Capitolo 22

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Marika era seduta dietro Jack sul motorino di lui. Le vie della città si muovevano intorno a loro come fotogrammi di una vecchia pellicola di negativi. I lampioni rischiaravano la notte con coni luminosi a intervalli regolari e la brezza fredda le colpiva il viso lasciato scoperto dal casco senza visiera.

Si teneva alla vita di lui con le mani appoggiate sui suoi fianchi. Quando accelerava, involontariamente aumentava la stretta e Jack diminuiva la velocità. Non era abituata a viaggiare su un mezzo a due ruote e, anche se lui guidava con prudenza, non vedeva l'ora di scendere.

Dopo una decina di minuti si lasciarono alle spalle il centro città e i lampioni iniziarono a farsi più radi. Man a mano che aumentava il buio, dentro di lei cresceva l'ansia e la paura e, senza rendersene conto, si strinse di più al ragazzo.

Jack continuò a guidare finché non raggiunsero una zona industriale. Le forti luci gialle che illuminavano i cortili dei capannoni creavano delle ombre lunghe e opache dietro gli oggetti. Il luogo sembrava deserto, ma, in lontananza, Marika sentiva il rumore della musica.

Jack guidò per qualche altro metro, poi accostò il motorino davanti a una rivendita di pneumatici e, senza spengerlo, voltò la testa verso di lei.

«Sei sempre convinta di farlo? Se non te la senti ti riporto indietro.»

Il volto del ragazzo era a pochi centimetri dal suo. A malapena gli vedeva l'occhio destro, coperto da qualche ciuffo biondo che gli era sfuggito dal casco e gli cadeva sulla fronte.

Avrebbe tanto voluto dirgli che no, non era per niente convinta e che voleva tornare indietro, ma il pensiero di Rebecca in ospedale le diede la forza di annuire. Le aveva detto che avrebbe potuto contare su di lei, non voleva deluderla.

Jack scosse la testa, poi riportò il volto in avanti e diede gas. Impiegarono qualche altro minuto per raggiungere il luogo della festa. Dalle finestre in alto del capannone dal quale proveniva una musica a volume così alto che a Marika parve che il petto le vibrasse insieme ai bassi, si intravedevano luci ruotare e cambiare colore a ritmo della melodia.

La via davanti allo stabile era ingombra di macchine e giovani che attendevano di entrare. Jack non svoltò in quella strada, ma proseguì fino alla successiva. Una transenna di ferro, ai cui lati erano fermi due energumeni in completo nero, sbarrava la via.

Jack si fermò davanti al primo e con un cenno del capo indicò il borsone ai suoi piedi. «L'organizzatore mi sta spettando.»

L'uomo scrutò con attenzione entrambi e Marika rabbrividì quando lo sguardo penetrante si posò su di lei. Si avvicinò di più alla schiena di Jack.

In silenzio, l'uomo spostò la transenna e li lasciò passare. A differenza della via adiacente, questa era sgombra e buia: solo il faro del motorino rischiarava la notte.

Jack si fermò davanti a una porta presieduta da altri due buttafuori e spense il mezzo. Il rumore della musica era forte, ma Marika sentì le sue parole come se le avesse pronunciate in una stanza vuota.

«Dobbiamo andare dentro, seguimi e rimani in silenzio a meno che non ti dica io di parlare. Prima concludiamo, prima posso riportarti a casa. Va bene?»

Un brivido le attraversò la schiena. No che non andava bene, per niente. Il suo buon senso le suggeriva tutto tranne che di seguirlo in quel luogo buio. Ma ormai non poteva tirarsi indietro. L'occasione per cambiare idea l'aveva avuta, ma non l'aveva colta.

Senza rispondergli, scese dal motorino e si tolse il casco. Il peso sullo stomaco era diventato così pesante che le aveva fatto venire la nausea.

Jack la imitò, prese entrambi i caschi e li agganciò al manubrio. Dopo essersi messo il borsone in spalla, si avviò alla porta e Marika lo seguì. Gli camminava talmente vicino che rischiava di pestargli i piedi.

Jack ripeté ai due buttafuori ai lati quello che aveva detto alle guardie in cima alla via e loro li lasciarono passare. A discapito di quello che sembrava da fuori, si ritrovarono in uno stretto corridoio. Delle fredde luci al neon erano attaccate sul soffitto e rischiaravano l'ambiente. Il corridoio terminava con delle porte nere con i maniglioni antipanico rossi, da cui, dall'altro lato, proveniva la musica della festa. Jack, però, si fermò a metà ed entrò in una stanza sulla destra. Due uomini erano seduti su un divanetto di pelle verde posizionato davanti a un basso tavolino di vetro ingombro di fogli e cartacce. Non c'erano finestre e la stanza era saturo di fumo, puzzo di tabacco e sudore.

L'uomo più vicino alla porta si voltò verso di loro quando li vide entrare. Aveva la testa rasata e un orecchino al sopracciglio destro. Marika non riuscì a dargli un'età: il volto era ingombro di rughe, ma la barba corta sulle guance e sul mento era quasi bianca, tranne per qualche chiazza scura. L'altro aveva e il volto tondo e gabbro incorniciato dai capelli rossicci.

Il primo si alzò in piedi e fece segno a Jack di appoggiare il borsone sul tavolo.

«Vi stavo aspettando, ragazzi. Mi avevano detto che avrebbero mandato te, Jack.»

Il rosso si chinò sul borsone. «È nella tasca davanti» lo informò Jack con voce atona quando mise le mani sulla cerniera del corpo centrale. L'uomo gli riservò un'occhiata fredda, ma aprì la tasca che gli aveva indicato. Tirò fuori una bustina trasparente piena di polvere bianca e la pesò su una bilancina appoggiata sul tavolo.

«C'è tutto.»

L'uomo in piedi annuì, poi tolse delle banconote arrotolate dalla tasca del giacchetto di pelle che indossava e le porse a Jack. Lui iniziò a contarle.

Marika, che per tutto il tempo era rimasta sullo stipite della porta, impallidì quando si rese conto di quanti soldi avesse tra le mani il ragazzo, ma si affrettò ad abbassare lo sguardo quando notò che l'uomo dai capelli rossi la stava fissando. Dentro quella stanza c'era qualcosa di opprimente, ma non era la cappa di fumo.

Jack finì di contare le banconote in silenzio, poi si chinò sul tavolo e mise i soldi nella tasca dove prima c'era la droga. «Se avete bisogno di altro sapete come contattarci» esclamò risollevandosi e mettendosi il borsone a tracolla.

Per la prima volta da quando erano arrivati, l'uomo calvo spostò lo sguardo su Marika e sorrise. «Se volete fermarvi un po' alla festa siete i benvenuti.»

La ragazza sentì un nuovo brivido scuoterle la schiena. Quel sorriso l'aveva spaventata di più dello sguardo dello uomo all'ingresso.

«Ti ringraziamo per l'invito, ma dobbiamo andare.» Era stato Jack a rispondere.

L'uomo scosse piano la testa, ma l'espressione sul suo viso non cambiò. «Come preferite, sarà per la prossima volta.»

Jack annuì, poi si voltò verso Marika e le fece segno di uscire.

Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now