Capitolo 21

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Marika riservò alla sua immagine riflessa uno sguardo incerto. Aveva indossato un paio di pantaloni di jeans neri e una maglia del medesimo colore con le maniche a pipistrello, poi, per assomigliare ancora di più a Rebecca, si era arricciata i capelli e li aveva raccolti in una coda alla base del capo. Capiva come mai tante persone le scambiassero per gemelle.

Mancavano dieci minuti alle dieci e il peso che le si era posato sullo stomaco da quando aveva risposto ai messaggi di Jack si era fatto via via più opprimente. Le pareva che le impedisse di respirare bene.

Rebecca le aveva scritto nel pomeriggio, ricordandole che non doveva sentirsi obbligata a farlo e che, anzi, avrebbe preferito che lasciasse perdere, ma Marika ormai si era decisa. Aveva visto la sua migliore amica crollare, non poteva continuare a fare finta di niente.

Lanciò un'ultima occhiata penetrante alle sue iridi riflesse cercando dentro di sé la forza di fare quello che andava fatto, poi sospirò e chiuse l'anta dell'armadio.

Raggiunse la porta a passo svelto cercando di non guardare il mobilio chiaro. Vestita di nero a quella maniera sembrava una mosca che si aggirava in un batuffolo di cotone. Il bianco delle pareti non le era mai sembrato così opprimente. Ripose il cellulare che le aveva dato Rebecca nella tasca del giacchetto di jeans che aveva appeso alla porta. Le temperature di quelle sere di fine aprile erano sempre rigide.

Cercando di fare il minor rumore possibile, attraversò il corridoio della zona notte. Abitava in un appartamento nel centro città. Con il bagno alle spalle, rifiutò di lanciare un'occhiata alla camera dei genitori e aprì piano la porta di vetro colorato che la separava dalla zona giorno. La cucina e il salotto erano comunicanti. I pensili di legno chiaro, sulla destra, riprendevano il tavolo del medesimo colore posizionato poco prima della porta d'ingresso, mentre i suoi genitori erano accomodati sul divano di pelle rosso ad angolo che occupava la parte sinistra della stanza. La televisione, sintonizzata su un canale che trasmetteva una serie poliziesca, era attacca alla parete e circondata da varie foto che si erano scattati tutti e tre insieme nel corso degli anni.

Sentendola arrivare, Marcello si voltò verso di lei. L'uomo teneva un braccio intorno alle spalle della moglie, che dormiva appoggiata alla sua spalla.

«Esci, Mari?» le domandò con voce stanca.

Annuì.

«Vado a fare due passi sul corso con delle compagne di classe, dopo la giornata di oggi ho bisogno di svagarmi un po'.»

Mentire a suo padre le provocò una stilettata al cuore. Si fidavano ciecamente l'uno dell'altra, non c'erano mai stati segreti tra di loro, ma stavolta non poteva raccontargli la verità.

Marcello annuì e le rivolse un'occhiata comprensiva. Lui era passato a trovare Rebecca prima di cena. «Ti capisco. Non fare troppo tardi e divertiti. Per qualsiasi cosa chiamami.»

Marika annuì, ma si affrettò ad abbassare la testa per nascondere le lacrime che le avevano inumidito gli occhi. «Buonanotte» rispose soltanto, poi si avvicinò al portone, prese le chiavi da sopra il ripiano della cucina e uscì nel pianerottolo.

Alle dieci in punto, il faro di un motorino illuminò la traversa del corso dove Marika attendeva con le spalle appoggiate al muro delle costruzioni che la delimitavano. Alla sua destra, la via principale brulicava di gente, soprattutto giovani, che ridevano e chiacchieravano con in mano bicchieri di plastica trasparente pieni di alcolici e succhi colorati. Per essere lunedì, c'era molta più gente del solito.

Jack rallentò fino a fermare il motorino davanti a lei. Indossava gli stessi abiti della sera della festa a casa di Andrea e teneva il vecchio borsone tra i piedi appoggiato sopra la pedana. Quando si voltò a guardarla, constatò che pure lo sguardo stanco era lo stesso, solo le occhiaie erano più scure.

La salutò con un gesto del capo, poi spostò lo sguardo sulla via principale, ma nessuno stava facendo caso a loro. Anche perché, visti da fuori, sembravano solo due giovani che volevano un po' di privacy.

Se l'ansia che le attanagliava lo stomaco non fosse stata così forte, Marika era sicura che sarebbe arrossita a quel pensiero, ma tutt'altro affollava la sua mente. Per ora, Jack sembrava non essersi accorto che non fosse Rebecca.

Il ragazzo scese dal motorino a testa bassa, aprì il sottosella per prendere un secondo casco e glielo porse.

Lei deglutì e staccò le spalle dal muro. Titubante tese il braccio verso di lui per prendere l'oggetto, interrogandosi se non avrebbe fatto meglio a rivelargli subito chi fosse, ma Jack sollevò la testa e la guardò dritta negli occhi.

Per qualche attimo non successe niente, poi il ragazzo aggrottò le sopracciglia chiare e abbassò il braccio. Le sue iridi verdi erano piene di confusione.

«Tu non sei Rebecca.»

Lo aveva affermato con tono piatto, con una vena di stanchezza malcelata, ma a Marika venne comunque la pelle d'oca. Rebecca l'aveva rassicurata che poteva fidarsi di lui, ma adesso non ne era più così sicura.

Avrebbe dovuto spiegargli la situazione, il perché si trovasse lì, ma, contro ogni logica, non lo fece.

«Rebecca ha avuto un contrattempo e, se non è un problema per te, la sostituisco io.»

Le labbra lui si tesero in una linea sottile e si portò una mano alla base del collo, sembrava esitante.

«Ma loro lo sanno?»

Marika deglutì e incrociò le braccia davanti al petto. Non serviva che specificasse a chi si stesse riferendo.

«No, ma...» Jack iniziò a scuotere la testa e lei sentì aumentare l'oppressione al petto. «... ti prego. Rebecca non si sente bene. È solo per stasera. Ci assomigliamo molto e nessuno si accorgerà che non sono lei.»

Jack la lasciò finire di parlare, poi abbassò lo sguardo e lo puntò sull'asfalto ai suoi piedi.

«Ci incastra la ragazza che hanno trovato ieri notte?»

Marika sgranò gli occhi, ma non mentì. «Sì.»

Jack si morse il labbro inferiore e scosse di nuovo la testa, poi però la risollevò fino a incrociare le iridi con le sue. Se prima le era sembrato di vederci stanchezza, ora ci trovò solo una profonda tristezza.

«Sei la sua migliore amica, giusto?»

Annuì in silenzio.

«Va bene, allora. Ma solo per stavolta.»

Doveva essere una stupida storia d'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora