Lei mi accarezzò una guancia, poi mi diede un bacio sulla fronte.

<<Grazie. Mi dispiace per non averti creduto.>>

Annuii e le dissi di non preoccuparsi, quindi mi diressi al piano di sopra, nella mia stanza.

Ero stanca. Volevo dormire, restare da sola, non pensare a nulla e non parlare con nessuno.

Ma non appena aprii la porta della mia camera, lo vidi. Immobile davanti alla finestra, di spalle.

Sembrava che stesse guardando la pioggia.

<<Ti stavo aspettando, Rose>> mi disse, senza voltarsi.

Avrei dovuto aver paura forse, ma non ne avevo.

Lo Sconosciuto si girò verso di me e mi guardò negli occhi. La sua espressione era triste, cupa. Come se stesse pensando incessantemente a qualcosa di terribile.

<<Stai bene?>> gli chiesi, stupendomi di me stessa. Che domanda era? Non mi era mai sembrato lui quello in pericolo, eppure fu la prima cosa che mi venne voglia di chiedergli.

<<Stai chiedendo a me se sto bene?>> mi rispose, sconvolto.

<< Io... non lo so, è stata una giornata tremenda.>>

Lui mi si avvicinò e mi guardò ancora negli occhi, in profondità. Il suo sguardo era tanto intenso che pensai che stesse cercando di entrare nella mia testa, nei miei pensieri, per poterli leggere, decifrare.

<<Non sono stato io ad uccidere quelle due ragazze, Rose. Tu mi credi, vero?>>

Lo guardai e senza esitare annuii.

Ne ero certa.

C'era qualcosa, da qualche parte dentro di me, che nonostante tutto continuava a non farmi andare in nessun modo contro di lui.

Gli presi una mano e la strinsi. Lui mi guardò stupito, confuso. Come se non se lo aspettasse. E non me lo aspettavo neanche io, ad essere sincera, perché non ero mai stata così intraprendente.

Intrecciai le mie dita nelle sue, e mi avvicinai ancora un po' a lui. Continuava a non staccare gli occhi dai miei, e io continuavo ad inseguire le sensazioni che frenetiche si rincorrevano nel mio cervello. Emozioni nuove e contrastanti con tutto. Contrastanti anche con la tristezza di quella notte.

Sentii il suo respiro lento e caldo su di me, sul mio collo. Presi anche l'altra sua mano nella mia e ancora una volta le nostre dita si intrecciarono.

All'improvviso non mi importava più sapere chi fosse, o che cosa potesse essere.

Non mi interessava sapere che cosa nascondesse o per quale ragione conoscesse tanti dettagli su di me e sulla mia famiglia.

E non mi interessava nemmeno conoscere il suo nome.

Andava bene così.

Era l'istinto che pulsava dentro di me, sotto la mia pelle, nel mio corpo, sulle mie labbra.
Era la voglia di sentirlo accanto, addosso.
Era il tempo che avevo sprecato e la tutta la vita che fino a quel momento non avevo mai vissuto per davvero.

Le mie labbra adesso erano ad un centimetro dalle sue, e potevo respirare il suo calore, il suo profumo. Sentire i battiti del suo cuore.

<<Allora dopotutto non sei così diverso da me>> gli dissi, avvicinandomi al suo petto, in un sussurro.

Lui sembrò, per la prima volta da quando l'avevo conosciuto, sorridere.

<<No, dopotutto>> rispose, avvicinandosi per quanto possibile ancora a me, al mio viso.

Riuscivo a percepire tutti i battiti del mio cuore accelerare, impazziti.
Chiusi gli occhi, smisi di pensare a qualsiasi cosa.

E poi, di colpo, la sentii.

La necessità improvvisa di raggiungere il lago.
Era come se fosse l'unica cosa di cui avessi bisogno in quel momento.

Il lago.

Un desiderio incontrollabile, irrazionale e violento. Sentii le mani diventare fredde, come il resto del mio corpo.
Come se non fossi più in me, cercai di allontanarmi da lui. Volevo uscire di casa e correre verso il lago in quel preciso istante.

Riaprii gli occhi e lui mi guardò. Vidi che sul suo volto era tornata l'espressione cupa di qualche minuto prima, ma non mi importava.
Il bisogno di raggiungere il lago era troppo intenso per permettermi di pensare a qualunque altra cosa in quel momento.

Cercai con tutta me stessa di liberare le mie mani dalle sue, di staccarmi da lui e di uscire da quella stanza, ma non vi riuscii. La sua stretta era diventata di colpo più forte, più intensa, come se stesse cercando di trattenermi lì con lui.

<<Lasciami>> gli dissi <<lasciami subito andare. Lasciami! Io devo andare, lo capisci?>> gli dissi, senza riuscire a distinguere neanche il mio stesso tono di voce.

<<No, Rose. Non devi andare al lago.>>

Lo guardai confusa, come se le sue parole stessero combattendo contro i miei pensieri.
Sapeva ciò che stavo desiderando, ciò che stava succedendo dentro di me.

<<Lasciami!>> gli urlai, e con tutte le forze che avevo in corpo cercai di liberarmi da lui, perché intanto il bisogno di raggiungere il lago era diventato completamente incontrollabile.
Ingestibile.
Mi dimenai con tutta me stessa e, alla fine, mi liberai.

Corsi verso la porta, la raggiunsi, la aprii. Ma lui mi superò, la richiuse e si mise di fronte a me, sbarrandomi la strada.

Provai un'altra sensazione nuova e irrefrenabile, qualcosa di simile alla voglia di esplodere e distruggere tutto ciò che in quel momento mi circondava e mi separava dal lago.

Stupita della forza che ancora sentivo di avere in corpo, lo spinsi contro la porta. Cercai di colpirlo, come se bloccandomi in quella stanza mi stesse rubando l'aria dai polmoni. Ma lui mi afferrò per i polsi, mi fece girare su me stessa e mi spinse contro la porta, invertendo le posizioni in cui ci trovavamo.

Poi all'improvviso, senza dire nulla, mi baciò.

Rose e lo SconosciutoWhere stories live. Discover now