--- CAPITOLO II ---

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D E E P W E E B

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D E E P W E E B

C A P I T O L O  II









Quando i primi tenui raggi solari illuminarono un angolo della piccola camera, Yoongi si affrettò a dare le spalle alla finestrella posta proprio sulla parete accanto al suo letto. Erano giorni che non usciva e la maggior parte del suo tempo l'aveva speso stando semplicemente sdraiato su quel materasso vergognosamente troppo sottile. Contrariamente a ciò che si sarebbe aspettato da sé stesso in una situazione del genere, a distanza di pochi giorni, il moro si sentiva ancora spaesato e perso; sospeso in un limbo che raffigurava un tempo e un luogo che mai avrebbe voluto conoscere. In quei giorni aveva riflettuto molto, soprattutto sulla sua persona, ed era arrivato a scoprire aspetti si sé che mai avrebbe immaginato di avere. Yoongi possedeva uno spirito forte e altamente competitivo, era capace di scavare nell'animo delle persone e lo faceva costantemente per capire come ottenere ciò che desiderava nel minor tempo possibile. Era intelligente, scaltro e tante altre cose che non gli sarebbero servite a nulla in un contesto simile. Il primo giorno, aveva sentito la rabbia filtrare all'interno delle sue viscere ogni volta che i suoi occhi avevano incontrato qualcosa o qualcuno e ancora più volte si era ritrovato a mordersi la lingua fino a sanguinare pur di non permettere alle parole che pensava di pronunciare di fuoriuscire dalle sue labbra. Per una persona che era abituata a dire tutto, così come lo pensava, nel momento esatto in cui lo pensava, ingoiare rospi per non avere ulteriori rogne equivaleva ad una tortura. Più volte era stato tentato dal desiderio di rispondere, nel modo peggiore che la sua mente riusciva ad elaborare, solo per ritrovarsi qualche secondo dopo con le parole premute contro le guance e il cervello che lavorava ancora più svelto del solito.

Si ricordava ancora del primo uomo con cui era stato costretto ad interagire in quel luogo, dopo essere stato portato via dal suo appartamento, ammanettato e scortato da alcuni agenti che fieri della cattura, avevano sfilato davanti ai residenti dell'edificio in cui viveva con lo sguardo alzato e il petto rigido. Tutti i vicini erano sembrati intenzionati a godersi lo spettacolo e lo avevano fatto fino a quando era stato loro possibile farlo; fino a quando la sua figura non fu impossibile da scorgere a causa dei finestrini oscurati dell'autovettura in cui era stato spinto ad entrare. E se sul viso di alcuni di loro la confusione era l'unica espressione che padroneggiava, su altri c'era un ignobile, tanto quanto immotivato, compiacimento. Yoongi aveva passato l'intero tragitto a cercare di focalizzarsi su qualche pensiero che in qualche modo gli sarebbe potuto tornare utile per capire in tempo reale ciò che stava succedendo ma si ritrovò a scontrarsi con la consapevolezza di esserne totalmente incapace in quel momento. La sua mente correva troppo veloce e gli risultava complesso trovare un filo logico per tutti i pensieri che sconnessi continuavano ad offuscargli i sensi. Non ricordava neppure se qualcuno degli agenti avesse provato a parlargli in quel momento.

Per un tempo inquantificabile lo avevano interrogato con la speranza di riuscire ad estorcergli informazioni riguardanti il suo lavoro, come lo svolgeva e sembrarono particolarmente interessati a sapere anche con chi lo svolgeva. Neanche per un secondo, tuttavia, Yoongi aveva pensato di rispondere ad una delle loro domande. Non si era mai trovato in una situazione simile, né tanto meno si ci era mai immaginato prima di quel momento, ma non era stupido e sapeva che la cosa migliore che avrebbe potuto fare per ridurre il danno fino a quanto gli era possibile, era rimanere in silenzio. Per tutto il tempo aveva deciso di tenere lo sguardo basso e gli occhi puntati sulla superficie del tavolo, un comportamento che, ben più di un paio di volte, aveva fatto andare in escandescenza colui che aveva immaginato essere un ispettore. Probabilmente però, l'uomo che gli stava davanti conosceva già la risposta a gran parte delle domande che aveva formulato e questo almeno, avrebbe spiegato in parte il motivo per cui si trovava in una camera piena di cimici e telecamere più che pronte a catturare ogni suo minimo respiro ed ogni suo cambio di espressione. Nessuno conosceva le dinamiche del suo lavoro, fatta eccezione per i ragazzi che aveva incontrato solo poche ore prima. Quella di cui tutti loro facevano parte era un'associazione tenuta assieme da un obbiettivo in comune ma il fatto che tutti loro guardassero nella stessa direzione e che volessero le stesse cose, non escludeva la possibilità che qualcuno di loro, mosso da un motivo al momento a lui sconosciuto, avesse fatto in anonimato una segnalazione alle autorità. Ma nonostante i suoi dubbi, il moro non era minimamente intenzionato a parlare con qualcuno al di fuori del suo gruppo, anche perché se c'era da vendicarsi, preferiva mille volte farlo da solo.

𝙳𝙴𝙴𝙿 𝚆𝙴𝙱 │ 𝚂𝙾𝙿𝙴Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora