorosamente e io sono al limite. Sono privato della mia dignità.
Non può più piegarmi al suo volere.
Caccio la pistola dalla fessura nella cintura sotto il giubbino e gliela punto sulla fronte.
Potrei farla finita, potrei porre fine a tutto questo e potrei prendere il comando. Devo solo premere il grilletto. Facile. Non è la prima volta che lo faccio.
La mia mano trema e lui mantiene quel ghigno senza pudore, senza paura.
"Spara, Jacob. Fallo".
Voglio farlo, da tutta la vita ormai. Da quando mi ha picchiato per la prima volta a quando mi ha tagliato con un coltello. A quando mi lanciò una pistola in testa fino ad aver minacciato di far del male ai miei fratelli.
Quindi cos'è che mi ferma?
"Sai anche tu che da solo non potrai fare nulla, non potrai gestire tutto questo e tua madre si vendicherebbe della mia morte" continua. "Guardami negli occhi e dimmi che non vedi lei, dimmi che non ti immagini di sparare a lei".
No.
Anche questa volta ho lasciato che mi manipolasse fino a cedere, indurmi a vedere un altro volto al posto del suo. E lo vedo.
Il volto con lievi rughe, un sorriso dolce, capelli scuri mossi, i miei occhi celesti come il ghiaccio al riflesso del sole. E di nuovo tante farfalle, le stesse che vedo in sogno da quando è venuta a mancare e le stesse che disegnava.
Ma io non voglio sparare a lei, solo che non riesco a non vederla e questo mi blocca. Tutte le volte che ho provato ad ucciderlo, perché ormai mi tiene in pugno da una vita e sa i miei punti deboli. Non sarò mai totalmente indipendente se continuerà a sapere come manipolare la mia mente.
Sono consapevole di quello che mi sta facendo.
La mia mascella è serrata e sento i denti stringersi tra loro. Lui mi abbassa la pistola lentamente fino a strapparmela via ma sono immobile e non posso impedirlo.
"Esci da qui".
Meccanicamente, indietreggio continuando a vedere questo dolce sorriso e viso davanti a me e mi pento di aver rischiato di spararle e ucciderla, di farla morire di nuovo.
Non posso sparargli e non troverò forse mai il coraggio di uccidere il peggior demonio della mia vita: mio padre. Il suo controllo in me è ancora troppo forte.
Esco dall'ufficio e mi appoggio alla porta chiusa. Riprendo fiato e il telefono inizia squillare. Passa diverso tempo prima che risponda e che torni ad essere lucido e operativo.
Sullo schermo il nome di Alex lampeggia insistentemente e rispondo.