Capitolo 03 - ripensamenti

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Seduta sulle scalinate sotto l'ombra degli alberi, Giulia leggeva e di tanto in tanto alzava gli occhi per vedere come andava la partita di calcetto di Teo.

Le ragazze degli altri giocatori si erano associate in una sorta di circolo del pettegolezzo e quindi dileguate in cerca di un aperitivo e dell'aria condizionata del bar. Aveva declinato il loro invito ad aggregarsi ed era rimasta volentieri da sola, in compagnia del suo romanzo.

Il cellulare trillò dentro alla borsetta. Era Lisa.

«Ho trovato un lavoro, Giagia.»

Il tono piatto a fronte della bella notizia allertò i sensi di Giulia. «Non sembra così terribile, Lili.»

«No, credo di no.»

«Cosa? Dove? Dammi qualche dettaglio.»

«Domestica. Dai Berger.»

«I Berger? Aspetta, intendi gli austriaci che hanno quella bella casa in campagna? La moglie non è quella che ha fatto un putiferio per due tazzine?»

«Sì, esatto.»

«E ora ti riassume?»

«A quanto pare.» Lisa era fin troppo taciturna e Giulia fu certa che le nascondesse qualcosa, ma la conosceva abbastanza da sapere che non era ancora disposta a parlarne. Così le offrì una via di fuga cambiando argomento. Avrebbe rimandato l'interrogatorio a un momento più adatto.


Stesa di fianco sul letto, Lisa riattaccò e si abbracciò al cuscino che teneva tra le gambe.

Subito dopo essere stata sculacciata era salita al piano di sopra e si era chiusa nella stanza del personale, una piccola camera che faceva anche da spogliatoio. Ci aveva dormito molte notti quando lavorava dai Berger, La Frau Stronza voleva che qualcuno della servitù fosse sempre presente, anche la notte.

Si era chiusa la porta alle spalle ed era scoppiata in lacrime, travolta dalla rabbia e dall'umiliazione.

Ora le pizzicavano gli occhi per aver pianto e aveva il sedere indolenzito per colpa della prolungata permanenza sulle ginocchia del crucco. Si odiava per aver permesso a quell'uomo di farle quello che le aveva fatto e anche per non aver avuto il coraggio di raccontarlo a Giulia.

Passata l'onda emotiva aveva pensato di scappare. Uscire dalla finestra e calarsi dal tetto, tornare alla macchina e fuggire via. Si era mossa per farlo, ma poi era rimasta con la mano sulla maniglia. Non era certa di capire perché non l'avesse fatto. Provò a convincersi che era per i soldi dello stipendio: in effetti ne aveva un gran bisogno.

Si mise in piedi per cambiarsi d'abito. Le divise della servitù erano tutte nell'armadio: lavate, stirate, imbustate e suddivise per taglia. Lisa ne prese una, strappò la busta di nylon e guardò la camicia e la gonna nera con una smorfia. Detestava le divise.

Tolse pantaloncini e maglietta e recuperò la biancheria dallo zainetto. Prima in giardino, quando sperava di potersene andare in fretta, non era stata a rimettersi mutandine e reggiseno. Si vestì mentre pensava ancora con dispetto a Mr Berger che la sculacciava. La pelle sensibile contro il cotone delle mutandine non le permetteva di dimenticarlo.

Insieme a quel pensiero le tornarono alla mente le passate estati nella colonica dei Berger. Era sempre stata la Frau Stronza a gestire la servitù, era lei quella che rompeva le palle per ogni sciocchezza. Lui invece era sempre stato cortese con lei e con le altre ragazze. Era un uomo gentile ed educato, appassionato di libri, caffè e della buona cucina; un po' pignolo forse, ma mai uno stronzo come la sua consorte.

Eppure, il ricordo che aveva di quell'uomo non assomigliava per niente a colui che l'aveva appena sculacciata al piano di sotto.


Seduto sulla poltrona del suo studio Michael Berger si guardava la mano con cui aveva punito Lisa Bellini. Suo nonno Adrian Berger avrebbe approvato il suo rigore con la servitù, ma un qualsiasi giudice moderno avrebbe parlato di percosse, violenza e chissà quale altro reato penale. Passata la cieca rabbia che gli aveva fatto vedere Miss Bellini come un'altra Helena, un'altra donna che lo prendeva in giro, che tentava di sottrargli qualcosa, anche soltanto il piacere di un bagno in piscina, restava la sconvolgente constatazione che aveva usato il ricatto per far accettare una pena corporale a una sua dipendente.

Sollevò il ricevitore del telefono e compose meccanicamente il numero di Klaus. Avrebbe dovuto affrontare immediatamente lo scotto del suo accesso d'ira e limitare il più possibile i danni. Si sarebbe scusato con Miss Bellini e le avrebbe liquidato un ragionevole indennizzo per l'offesa arrecata.

Il suo pensiero tornò all'evidente paura della ragazza per l'intervento delle forze dell'ordine, al suo parlare sboccato, all'orgoglio capriccioso nei suoi occhi. Era innegabile che la ragazza avesse bisogno di rigore e disciplina. Subito dopo cercò di scacciare quella considerazione. Era assolutamente fuori luogo interessarsi del comportamento della giovane, ma nel contempo riattaccò prima che l'apparecchio desse il segnale di libero.

Forse, piuttosto che con un legale, avrebbe dovuto consultarsi con Helga. Era sicuramente la persona più indicata, eppure dirle che i rapporti tra la servitù e la famiglia Berger avevano appena fatto un salto indietro di due generazioni non era facile. Non avevano mai parlato di quanto era successo quella lontana estate nella casa di suo nonno paterno.

Indugiò per un po' con le dita sulla tastiera, riflettendo su cosa fare, infine rimise il ricevitore nel suo alloggio, voltò la sedia dandole spalle alla scrivania e si guardò riflesso nei vetri della finestra.

Cosa avrebbe dovuto fare con Miss Bellini?

Uscì dallo studio e tese l'orecchio: la casa era immersa nel silenzio. Subito dopo quanto successo nel soggiorno, le aveva detto di andare a indossare la sua divisa e Miss Bellini era scomparsa al piano disopra sbattendosi dietro la porta. Da allora non l'aveva più vista o sentita.

Salì la scala che portava al piano di sopra e percorse il corridoio fino a raggiungere la penultima porta sulla destra. Dall'interno non si sentiva provenire nessun suono, tanto che gli venne il dubbio che la ragazza fosse ancora lì. Dopo quello che le aveva fatto non l'avrebbe sorpreso scoprire che si fosse data alla fuga. Il cigolio di un'anta dell'armadio lo informò che Lisa Bellini era nella stanza mentre l'idea di scusarsi per il suo oltraggioso comportamento tornava a farsi spazio tra i suoi pensieri. Sollevò la mano per bussare, ma proprio in quel momento la porta si aprì e Lisa Bellini gli si parò davanti nella sua divisa nera. Le stava bene proprio come ricordava.

«Che vuole ancora?» domandò lei ostile. «Mi sono cambiata come ha detto. Non le va più bene?»

«Miss Bellini si calmi.»

«Sono calma! Calmissima! Ora mi perdoni se non le faccio l'inchino, ma mi fa male il culo.»

«Scenda dunque in cucina» disse rigido Mr Berger. «Le mostro le sue mansioni.»

«Benissimo!» disse piccata Miss Bellini.

«Bene» convenne cupo Mr Berger. Ogni scrupolo sulla condotta nei confronti della sua dipendente era appena stato soffocato da una nuova ondata di furiosa indignazione.

Miss BelliniDonde viven las historias. Descúbrelo ahora