Capitolo 13

60 20 16
                                    

Marika sbatté le palpebre e socchiuse la bocca. «Stai scherzando, vero?» le domandò alzandosi in piedi.

Rebecca scosse la testa. «Purtroppo no.»

«Che cazzo! Quel bastardo rivuole i soldi e poi la droga è di suo padre? Appena lo vedo—»

Rebecca si sollevò di slancio e le prese il volto tra le mani. «Non puoi dire niente, Mari. Ho giurato che non avrei raccontato a nessuno di questa cosa, ma non potevo nasconderla a te. Ti prego, il padre di Andrea non mi sembra il tipo che scherza.»

Marika sbuffò, poi chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro quella della sua migliore amica. Dopo che aveva chiuso la chiamata con lei aveva deciso di non raccontarle di Andrea, per non caricarla di ulteriori problemi, ma adesso non poteva tenerlo per sé. Stava giusto per iniziare a parlare quando Rebecca allontanò la testa dalla sua e la guardò negli occhi.

«Aspetta un attimo. Di che soldi stai parlando?»

Marika rimase a bocca aperta, poi ripensò alle ultime parole che aveva pronunciato e si diede della stupida. Glielo raccontò con la voce fremente di rabbia.

«Stamattina, a ricreazione, stavo prendendo un caffè alla macchinetta insieme a Matteo, quando mi si è avvicinato Andrea e mi ha detto che gli devo novanta euro. Credo che si riferisca alla droga che ho soffiato in faccia al Mattonai.»

Le labbra di Rebecca si incurvarono verso il basso e i suoi occhi si inumidirono di nuovo.

«Cazzo, Mari. Mi dispiace, è colpa mia.»

Marika sentì il cuore stringersi in una morsa e si sentì un mostro. Dopo quello che le aveva appena raccontato, il debito che aveva con Andrea non era neanche degno di essere chiamato problema e Rebecca non doveva accollarsi pure quello. Anche perché lei non aveva nessuna colpa.

Marika l'abbracciò. «No, Rebe. Scusami tu. Lascia perdere, okay? Non devi preoccuparti, domani proverò a parlarci e vedrò di risolvere la situazione. Adesso dobbiamo pensare a una soluzione per te. Qualsiasi contratto abbiano stipulato il padre di Andrea e il tuo, lui non può chiederti di fare una cosa del genere...»

Rebecca sospirò e lasciò ricadere la testa contro quella di Marika. All'inizio aveva sospettato che Sandro Menna stesse solo cercando di fregarla, approfittandosi della situazione disastrosa in cui versava suo padre, ma poi aveva visto i versamenti e c'era stato qualcosa, nell'espressione dell'uomo, che l'aveva convinta che fosse meglio non contraddirlo. Lui aveva affermato che suo padre avrebbe potuto perdere la ditta di vernici di cui era il titolare da più di dieci anni se non avessero pagato. L'aveva spaventata e non se l'era sentita né di rischiare, né di coinvolgere sua madre, sicché aveva potuto solo accettare.

«A quanto pare può, Mari» si limitò a risponderle con un filo di voce. Aveva paura, quella situazione la terrorizzava.

Marika stava per ribattere che forse avrebbero potuto trovare un'altra soluzione, ma le note di una canzone dance anni novanta si diffusero per tutto il soggiorno e lei ammutolì.

Come riconobbe la suoneria del suo cellulare, Rebecca raddrizzò la testa e lanciò un'occhiata titubante allo smartphone che aveva abbandonato sul tavolo della cucina. Non riuscendo a vedere chi fosse il mittente della chiamata, si avvicinò al tavolo e un groppo di preoccupazione le si formò in fondo alla gola quando lesse numero sconosciuto sul display.

«Rebe non...» rispondere stava per suggerirle Marika, ma lei aveva giù accettato la chiamata.

«Rebecca?» domandò una voce maschile dall'altro lato della cornetta.

La giovane deglutì nella speranza di sciogliere il nodo alla gola e chiuse gli occhi. Rispose con voce ferma, ostentando una sicurezza che non aveva.

«Sono io.»

«Ho saputo che ti hanno parlato di me stamattina. Dimmi dove possiamo incontrarci, vorrei spiegarti di persona alcune cose e metterci d'accordo per stasera.»

«Stasera?» Le tremò la voce.

«Sì, mi hanno informato che iniziato oggi.»

Rebecca deglutì e un brivido le corse per tutta la schiena. Sperava di avere più tempo.

La persona dall'altro lato del telefono sembrò accorgersi della sua reazione titubante, perché riprese a parlare più lentamente, quasi esitante.

«A te non l'avevano detto... Non preoccuparti. Non è difficile. Allora, dove possiamo incontrarci?»

Rebecca spostò le iridi fino a incrociare quelle della sua migliore amica, che nel silenzio dell'ambiente era riuscita ad ascoltare tutta la conversazione. Marika la stava implorando con lo sguardo di buttare giù e di lasciare perdere quella situazione, ma non poteva.

«Conosci il parco dove c'è il monumento alla Resistenza?»

Quel parco si trovava vicino a casa sua ed era sempre molto frequentato dalle famiglie con i bambini perché era attrezzato con vari giochi e altalene.

«Sì, ma per la conversazione che dobbiamo fare sarebbe più opportuno incontrarsi in un luogo meno...»

«Ti prego» lo interruppe con un filo di voce immaginando come avrebbe concluso la frase.

Dall'altro lato del telefono il ragazzo sospirò.

«Va bene. Alle tre sotto il monumento.»

Doveva essere una stupida storia d'amoreजहाँ कहानियाँ रहती हैं। अभी खोजें