Capitolo 7

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«Marika!»

Rebecca la richiamò a voce alta cercando di sovrastare la musica quando ormai erano già a metà delle scale. Lei però non si fermò, così Rebecca aumentò la stretta sulla sua mano e la chiamò di nuovo: «Marika!».

Stavolta si bloccò e si girò verso di lei. Rebecca voleva delle spiegazioni, ma quando le loro iridi si scontrarono le parole le morirono in bocca. Marika aveva il volto rigato dalle lacrime.

A quella vista lo stomaco le si annodò e i sensi di colpa iniziarono a farti strada dentro di lei. Scese i due gradini che le separavano e le passò le braccia intorno alle spalle per stringerla in un abbraccio.

«Mi dispiace» le confessò mentre anche i suoi occhi si riempivano di lacrime. Odiava vederla così.

Marika tirò su con il naso e la strinse più forte. «Non farlo mai più» si limitò a sussurrarle all'orecchio.

Rebecca asserì scuotendo la testa, poi, appena si ricordò di essere in una stanza piena di gente, lanciò un'occhiata intorno. Qualcuno stava guardando verso di loro, perciò sciolse l'abbraccio e, dopo averle asciugato le lacrime, riprese l'amica per mano. Adesso che Edoardo non era più nel suo campo visivo ragionava molto più lucidamente.

«Andiamo.»

Veloci finirono di scendere le scale, poi attraversarono l'ingresso e il salone dirette al portico sul retro.

Marika stava camminando a testa bassa cercando di nascondere il trucco che era certa le fosse colato. Non si era accorta di essere sull'orlo delle lacrime fino a quando non aveva visto, dalla cima delle scale, Matteo Bellanovi seduto da solo su un mobiletto in fondo alla sala con lo sguardo perso dentro al bicchiere che teneva in mano. Un'ondata di rabbia, nei suoi confronti e in quelli dei suoi amici, l'aveva scossa da capo a piedi, ma l'emozione, come le succedeva spesso, si era subito trasformata in pianto. Anche se forse non in maniera legittima, si era sentita tradita.

Rebecca stava continuando a camminare e si fermò davanti a un piccolo divanetto di vimini sul fondo del portico. Lì i suoni della festa arrivavano ovattati e potevano parlare in tranquillità.

Si sedettero e Rebecca passò i pollici sotto gli occhi dell'amica per toglierle l'alone del mascara.

«Ecco, come nuova» la confortò appena ebbe finito, ma Marika le rispose con un'occhiata triste.

«Ti rendi conto che stavi per sniffare della droga solo perché Edoardo Mattonai te l'ha chiesto, vero?»

Parlò con voce stanca, poi si abbandonò contro lo schienale del divanetto e chiuse gli occhi con la testa reclinata all'indietro. Le lacrime premevano di nuovo conto le palpebre.

Rebecca non rispose, ma si appoggiò a sua volta. Adesso che era lontana si rendeva conto della grande cazzata che stava per fare, ma prima il buon senso aveva smesso di collaborare soffocato da quelle stupide farfalle che sentiva di nuovo agitarsi nello stomaco se solo ripensava al tocco di Edoardo sul suo ginocchio o sulla sua mano.

«Sì, lo so. Grazie per avermelo impedito.»

Marika riaprì gli occhi e si girò verso di lei. «Non importa che mi ringrazi, e lo sai.»

Rebecca le sorrise timidamente e le accarezzò una guancia. «Sì, invece... perché le lacrime?» vole sapere con tono più serio.

Marika sospirò e si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Un insieme di cose... tu completamente in balia di Edo, Matteo che mi ha lasciato andare senza dirmi niente, Andrea che non la smetteva di mettermi le mani addosso...»

Rebecca la interruppe con un grido.

«Cosa? Ma io lo ammazzo... O mio dio, scusami Mari... che amica di merda... non mi sono accorta di niente.»

Marika scosse la testa e bloccò le mani di Rebecca tra le sue per farla smettere di spostarsi i capelli da una parte all'altra del collo. Adesso era lei ad avere le lacrime agli occhi.

«Non è colpa tua, Rebe.»

«Non è colpa mia? Certo che lo è... ho lasciato che quel pezzo di merda ti molestasse solo perché era persa dietro—»

Rebecca si interruppe quando il suo sguardo si posò sulla figura che stava venendo verso di loro.

Anche Marika spostò le iridi nella stessa direzione e ammutolì.

Guardandosi intorno guardingo, con le spalle ricurve e il borsone che gli picchiava sul fianco a ogni passo, Jack stava camminando verso di loro cercando di evitare qualsiasi altro invitato. Quando fu abbastanza vicino, alzò la testa e le notò, però si affrettò a riportare lo sguardo basso e aumentò il passo. Le superò pochi attimi dopo dirigendosi verso il bordo del giardino, per poi svoltare, attraversare il prato fino alla strada e sparire oltre la siepe che delimitava il perimetro dell'abitazione.

Marika lo seguì con lo sguardo finché rimase nel suo campo visivo. Quando i loro occhi si erano incrociati quelli di lui le erano parsi ancora più stanchi di prima.

«Secondo te chi è?»

Rebecca la guardò confusa, poi, capendo che si stesse riferendo a Jack, scosse la testa. «Credo solo il loro spacciatore di fiducia.»

Marika rimase in silenzio, ma riportò lo sguardo sulla siepe dietro la quale il ragazzo era scomparso. Non sapeva perché, ma una parte della sua mente le suggeriva che in realtà fosse molto di più.

Rebecca si era voltata per prendere il telefono dalla borsa. Voleva vedere che ore fossero e proporre a Marika di andarsene. Nessuna delle due era dell'umore giusto per rimanere alla festa; in più voleva evitare di trovarsi di nuovo faccia a faccia con Edoardo.

Con movimenti veloci estrasse lo smartphone dalla borsa, ma quando lo sbloccò la preoccupazione le attanagliò lo stomaco. Aveva sette chiamate perse di sua madre e altrettanti messaggi dove lei la implorava di richiamarla.

Doveva essere una stupida storia d'amoreΌπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα