Capitolo 50

14 1 4
                                    

Marika si ritrovò davanti al giardino curato della villa e un brivido le attraversò le spalle. Era identica a come la ricordava, mancava solo una brancata di ragazzetti stravaccati sui divani del portico e la musica da discoteca. Era passato poco più di un mese dalla festa che aveva dato il via al tutto, ma le pareva fosse trascorsa una vita. Era cambiata. La ragazza che seguì Sandro Menna sul vialetto fino al portone laccato era una nuova versione di sé. Le mancava da capire se fosse migliore o peggiore della precedente.

Il viaggio in macchina era stato silenzioso. Si era seduta dietro il sedile vuoto del passeggiero con un occhio sempre fisso sull'uomo alla guida che l'aveva ignorata per tutto il tempo. La fragranza del suo dopobarba era pungente e aveva riempito l'abitacolo mescolandosi all'odore dei sedili di cuoio.

Sandro Menna entrò in casa. Lasciò la porta aperta, ma non si voltò per accertarsi che lei lo seguisse. Con lui le persone obbedivano, non avevano bisogno di solleciti. Marika approfittò di quegli attimi per preparare il telefono e riporlo in tasca.

La sala con il soffitto stellato l'accolse. Con le luci spente, però, l'effetto magico era assente. Si vedevano solo un intreccio elegante di cavetti bianchi e lampadine spalmati sopra l'intonaco chiaro. I quadri, di una bellezza disarmate, spiccavano come una pennellata di colore sopra una tela grigia.

«Sono a casa» asserì l'uomo con voce decisa.

«Ciao, pa'.»

«Ciao, Sandro.»

Le risposte arrivarono dalla cucina. Edoardo Mattonai era chino sul frigorifero aperto, mentre Andrea Menna aveva appena appoggiato una pentola piena d'acqua sui fornelli in ghisa. «Butto la pasta anche per te?»

Porgendogli la domanda si girò verso di lui e il suo volto si scurì notando Marika.

«E lei che ci fa qui?»

Pure Edoardo la vide e il viso perfetto, di solito granitico, si increspò per colpa del sopracciglio alzato.

L'uomo liquidò la domanda del figlio scrollando le spalle. «Affari, ma starà per poco. Pranzo con voi.»

Edoardo chiuse il frigorifero e spostò lo sguardo tra Marika e Sandro. «Che tipo di affari?»

Andrea sbuffò e gli rivolse un'occhiataccia a metà tra l'incredulo e il risentito, mentre Sandro Menna gli rispose con un tono di voce più duro rispetto a quello che aveva utilizzato con il figlio. «Non vi riguarda.»

Marika, che aveva assistito allo scambio di battute in silenzio, scappò dalle insistenti iridi ambrate di Edoardo. Sembravano urlarle: non hai ancora imparato a farti gli affari tua? Evitò anche di incrociare lo sguardo con quello di Andrea. Non riversargli addosso tutto il suo odio le costò una fatica immane. Ogni cosa che aveva e le esperienze che aveva avuto l'occasione di fare, l'aveva fatte a scapito della vita di Jack. L'aveva fatta franca e lei non riusciva a tollerarlo. Fu quasi grata a Sandro Menna quando le indicò di uscire dalla cucina con un cenno del capo.

Lo seguì su per le scale che portavano al secondo piano e la sua parte più irrazionale, completamente inadeguata alla situazione, le ricordò che quello era il luogo dove aveva conosciuto Jack. Le parve quasi di vederlo di nuovo in piedi di fronte alla vetrata con il cappuccio della felpa calato sulla testa e le spalle ricurve. Quella sera le aveva dato l'impressione che non volesse essere lì, ma nemmeno nelle sue supposizioni più brutte sarebbe riuscita a immaginare il motivo. L'idea di quanto fosse doloroso per lui essere obbligato a guardare negli occhi il ragazzo che gli aveva rovinato la vita e fare finta che andasse tutto bene la disorientò e rafforzò la convinzione di quello che stava per fare. O che avrebbe tentato. Non aveva speso troppo tempo ad analizzare l'idea. Aveva agito d'istinto, atteggiamento che ormai era diventato un'abitudine. Sprazzi d'impulsività c'erano stati nella sua vita, ma mai così marcati come nell'ultimo periodo. Ora aveva la certezza che tutte le volte che aveva confidato a Rebecca che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei non stava mentendo.

Sandro Menna attraversò il corridoio passando davanti al salotto con gli arredi in pelle e la riproduzione del Guernica appesa alla parete. Aprì la porta a destra delle due che rimanevano in fondo e Marika si ritrovò in uno studio simile a quello del Desire. Gli arredi erano gli stessi, scuri e minimali, solo il persistente odore di tabacco era assente. E i due uomini nerboruti armati di coltello.

Sandro si diresse dietro la scrivania di legno scuro e si sedette sulla poltrona di pelle grigia dall'alto schienale, dopo le suggerì di fare altrettanto indicando le due poltroncine di plastica nera sistemate davanti.

«Su ragazzina, parla.»

Marika si tolse lo zaino dalle spalle, lo ripose accanto ai piedi e chiuse le mani a pugno sperando di nascondere il loro tremito. Cosa le era saltato in mente? Ora aveva paura.

Durante il viaggio si era preparata un discorso, ma le parole le inciamparono sulle labbra e quello che pronunciò fu solo un mormorio confuso.

Sandro le rivolse uno sguardo ammonitore e impaziente. «Mi auguro che sia davvero qualcosa di importante, perché ho corso un rischio a portarti a casa con me; se qualcuno ci avesse visto dovrei fornire delle spiegazioni e io odio fornire spiegazioni. Perciò?»

Marika deglutì il groppo che le ostruiva la gola. Nella sua testa le era apparso facile: bastava mettere in fila qualche frase a effetto, aspettare che si contraddicesse e il gioco era fatto, ma la realtà era diversa. Non aveva dato peso sufficiente alla paura che quelle iridi verdi e l'espressione severa le incutevano. Sandro Menna la guardava come se fosse un piccolo insetto fastidioso da schiacciare sotto la suola delle scarpe e sapeva che sarebbe stato capace di farlo. Chissà quanti aveva distrutto come aveva fatto con Jack.

Un brivido le risalì sulle braccia e l'ansia le chiuse lo stomaco. Pensò ai suoi genitori che la consideravano al sicuro a casa. Si sentì un mostro. Un mostro molto vicino alla sua fine.

«Beh, le ho chiesto questo incontro per discutere di una cosa che riguarda...» la sua voce si spense distratta dai rumori che le giunsero dal piano di sotto. Aveva lasciato la porta dello studio aperta. Voci concitate che chiedevano di lei. Quando le riconobbe il cuore le perse qualche battito e il poco colore che le era rimasto sulle guance l'abbandonò.

«Che cazzo succede?» tuonò Sandro Menna alzandosi in piedi.

Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now