Capitolo 11

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Marika si irrigidì non appena Andrea le passò la mano intorno alla vita e provò a scostarsi, ma lui aumentò la presa.

«Non così di fretta» le mormorò a pochi millimetri dall'orecchio.

Marika si voltò pronta a fulminarlo con lo sguardo, ma un altro paio di mani si posarono sul braccio di lui e glielo levarono di dosso.

«Lasciala andare, Andre.» Matteo fronteggiò l'amico.

Marika approfittò della ritrovata libertà per mettere qualche metro di distanza tra lei e Andrea, poi si passò una mano sul viso, a disagio. Quel ragazzo la inquietava.

Dallo sguardo assassino che Andrea lanciò a Matteo, temette che la situazione stesse per precipitare, ma Edoardo Mattonai, appena apparso alle spalle dell'amico, si mise tra i due. «Calmatevi. Ci stanno guardando» sibilò a entrambi con voce tagliente. Solo allora Marika si rese conto che metà degli sguardi degli studenti presenti nel corridoio erano puntati su di loro.

Edoardo posò le sue iridi ambrate su di lei. «Seguimi» le ordinò categorico.

Marika rimase qualche attimo immobile e spostò lo sguardo su Matteo, ma lui non aveva ancora tolto gli occhi da Andrea. Sembravano due cani pronti a sbranarsi.

Disgustata da tutto quello che stava succedendo poggiò una mano sulla spalla del suo compagno di classe. «Grazie, ma adesso basta.»

Il tocco sembrò riportare Matteo alla realtà, perché scosse la testa e fece un passo indietro, poi si voltò verso di lei e quando i loro occhi si incrociarono Marika vi lesse tutto il dispiacere che provava per quello che era appena successo e per essere stati interrotti di nuovo.

Stava per dirgli che avrebbero continuato il discorso dopo, però Edoardo la richiamò. «La ricreazione sta per finire» le fece notare con tono annoiato.

Andrea Menna sbuffò sonoramente e poi se ne andò tirando una spallata alla macchinetta richiamando, con il rumore, l'attenzione anche degli studenti che ancora non avevano fatto caso a loro.

Marika sgranò gli occhi, allibita. «È pazzo» mormorò a nessuno in particolare mentre lo osservava rientrare in classe e le sfuggì l'occhiata eloquente che si scambiarono Edoardo e Matteo.

«Ma che problemi ha?» continuò rivolgendosi a loro.

Matteo abbassò lo sguardo, mentre Edoardo si limitò a scrollare le spalle. «Ignoralo e guarda di fargli riavere i soldi il prima possibile» le consigliò sbrigativo. «Così smette di rompere le palle» concluse con un tono di voce più basso, prima di voltarsi e tornare in classe.

Marika osservò anche lui a occhi sgranati, poi si girò verso Matteo.

«Ma stanno scherzando, vero?»

La rabbia aveva iniziato a farsi strada dentro di lei. Non gli avrebbe mai ridati quei soldi, visto che non era stata lei a chiedergli la droga.

Sempre senza guardarla negli occhi, Matteo provò a prenderle la mano, ma lei si scostò infastidita.

«Rispondimi!»

Il ragazzo riportò lo sguardo su di lei. Il senso di colpa per non averla accompagnata quella sera alla festa lo stava logorando. «Andrea non scherza su queste cose, Marika. Ma non ti preoccupare...» aggiunse non appena vide le iridi di lei riempirsi di disperazione «... glieli ridò io i soldi.»

Marika si morse il labbro e si passò una mano sul viso. Negli ultimi mesi aveva messo dei soldi da parte, tra compleanno e risparmi delle paghette settimanali, ma non li avrebbe mai spesi così.

«No. Lascia perdere, Matte. Tu neanche c'eri. Me la vedo io.»

Lui stava per ribattere, ma il suono della campanella che segnalava la fine dell'intervallo risuonò per tutto l'ambiente.

Dopo aver preso il telefono dalla tasca dei jeans, Marika lanciò un'occhiata alla porta dei bagni femminili in fondo al corridoio. «Se la prof arriva subito dille che sono in bagno. Arrivo» lo informò senza neanche guardarlo negli occhi. Compose il numero di Rebecca e fece partire la chiamata mentre muoveva i primi passi dal lato opposto alla sua classe.

Matteo rimase immobile nel mezzo al corridoio con un'espressione sconsolata e preoccupata dipinta in volto. Andrea Menna non era il tipo giusto con cui scherzare, ma temeva che Marika non se ne fosse resa conto.

Lei intanto aveva raggiunto i bagni e si era chiusa dentro a quello più lontano dalla porta d'ingresso. Stanca, si era lasciata cadere contro la porta di legno e aveva chiuso gli occhi, aspettando che all'orecchio le giungesse la voce della sua migliore amica.

Senza che riuscisse a fermarle, piccole lacrime iniziarono a rigarle il volto, ma Marika le asciugò con un gesto secco della mano. Erano lacrime di rabbia.

Rebecca rispose al settimo squillo.

«Ehi Rebe, scusami se ti chiamo, ma devo raccontarti quello che è appena successo. Andrea Menna è...»

Marika si interruppe non appena la sentì sussultare e singhiozzare.

«Rebe?» mormorò mentre la preoccupazione iniziava ad annodare lo stomaco. «Si tratta di papà? Come...»

Rebecca singhiozzò più forte e Marika sentì il nodo stringersi ancora. Le lacrime tornarono a premerle dietro le palpebre.

«Arrivo. Chiamo mamma e mi faccio portare subito da te»

Affannosamente spostò il telefono da una mano all'altra per afferrare la maniglia, ma le parole che pronunciò pochi attimi dopo la sua migliore amica, tra un singhiozzo e l'altro, la immobilizzarono.

«Mari, papà è stabile. Sono io che sono nei guai.»

Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now