16. Ossessione | Kobi

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Categoria: Missing moment
Rating: Giallo

Da quando lo aveva conosciuto, Monkey D. Luffy era rimasto impresso nella mente di Kobi. Ci pensava spesso, tutti i suoi avanzamenti di grado erano per mantenere una promessa fatta a lui: affrontarlo nel nuovo mondo nel ruolo di ammiraglio.

C'era però una certa differenza tra il "restare impresso" e l'essere ossessionato. Kobi era convinto di non essere messo così male, questo finché non fece un sogno.

Era finalmente diventato ammiraglio ed era da solo con lui. Con Luffy. Vedersi dall'esterno fu per Kobi abbastanza strano, ma mai quanto quello che accadde dopo.

Il Kobi ammiraglio parlò. «Finalmente ci rivediamo, Luffy. Ho raggiunto il mio obiettivo, hai visto? Sono diventato ammiraglio. Ora sono al tuo livello e posso catturarti.»

«Sono felice tu ce l'abbia fatto, ma non te lo lascerò certo fare! Mica mi faccio prendere!» esclamò Luffy con il suo solito sorriso.

L'ammiraglio sorrise, un sorriso inquietante. Alzò la pistola che aveva con sé e gli sparò.

Luffy non lo schivò con il soru. Era fatto di gomma, perché avrebbe dovuto? I proiettili li respingeva sempre.

Eppure andò a segno. Un proiettile di agalmatolite, ovviamente, particolarmente raro ma anche particolarmente efficace su chiunque avesse i poteri del frutto del diavolo, che gli si conficcò nella spalla.

Luffy ondeggiò all'indietro, tenendosi la spalla ferita con gli occhi sgranati.

«Cosa...?» fece mentre le forze venivano meno e lui cadeva sulle ginocchia.

«Talvolta sei davvero ingenuo... Apprezzo anche questo di te, però.» disse l'ammiraglio Kobi, inginocchiandosi davanti a lui e alzandogli il volto con un dito. Il suo sorriso inquietante si allargò vedendo il dolore e l'incredulità sul volto del ragazzo.

Luffy si accasciò a terra. Questo era l'effetto che l'agalmatolite pura aveva anche sul pirata più famoso al mondo, colui che aveva messo in ginocchio Kaido e Big Mom.

«Sai, è così bello vederti così indifeso... Davvero, davvero bello.» disse l'ammiraglio chinandosi su di lui. Giocò con le sue labbra con il pollice mentre Luffy lo guardava, senza muovere un muscolo. Non si mosse neanche quando si sedette accanto a lui e lo baciò, mordendogli il labbro con forza fino a fargli uscire sangue.

Luffy gemette di dolore e lo respinse, poi si mise a sedere, tenendosi una mano ormai coperta di sangue sulla spalla ferita. Per quanto privo dei suoi poteri ed indebolito, era pur sempre muscoloso. Riuscì a trascinarsi in piedi e schivò grazie all'ambizione un secondo proiettile destinato alla sua gamba, ma l'ammiraglio riuscì con facilità ad andargli alle spalle, ammanettarlo e ributtarlo a terra. L'unico gemito che il pirata emise fu più per la sorpresa che per il dolore.

«È inutile lottare, Luffy. Ora sei mio.» disse chinandosi dietro di lui. Lo tirò su, in modo che la schiena del pirata e il suo petto aderissero. Con un braccio lo tenne incollato a sé e gli prese il mento, girandolo in modo che le loro labbra potessero toccarsi, mentre l'altra mano passò lungo il suo petto.

Quest'ultima andò fino alla spalla ferita e accarezzò il bordo della ferita, sporcandosi di sangue e facendo gemere di dolore il pirata.

Kobi si leccò le dita insanguinate con gusto, poi la mano iniziò a scendere verso le sue intimità. Luffy emise un lamento e gemette: «Kobi, no...»

«Shh, non parlare. Non serve tu dica nulla... Staremo insieme, non sei felice?»

Non gli diede possibilità di rispondere e lo baciò, il sapore del suo sangue ancora in bocca, mentre la mano superava l'ostacolo dei pantaloni.

Il vero Kobi non seppe mai che accadde dopo. Dopo aver visto quello si svegliò di soprassalto, sentendosi sporco e in generale una persona orribile.

Perché la sua mente gli aveva fatto vedere una cosa simile?

Lui era affezionato a Luffy, okay, ma quello era troppo, se ne rendeva conto anche lui e non se ne capacitava. Quel Kobi ammiraglio era malato, solo un malato farebbe quelle cose ad un prigioniero.

Ed era lui che aveva fatto quelle cose. Si prese la testa tra le mani, ancora incredulo.

«Kobi? Tutto bene?» chiese una voce assonnata.

Hermeppo si mise a sedere nel letto accanto al suo. Condividevano la stanza, specialmente dopo il disastro di Marineford che aveva ridotto il numero di stanze disponibili per i marines.

Kobi lo guardò, non sapendo bene che dirgli. Glielo voleva dire, era il suo migliore amico, ma che avrebbe potuto davvero dirgli? Che il suo amico poteva essere un maniaco?

«Io... Un brutto sogno.» fece senza sapere che aggiungere.

«Vuoi parlarne?»

«Non lo so. Ero un maniaco in quel sogno e la cosa mi fa paura.» disse Kobi deglutendo.

«Se ti fa paura vuol dire che sai di non essere ciò che hai visto. Non dovresti preoccuparti, Kobi, tu sei una bravissima persona e non diventerai mai un maniaco.» disse Hermeppo guardandolo.

«Non lo so, era così reale... Santo cielo, stavo facendo a Luffy cose orribili.»

L'amico si alzò e si sedette sul letto accanto a lui. «Senti, tu ci tieni a Luffy. Non gli faresti mai del male, se togliamo il fatto che poi dovrai arrestarlo perché siete nemici giurati, giusto? Non so cosa tu abbia fatto a lui nel sogno, ma se ti fa ribrezzo, vuol dire che non vorresti mai farlo dal vivo.»

«A me preoccupa il fatto di averlo sognato! E se fosse qualche sogno oscuro che non so neanche io di avere?»

«Io credo di no. Perché ti conosco e non sei né un assassino, né un maniaco. Fidati, Kobi, sei una brava persona e lo sanno tutti. Lo sa anche Luffy. Non ti devi preoccupare.»

Quelle parole lo calmarono almeno un pochino. Hermeppo lo abbracciò e sussurrò: «Di marine corrotti ne siamo piedi. Sicuramente qualcuno che farebbe questo c'è di sicuro, ma non tu. Tu sei la persona migliore che conosca, una che ha affrontato Akainu per evitare che più gente morisse. Non dubitare mai di te stesso così.»

Kobi riuscì a rilassarsi davvero solo a quelle parole e sorrise. «Grazie.»

La sveglia suonò proprio in quel momento. Hermeppo sbuffò e disse: «E io che speravo di dormire ancora un po'.»

«Coraggio, i nostri doveri ci aspettano.» disse ridendo il più giovane, spingendolo giù dal letto. Si alzò a sua volta, preparandosi psicologicamente ad un'altra lunga giornata di lavoro.

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