Capitolo 41

16 3 9
                                    

Marika osservò i ragazzi scendere dall'autobus torturandosi le mani. Il giorno prima scoprire che Jack non la odiava, come invece aveva creduto, le aveva infuso un po' di coraggio, abbastanza per presentarsi a scuola e per affrontare Rebecca.

L'amica aveva ignorato i messaggi e le chiamate fino a quel momento, così aveva deciso di passare all'azione.

Quando riconobbe la bionda chioma riccioluta superare la portiera dell'autobus, si irrigidì e un dolore sordo le si diffuse all'altezza del petto. Faceva male temere di incontrarla. Era Rebecca, cavolo.

Strinse le mani alle cinghie dello zaino e si mosse verso di lei. Era pronta a tutto pur di chiarire.

Come incrociò il volto così simile al suo, Rebecca si immobilizzò. Marika provò a studiare l'espressione del suo viso, ma vi lesse solo sorpresa, poi gli occhi di lei si riempirono di lacrime.

Non servì altro.

In pochi attimi corsero l'una verso l'altra e si buttarono le braccia al collo. Si strinsero forte con le spalle scosse dai singhiozzi, ignorando le occhiate e le chiacchere degli altri studenti.

«Scusa, scusa, scusa.»

Rebecca glielo mormorò all'orecchio e Marika sentì il sollievo invaderle ogni nervo. Il peso che le gravava sullo stomaco da giorni si dissolse.

«Pensavo che mi odiassi» le confessò con il viso nascosto tra i suoi capelli.

Rebecca tremò. «Mai, Mari. Mi sento un verme per avertelo fatto credere e per essermi comportata così. Sabato ero arrabbiata e terrorizzata. Non so cosa mi è preso. Non so perché me la sono rifatta con te. Ci ho messo un giorno intero per capirlo, ma mi vergognavo troppo per scrivertelo in un messaggio. Ieri volevo chiarire, ma a scuola non c'eri così ho pensato che tu...»

Non riuscì a finire la frase perché un singhiozzo le chiuse la gola. Marika allentò la stretta e posò la fronte sulla sua. Rebecca aveva lo sguardo puntato a terra.

«... ho pensato che non volessi più avere a che fare con me perché non c'ero stata nel momento in cui avevi avuto bisogno e per averti coinvolta in tutta questa storia.» Sollevò piano gli occhi e l'incertezza che Marika vi lesse le scosse il petto. La strinse di nuovo.

«Avevi ragione a essere arrabbiata, Rebe. Ti avevo promesso che ti avrei raccontato tutto ma non l'ho fatto. Puoi perdonarmi?»

Stavolta fu Rebecca a scostarsi per guardarla negli occhi. La paura di perderla era visibile nelle pieghe dei lineamenti. «Ti sei offerta per prendere il mio posto all'Inferno, Mari, con questo ti sei perdonata ogni torto che mi farai da qui a cento anni.»

***

Erano sedute sulla panchina nel cortile fuori da scuola. Avevano deciso di entrare alla seconda ora e Marika aveva approfittato di quel tempo per raccontarle tutto: la commissione con Jack al Capanno, l'incontro con Edoardo Mattonai e la lite con Matteo. Le aveva confidato pure della mattinata passata in biblioteca con Jack il giorno prima, senza però riferirle quello che si erano detti. Le confessioni che Jack le aveva fatto riguardavano lui e non aveva il diritto di riportarle.

Rebecca l'aveva ascoltata in silenzio, tenendole una mano tra le sua e disegnandovi dei cerchi con le dita. «Non te l'ho taciuto per infrangere la promessa, Rebe, ma non volevo che ti preoccupassi più di quanto non lo fossi già. Il dottore ti aveva consigliato di stare tranquilla a riposo. Mi dispiace però, avrei dovuto parlartene.»

Rebecca fissava una lucertola che prendeva il sole sulla terra battuta del cortile. «Sì, avresti dovuto dirmelo, Mari, però capisco perché non l'hai fatto. Forse a parti invertite anche io mi sarei comportata come te.»

Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now