"Scusi signorina Adkins, non vorrei disturbarla ma.. è permesso sedersi accanto a lei?" chiede una voce familiare. Alzo lo sguardo sorridente mentre Hunter prende posto accanto a me. Non dice nulla, mi avvolge un braccio attorno alle spalle, un po' cogliendomi alla sprovvista, e poi mi lascia un bacio sulla tempia. "Buongiorno." sorride.

"Buongiorno, perché sei qui?" gli chiedo in modo gentile tirando di più le maniche. "Che io sappia non hai inglese." gli sorrido.

"Tenti di dirmi in modo gentile che non mi vuoi qui?" ridacchia.

"Certo che no." rispondo arrossendo.

"Ti faccio una piccola visita prima che la Judith decida di cacciarmi fuori a calci. Come va il nuovo alloggio, testa-di-fuoco-Adkins?" domanda.

"Tutto bene, per lo meno non ci sono ratti e il posto è decisamente più accogliente e pulito. Millicent ha fatto davvero un buon lavoro con quel letto che ha aggiunto." annuisco pensando a come sia andata a trovare un letto al vecchio mercatino dell'usato.

"Già, me lo ha detto."

"Passi a fare una visita ogni tanto?" gli chiedo.

"Forse.. non vorrei sembrare indiscreto." ridacchia. "Ma si. Oggi pomeriggio sei impegnata?" al suo sorriso caldo e gentile, per nulla simile a quello malvagio di Styles, mi sento come pervasa da una forza nuova e il cuore batte un po' più forte.

"Vorrei poterti dire che lo sono, ma non è così, dovrei passare da Arthur per sistemare un po' la sua libreria, ma magari potremmo vederci un altro giorno." faccio spallucce.

"Mi stai chiedendo un appuntamento?" alza ed abbassa le sopracciglia.

"Sparisci dalla mia vista, nemmeno morta." mi atteggio facendolo ridere.

"Hai freddo Adkins?" ridacchia indicando le mie mani ed allungano le sue per afferrare le mie.

Lascio uscire un piccolo gemito di dolore quando tocca il polso che, a detta mia, non mi fa più male. Lo ritraggo all'istante, guardandolo un po' dispiaciuta visto che non capisce il motivo del mio gesto.

"Oh.. beh, ci vediamo a pranzo." sorride facendomi un cenno con la mano ed andando via.

Mentre lo vedo allontanarsi prendo il polso destro nella mano sinistra e lo massaggio delicatamente mentre chiudo gli occhi, tutto sotto al banco, nessuno deve notare niente, nemmeno il ragazzo alle mie spalle, l'artefice di tutto questo.

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Quasi tre ore dopo mi sento pronta per poter svuotare la mente lavorando un po' da Arthur, ed è per questo che sto camminando da più di mezz'ora verso la sua bottega. Ho scoperto comunque dove si era rifugiata invece di venire a scuola: pare che in quel vecchio negozio dell'usato abbia trovato delle cose interessanti (un vecchio giradischi, delle polaroid) e non potendosi permettere di comprarle passa il tempo lì, a fissarle, toccarle, provarle, mi ha promesso che un giorno mi ci porterà, che mi farà vedere quanto sono belle. Mentirei se dicessi che l'idea non mi rende euforica come una bambina davanti ai pacchi di natale. Quando arrivo da Arthur guardo con attenzione la vetrina, sporca come sempre, ed assottiglio la vista per poter leggere, in vernice sbiadita e scrostata, una scritta che si trova nella parte in legno sopra al vetro: 'le cose che parlano'. Arthur è già lì, dietro il bancone, con una pipa in bocca che ha offuscato di più l'aria già chiusa, dandole però un odore, che mischiato a quello dei libri vecchi, rende tutto pura magia.

"Ciao Arthur!" sorrido felice, finalmente un viso dolce ed estraneo alle dinamiche quasi guerresche della scuola. Senza contare che Arthur sembra quasi mio nonno, e il modo in cui sorride me lo ricorda parecchio, a dire il vero. 

SheolWhere stories live. Discover now