Capitolo 47

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Rebecca le pizzicò il braccio per attirare la sua attenzione. «Tutto bene?» le sussurrò badando che la udisse solo lei nella classe affollata.

Quella mattina Marika si era presentata a scuola con le occhiaie fino agli zigomi e un'espressione indecifrabile sul volto. Era la terza volta che glielo domandava e non aveva ancora trovato una risposta soddisfacente. Dentro di lei si alternavano stati di euforia a momenti di rabbia e impotenza. Se pensava a Jack le braccia le si riempivano di brividi: baciarlo era stato come toccare la corrente, ne era rimasta folgorata. Non riusciva a pensare ad altro se non a lui e a quello che aveva passato. Odiava le ingiustizie e nonostante lui l'avesse pregata di non darle peso, che il passato ormai quello era, lei non riusciva a darsi pace. Sospirò e scosse la testa; decise di essere sincera. «Non lo so, Rebe.»

La professoressa di chimica nascosta in un maglione fuori stagione e fuori misura stava ricopiando sulla lavagna le sigle di alcune basi deboli, picchiettando il gesso ogni volta che concludeva una lettera.

Le labbra di Rebecca si tesero in una linea preoccupata. «Riguarda ieri sera?»

Prima di trovarsi con Jack le aveva inviato un messaggio per informarla della consegna. Le aveva promesso che non gliel'avrebbe più tenute nascoste.

«Sì e no.»

Rebecca si prese i capelli fra le mani e se li spostò dall'altro lato del collo con un gesto veloce. Stavolta fu lei a sospirare nervosa.

«A ricreazione devi raccontarmi qualcosa, Mari, quello che puoi.»

Senza guardarla, Marika annuì. Le aveva già anticipato per messaggio, quando era rientrata la sera prima e aveva trovato due chiamate perse da lei, che aveva degli aggiornamenti.

Attirato dai bisbigli, Matteo Bellanovi si voltò verso di loro e lanciò un'occhiata preoccupata a Marika. Lei sostenne il suo sguardo con il volto serio. Settimane prima avrebbe iniziato a saltellare per tutte le attenzioni che le aveva riservato dopo sabato, ma si era stancata di fingere. Al momento le sue premure la infastidivano. Mentre lui riportava il capo verso la lavagna, si domandò se conoscesse la storia che le aveva raccontato Jack. Alla fine era stato un grande amico di Edoardo Mattonai e Andrea Menna per anni.

La campanella che segnava l'inizio della ricreazione suonò. Rebecca si alzò in piedi e le tese la mano. Marika l'afferrò e insieme attraversarono il corridoio come due gazzelle inseguite dai leoni; non volevano rischiare di fare brutti incontri. Raggiunsero le scale antincendio quando metà degli studenti erano sempre nelle loro aule.

Quella primavera si stava rivelando mite. Pure quel giorno il sole splendeva alto nel cielo e l'aria che le accarezzava le braccia nude era piacevole.

Scesero un paio di scalini e si sedettero lontane da orecchie indiscrete.

«Allora?» la sollecitò Rebecca.

Marika fissò la migliore amica negli occhi. Le guance avevano ripreso un po' di colore rispetto alle settimane precedenti.

«Ho baciato Jack.»

Rebecca strabuzzò gli occhi. «Cosa? E me lo dici così?»

Marika si sarebbe aspettata di tutto, ma non un abbraccio. Rebecca le circondò il collo con le braccia e la strinse a sé. «Lo sapevo che sarebbe successo» cantilenò felice. Marika, però, non rispose alla stretta e notandolo i suoi arti si irrigidirono. Si ricompose e le rivolse uno sguardo titubante. «Non è una bella cosa?»

Marika sentì la domanda risuonarle nella mente e i suoi occhi si fecero distanti. Non poteva negare che quello che provava per Jack fosse emozionate, le dava le vertigini, ma in senso buono. Il contorno però la spaventava e le schiacciava il petto come un macigno. A quello ci si aggiungeva la rabbia che covava per l'uomo che l'aveva costretto a quella vita.

«Mi ha raccontato delle cose, che non posso riportarti, che rendono tutto molto complicato.»

Rebecca si spostò i capelli e si strinse nelle spalle. «Più di così?»

Marika sospirò e le accarezzò una mano. «Sì, più di così.»

Rimasero in silenzio e Marika concentrò lo sguardo su una farfallina bianca che aveva preso a svolazzarle intorno.

«Mi dispiace, Mari. È colpa mia.»

Marika riportò l'attenzione sull'amica. Aveva gli occhi lucidi e il suo cuore si contrasse dolorosamente. «È stata una mia scelta, Rebe. Non è colpa—»

«Non mi riferisco a sabato, Mari, ma a tutto. È iniziata a quella dannata festa dove sono voluta andare io. Se fossimo restate a casa magari papà non avrebbe avuto l'incidente e niente di quello che è accaduto dopo.»

Un singhiozzo le scosse le spalle e Marika l'abbracciò. Rebecca continuò a parlare con la voce rotta dal pianto. «Mi aveva invitato Edoardo e... cazzo! Doveva essere una stupida storia d'amore, ma si è rivelata un fottuto incubo.»

Marika la strinse più forte. Aveva iniziato a piangere pure lei.

«Rebe, non potevi saperlo. Nessuno può. Sarebbe tutto più facile se conoscessimo in anticipo quello che succederà, dove ci porteranno le idee che sul momento ci sembrano geniali, ma non è così. Andiamo avanti a tentativi brancolando al buio senza una cavolo di luce. Secondo te io volevo innamorami di Jack? Di un ragazzo con la vita distrutta? No, però è capitato. Magari se avessi fatto scelte diverse a quest'ora starei con Matteo e avrei una stupida storia d'amore semplice e bellissima come hai detto tu e magari avrei pure fatto amicizia con il figlio dell'uomo peggiore del mondo. Ma non è andata così. La vita è imprevedibile e noi possiamo solo nuotare sperando che non ci porti alla deriva. Non hai nessuna colpa per quello che è successo a papà, Rebe. Nessuna.»

La ragazza tirò su con il naso e abbandonò la fronte contro la spalla dell'amica. L'odore del bagnoschiuma alla pesca che Marika usava le riempì le narici. Sapeva di casa.

«Ti sei innamorata di lui?»

Marika smise di accarezzarle la schiena e il suo cuore saltò un battito. Realizzò solo in quell'attimo di averlo ammesso a voce alta. «Sì.»

«Secondo me anche lui prova qualcosa per te.»

Marika si scostò dall'amica e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Era arrossita. «Dici?»

Rebecca le rispose con un sorriso timido. «Secondo me sì.»

Il trillo della campanella risuonò per tutto il cortile. Marika riportò le braccia intorno al collo dell'altra. «Ne usciremo, Rebe, prima o poi. Ti voglio bene.»

L'amica la strinse forte. «Anche io ti voglio bene, Mari. Sei la mia roccia.»

Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now