Capitolo LVI | I hate when you cry

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Non credo di aver capito bene.
Lo guardo incredula per diversi secondi, sperando di aver immaginato tutto, prima di parlare.

— Tu ... Innamorato? Di me? — balbetto, iniziando a percepire le mie guance sempre più calde, nonostante la temperatura bassa.
— Sei sorda o cosa, SoYon? Hai sentito benissimo ciò che ti ho appena detto. — dice, duramente.

Sembra sentirsi più libero, dopo questa sfuriata, ma non è di certo tranquillo e sereno.
Ma ha buttato su di me un peso ancora più grande, probabilmente.

— Tu stai così per colpa mia, quindi? Stai così perché io ... sto con Chanyeol? — dico, più a me stessa, che a lui.

Non mi risponde, distogliendo lo sguardo.

— E ... Oh no. Ti prego, dimmi che ultimamente non stai parlando molto con Hyobin solo per causa mia, per farmi ingelosire. — dico, guardandolo, sperando di incontrare i suoi occhi castani e familiari.

Non risponde, continuando a tenere lo sguardo basso.

— Jungkook, cazzo! — urlo, dandogli una lieve spinta all'altezza della spalla.

Lui alza di scatto la testa verso di me, facendomi sussultare.

— Hai capito tutto. — mi dice, calmo.
— Io .. Jungkook, ti rendi conto che quello che stai facendo alla mia migliore amica è una cosa orribile? — mormoro, incredula per ciò che ho appena saputo e realizzato.
— Ah sì? E io? Io che sono il tuo migliore amico, non conto nulla? — strepita, facendomi trasalire.
Sgrano lievemente gli occhi.
Era da quando ruppi il suo camioncino giocattolo, da bambini, che non mi urlava contro in questo modo.

— Pensi solo alla tua felicità, SoYon. Non hai mai riflettuto sui miei comportamenti, non hai mai fatto caso a nulla! Hai sempre dato per scontato che io dovessi ascoltarti, supportarti, ma non hai mai pensato a me! — continua, alzando sempre di più il tono.

Sono paralizzata, e non per il freddo.
Fa un enorme respiro, distogliendo lo sguardo.
Dopo pochi secondi, torna a guardarmi.

— Sei solo un'egoista, SoYon. — dice, infine, con una freddezza incredibile.

Non riesco a sostenerlo.
Non ci riesco.
Le lacrime ormai sono uscite, e non posso farci nulla.
Ma sento un dolore all'altezza del petto, che sembra non voler passare.
Il suo sguardo.
Il suo modo di parlarmi.
Sono cose che non riconosco come appartenenti a Jeon Jungkook, il mio migliore amico, una delle poche persone che ho avuto accanto fin dalla mia più tenera età.
Ho bisogno di pensare, riflettere.
Mi allontano da lui, indietreggiando lentamente.

— Dove stai andando? — mi chiede, piano, forse sorpreso dalla mia reazione.

Non riesco a rispondergli.
Tutto ciò che mi ha detto, mi rimbomba nella testa. Sento che quest'ultima sta per scoppiare.
Mi volto, dandogli le spalle e iniziando a camminare velocemente.

— SoYon. — mi chiama.

Accelero.

— SoYon! — urla.

Corro, senza voltarmi.
Corro, corro contro il vento freddo e sul marciapiede ancora più freddo di Seoul, percependo un freddo ancora maggiore all'altezza del petto.

Come può essere, tutto questo?
Come posso aver fatto a non accorgermi di nulla?
Tutto ciò che mi ha detto, è come se mi avesse investito come una valanga di neve, e adesso sento che potrei soffocare, sommersa da tutto ciò.

Quando sono sicura di essere lontana da Jungkook, mi siedo a terra, sul marciapiede.
Sono senza una giacca, ho soltanto la mia felpa nera con delle rondinelle sopra, ma non ho freddo.
Mi fermo, e piango.
Piango, perché non lo riconosco più.
Piango, perché sono un'egoista, e lui ha ragione.
Piango, perché non merita di essere trattato in questo modo, tantomeno da me.

OMEGLEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora