Ritorno

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L'aereo si era ormai sollevato da terra e anche se avessi voluto fare qualcosa, qualunque cosa, non avrei potuto.

Mi tolsi le cuffie, guardai dal finestrino verso il basso.

Il mondo che all'improvviso diventava piccolo.

Avevo provato una sensazione di forte inquietudine e poi avevo visto quell'uomo e quella donna avvicinarsi a mia madre e allo sceriffo e guardare dritto verso di me.

Come se stessero proprio cercando me.

Provai qualcosa di terrificante.
Era l'angoscia che si mischiava all'impotenza.
Se mia madre fosse stata in pericolo non avrei potuto fare nulla per aiutarla.

Presi il telefono, lo accesi. Non c'era campo e immediatamente una hostess venne verso di me.

<<Mi dispiace, signorina, ma l'utilizzo del cellulare non è consentito a bordo.>>

Me lo disse con un sorriso bellissimo, ma senza lasciarmi possibilità di replica.

Spensi il telefono e lo misi nello zaino.

<<Mi scusi>> le dissi, senza saper cosa aggiungere.
<<Non si preoccupi. Gradisce qualcosa? Un aperitivo?>>

Scossi la testa e lei si allontanò.
Non mi restava che confidare nello sceriffo O'Hara, se mai quelle due persone avessero avuto cattive intenzioni.

Non c'era davvero nulla che potessi fare e così mi appoggiai al sedile e chiusi gli occhi, cercando di liberare la mia testa da pensieri inutili e ansie ingestibili.

Il volo da Montreal a Charleston sarebbe durato circa cinque ore. Poi da Charleston avrei impiegato un'altra mezz'ora in auto per raggiungere Mainwood, una città ben più piccola che si affacciava direttamente sull'oceano Atlantico. Era lì che avevo sempre vissuto ed era lì che mio padre ancora abitava.

Trascorsi buona parte del volo sveglia, anche se avrei davvero voluto dormire. Pensai a mio padre, e a quanto sarebbe stato felice di rivedermi. Non riuscii a fare a meno di chiedermi come lo Sconosciuto potesse conoscere tanto anche su di lui.
Sapevo che la mia vita non sarebbe più stata la stessa una volta tornata in Carolina, perché ciò che avevo vissuto durante quei pochi giorni a Saint Claire era entrato troppo in profondità dentro di me.
Mi chiesi che cosa avrei potuto fare una volta arrivata, e immediatamente mi sentii avvolgere dallo sconforto.
Avrei chiamato sicuramente Scarlett, l'unica ragazza della mia età con la quale ero in buoni rapporti. Eravamo amiche, anche se lei era l'opposto di me. Solare, oltre ogni limite possibile.
La nostra non era l'amicizia strappalacrime che si vede nei film, però. Infatti quando avevo lasciato Mainwood nessuna di noi due era caduta in depressione all'idea che per tanto tempo non ci saremmo più riviste. Ma adesso che sapevo che sarei tornata alla mia vecchia esistenza piatta e incolore ero felice di poter trascorrere di nuovo del tempo con lei, perché restava comunque l'unica persona di quella città con la quale - per qualche motivo a me ignoto - riuscivo a condividere qualcosa.
Poi la sera avrei dato una mano al ristorante di mio zio, Pete, il fratello di mio padre, come avevo fatto già tante volte nel corso delle precedenti estati.
Più per tenermi impegnata che per una sua reale necessità. Il ristorante infatti era molto bello, affacciato proprio sull'oceano, ma anche molto piccolo.

Guardai ancora fuori dal finestrino, cercando di allontanare dalla mia testa tutte quelle sensazioni di deja vû che già stavano incominciando ad impadronirsi del mio cervello.

Come avrei potuto tornare a quel mondo dopo tutta la vita che avevo sentito entrare così improvvisa e inarrestabile dentro di me durante i giorni a Saint Claire?

Pensai ancora una volta a Desmond, allo Sconosciuto, a Jackson, allo sceriffo O'Hara.

Tutti loro mi sarebbero mancati.
Era incredibile il modo in cui per anni non fosse successo nulla durante la mia esistenza, e come poi solo pochi giorni l'avessero all'improvviso stravolta del tutto.

Persa tra quei pensieri e già piena di nostalgia chiusi ancora una volta gli occhi e alla fine mi addormentai.

Quando li riaprii, sentii la voce di una hostess che preannunciava l'imminente atterraggio.

Ero arrivata.

Scesi dall'aereo, recuperai la mia valigia e mi diressi nell'area principale del Charleston International Airport.
Presi il telefono e cercai il numero di mio padre.

Lo chiamai ma era spento.

Avevo appuntamento con lui agli arrivi, e non potevo credere che se ne fosse dimenticato, perché ci eravamo sentiti soltanto poche ore prima.

D'un tratto ripensai alle parole che lo Sconosciuto mi aveva scritto.

Tuo padre avrà bisogno di te

Un brivido freddo e improvviso mi percorse la schiena, bloccando di colpo anche i miei pensieri.

Trassi un respiro profondo, mi guardai intorno.

Centinaia di persone che parlavano, ridevano, si salutavano, si abbracciavano. Ma lui non c'era.
Potevo sentire le voci della gente che si rincorrevano e si intrecciavano; i bambini che gridavano, le mamme che in qualche modo cercavano di calmarli. I negozi intorno a me affollati, i cellulari che squillavano ovunque, i controlli continui della polizia.

Ma nel punto in cui avremmo dovuto incontrarci, mio padre non c'era.

Guardai di nuovo il telefono e vidi che avevo un sms non letto.
Era la notifica di un nuovo messaggio vocale in segreteria.

Lo ascoltai e sentii la sua voce.

<<Ciao Rose. Non so quando riuscirai a sentire questo messaggio, spero il prima possibile.
Eravamo rimasti d'accordo che sarei venuto a prenderti all'aeroporto, ma purtroppo ho avuto un'emergenza sul lavoro. Ho provato a liberarmi ma c'è di mezzo un giudice e quindi non ho potuto in nessun modo rimandare.
Non volevo farti tornare a casa in taxi però, quindi ho mandato il figlio di un mio amico di vecchia data a prenderti. Ti aspetterà nello stesso posto in cui avevamo appuntamento noi due.
Si chiama Alex.
Scusami ancora, tesoro. Ci vediamo a casa.>>

Il messaggio terminò ed io trassi un sospiro di sollievo. L'idea che potesse essere successo qualcosa a mio padre mi aveva spaventata a morte.

Ancora scossa e con il telefono in mano sollevai lo sguardo e, all'improvviso, lo vidi.

Era a pochi passi da me e mi stava sorridendo.

<<Tu devi essere Rose.>>

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora