Capitolo 20

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Marika aprì la porta di casa di Rebecca con le chiavi che le aveva lasciato Stefania. I medici avevano deciso di tenere la ragazza sotto osservazione per la notte perché i risultati delle analisi del sangue non li avevano convinti, e lei si era fatta accompagnare da sua madre a prenderle dei vestiti di ricambio, ma non erano quelli gli unici oggetti che le interessavano.

Come raggiunse la camera dell'amica, riempì uno zaino con della biancheria pulita, un pigiama e una tuta, poi si sdraiò sul pavimento e prese la scatola da scarpe nascosta in fondo al letto.

All'inizio, subito dopo che aveva proposto a Rebecca di andare al posto suo, lei aveva urlato il no così forte che un'infermiera si era affacciata alla porta della camera per domandare se andasse tutto bene. Entrambe avevano annuito, ma appena la donna se n'era andata, Rebecca le aveva rivolto un'espressione talmente decisa che aveva creduto di essersi solo immagina che fino a un momento prima l'amica non avesse avuto neanche la forza per tenere dritta la schiena.

«No, Mari, no! Non ti chiederei mai di fare una cosa del genere. Non posso, lo capisci? È una situazione più grande di me e non voglio che coinvolga anche tu.»

Lei aveva sostenuto il suo sguardo e asserito che il solo fatto che fosse in un letto di ospedale la inseriva di diritto nell'elenco delle persone coinvolte.

La discussione era stata interrotta dal ritorno delle loro madri. Stefania, non appena aveva visto che la figlia si era svegliata, le aveva buttato le braccia al collo ed erano rimaste abbracciate per più di un minuto. Anche Claudia le aveva passato un braccio intorno alle spalle prima di porgerle il pranzo che aveva acquistato.

Quando il medico le aveva informate della decisione di non dimettere Rebecca fino al giorno successivo, lei l'aveva guardata con il terrore negli occhi, aveva scosso la testa e sospirato sconfitta. Stefania e Claudia avevano attribuito la reazione alla notizia appena ricevuta, ma lei sapeva che significata tutt'altro.

Alla fine dell'orario delle visite, prima di andarsene, l'aveva abbracciata e lei le aveva sussurrato all'orecchio dove fosse il telefono.

«Solo per questa sera, Mari, e mi raccomando, fai attenzione. Spiega la situazione a Jack, capirà, e chiedigli per favore di non dirlo a nessuno. Non penso che causerà problemi.»

L'aveva rassicurata abbracciandola più forte, poi, insieme a sua madre, aveva lasciato l'ospedale.

Sempre sdraiata per terra, Marika tolse il coperchio dalla scatola e fissò il telefono con un nodo allo stomaco. Le sembrava impossibile che un oggetto così piccolo le mettesse addosso tutta quella agitazione. Con titubanza lo prese, se lo rigirò tra le mani e premette il pulsante di accensione.

Per alcuni attimi non successe niente, poi il piccolo schermò si illuminò e comparve la notifica di due messaggi. Il cuore le saltò un battito e trattenne il fiato mentre l'apriva.

Jack – 11.40 a.m.

Ciao, Rebecca.

Non so se hai visto i telegiornali, ma c'è stato un incidente e sarebbe meglio che stasera ci facessimo vedere in giro il meno possibile. Ho scritto ai piani alti per ricevere istruzioni. Ti faccio sapere in giornata, va bene? Se qualcuno ti scrive aspetta a rispondere.

Jack – 2.16 p.m.

Dobbiamo andare a una festa privata. Passo a prenderti alle dieci. Se qualcuno ti scrivere non rispondere. A stasera.

Lesse i messaggi con il cuore in gola e alla fine si accorse di avere le mani sudate. Incerta, appoggiò le dita sulla tastiera per digitare una risposta, ma sentì il portone aprirsi e la voce di sua madre chiamarla dal piano di sotto.

«Mari, hai fatto? Sta per passare la spazzatrice e devo spostare la macchina.»

Sussultò dallo spavento e il telefono le scivolò dalle mani.

«Sì, mamma. Arrivo» esclamò riacciuffando l'apparecchio. Lo nascose nella tasca della felpa e raccolse lo zaino di Rebecca. Con passo svelto attraversò il corridoio e scese gli scalini due alla volta.

Quando arrivarono nel parcheggio dell'ospedale, suggerì alla madre di aspettarla in macchina. L'orario delle visite era finito, doveva solo salire e lasciare lo zaino a Stefania.

La donna la stava aspettando all'inizio delle scale. Dopo averle porto lo zaino e chiesto di dare un abbraccio a Rebecca da parte sua, ritornò sui suoi passi, ma prima di uscire dall'edificio rispose ai messaggi.

Rebecca – 3.01 p.m.

Va bene. Per caso sarebbe un problema per te passarmi a prendere da un'altra parte. Non sono a cena a casa stasera.

Ripose il telefono nella tasca e tornò dalla madre. La riposta arrivò dopo pochi minuti, ma aspettò di essere chiusa da sola in camera per leggerla.

Jack – 3.04 p.m.

No, nessun problema, basta che mi invii l'indirizzo. Se vuoi, visto che sei fuori, posso passare a prenderti anche un pochino dopo, come preferisci. Non più tardi delle dieci e mezzo, però.

Marika sospirò e si lasciò cadere sul letto. L'ansia le chiudeva lo stomaco e le scorreva sottopelle. Stava fissando il cellulare come se potte aggredirla da un momento all'altro. Iniziava a capire come mai Rebecca sostenesse di non reggere più la situazione e lei non era nemmeno partita.

Per qualche attimo dubitò della scelta che aveva fatto, ma poi il pensiero dell'amica in ospedale le diede forza. Lo stava facendo per lei.

Digitò veloce la risposta, premette invio e pregò di non aver preso la decisione più stupida di tutta la sua vita.


ANGOLO AUTRICE

Buongiorno e buona domenica 😊 Per ringraziarvi del sostegno che state dimostrando alla storia e per le quasi 1000 letture ho deciso di postare un doppio aggiornamento, visto che sono due capitoli di pasaggio.
Dal prossimo la storia entrerà nel vivo, sicché se avete voglia di farmi sapere cosa ve ne pare non esitate a commentare o a scrivermi 😊 
Grazie ancora e buona lettura 💕
Alla prossima,

_anotherway 

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Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now