Capitolo 15

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Marika riservò all'amica un'occhiata preoccupata. Rebecca aveva indossato un paio di pantaloni di jeans scuri e una felpa nera che le arrivava fino a metà coscia, con un largo cappuccio che le ricadeva sulle spalle strette. Aveva anche raccolto i capelli biondi in una crocchia tirata, ma in quel momento la stava disfacendo perché si era ricordata che il misterioso ragazzo, ancora non lo chiama per nome, le aveva detto che sarebbe passato a prenderla con il motorino e quindi avrebbe dovuto infilarsi il casco.

Dopo l'incontro al parco erano tornate a casa di Rebecca camminando una a fianco all'altra in religioso silenzio. Quando Rebecca le aveva chiesto di coprirla con sua madre, aveva accettato titubante, poi le aveva domandato cosa si fossero detti con Jack, ma lei aveva tagliato corto esclamando che voleva tornare a casa. Una volta rientrate, però, con mano tremante aveva tirato fuori dalla borsa il cellulare che le aveva consegnato Jack e l'aveva guardato come se potesse esplodere da un momento all'altro.

«Serve per mettersi d'accordo con i clienti» aveva sussurrato con voce incerta, poi si era passata le mani tra i capelli.

«Perché l'ha dato a te?»

«Perché vogliono così.»

Nell'ingresso della villetta era sceso il silenzio ed entrambe erano rimaste a crucciarsi dei propri pensieri.

Ora, che erano da poco passate le nove di sera e la madre di Rebecca era ripartita per l'ospedale dopo una cena veloce, erano in camera di Rebecca e lei era pronta per uscire.

Un letto da una piazza e mezzo con un copriletto rosso era accostato alla parete e ai suoi piedi era posizionato un baule di legno verniciato di bianco pieno di giochi di quando Rebecca era piccola. La parte dello specchio appeso sopra il canterale non coperta da foto e bigliettini restituiva l'immagine dei panni accatastati alla rinfusa sopra il baule e la porta del piccolo bagno di servizio.

«Mamma non tornerà prima di mezzanotte e mezzo e di solito va dritta in camera perché è distrutta dalla giornata. Se per puro caso stasera decidesse di venire a controllare se stiamo dormendo, per favore dille che sono in bagno e che può andare a letto tranquilla. Va bene?»

Marika annuì con le labbra conserte. Da quando erano tornate dal parco non era riuscita a scacciare la sensazione di avere un macigno sullo stomaco. Era preoccupata e vedere Rebecca che fingeva che andasse tutto bene la impensieriva ancora di più, ma tenne per sé i dubbi. Non voleva accollarle anche le sue paure.

«Ti prego, fai attenzione» si limitò a suggerirle.

Gli angoli della bocca di Rebecca si distesero un poco e allargò le braccia per permetterle di abbracciarla.

«Certo. Ti scriverò ogni volta che potrò. Tu promettimi che non farai niente di stupido.»

Marika sciolse l'abbraccio e si tirò indietro, poi la guardò dritta negli occhi con un'espressione serissima dipinta in faccia.

«Se non ho tue notizie per più di due ore chiamo la polizia, o vengo a cercarti.»

Il sorriso di Rebecca si incrinò. «Appunto. Mi riferivo proprio a questo. Dai, dammi fiducia. Posso farcela.»

Le labbra di Marika si piegarono in una smorfia. «Non è di te che non mi fido, Rebe. Ma di tutto il contorno.»

Lei sospirò e si spostò i capelli dall'altro lato del collo. «Dai, lui mi sembra a posto. No?»

Marika colse l'incertezza nella domanda e annuì cercando ti confortarla. Sebbene il contesto, Jack non le aveva fatto una cattiva impressione neanche la prima volta che l'aveva visto e poi era convinta che non tollerasse Andrea Menna almeno quanto lei, sicché per il momento le bastava per concedergli il beneficio del dubbio.

«Sì, Rebe. Mi sembra a posto. Alla fine ha accettato di incontrarti dove gli avevi proposto anche se non era d'accordo. Comunque, se qualcosa si mette male o hai bisogno di me, chiamami e io arrivo subito.»

A Rebecca sfuggì uno sbuffo divertito. «Beh, se arrivi a corsa allora mi sa che ti dovrò aspettare tutta la notte.»

Incapace di trattenersi, Marika iniziò a ridere e l'altra la seguì. Le risate spazzarono via il clima teso che era aleggiato nella stanza fino a quel momento. Dopo i silenzi, le parole sussurrate, i sussulti ogni volta che il telefono di una delle due suonava, quel rumore fu come un balsamo per l'anima di entrambe e si abbracciarono di nuovo. Adesso la serata sembrava un pochino meno lunga e spaventosa.

«Ti voglio bene, amica mia. Grazie» sussurrò Rebecca con le lacrime agli occhi e Marika la strinse più forte.

«Anche io ti voglio bene.»

Rimasero abbracciate per alcuni attimi, in silenzio. Poi un telefono vibrò e il momento spensierato finì quando Rebecca lesse l'anteprima del messaggio che le era arrivato.

«Devo andare. Mi sta aspettando in cima alla strada.»

Con il dorso della mano, Marika si asciugò le lacrime che le erano sfuggite dagli occhi.

«Vai. Ti aspetto sveglia» le promise costringendo le labbra a tendersi in un sorriso che voleva essere incoraggiante.

A ogni modo, Rebecca parve capire, perché sorrise timidamente anche lei.

«Mi accompagni alla porta?»


ANGOLO AUTRICE

Buon anno e tutt* e sono tornata :-) Non so se c'è qualcuno ancora interessato alla storia, nel caso, ben tornate, grazie di essere sempre qui 💕
In queste settimane sono riuscita a scrivere un buon numero di capitoli, sicché dovrei farcela nei prossimi mesi ad aggiornare con costanza. Al momento pubblicherò un nuovo capitolo ogni domenica, per portarmi avanti con la storia, ma se dovessi arrivare ad avere un buon numero di capitoli pronti riprenderò a pubblicarne due a settimana.
Per qualsiasi dubbi o domande io sono qui, o mi trovate sui miei canali social 😊
Buona domenica e alla prossima,

_anotherway 

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Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now