Capitolo 42

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Marika vacillò. Le parole di Andrea la colpirono più forte di un pugno.

«Cosa?»

Per qualche attimo il ragazzo rimase in silenzio, poi un ghigno saccente gli deformò la bocca.

«Jack non te l'ha detto, Marika? Pensavo di sì, visto il misero teatrino che avete messo su l'altra sera.»

Le mancò l'aria, ma diede fondo a tutta la forza di volontà per non darglielo a vedere. A giudicare da come Andrea ridacchiò, il tentativo fu fallimentare.

«Che ingenua del cazzo. Uguale alla tua amica proprio.»

Aprì la bocca per rispondergli, ma Edoardo Mattonai si intromise.

«Basta, Andre. Andiamo.»

Troppo sconvolta per formulare una frase di senso compiuto, per la prima volta ringraziò la sua intromissione.

Edoardo afferrò l'amico, che ancora rideva prendendosi gioco di lei, per le spalle e lo trascinò di nuovo verso l'ingresso. Neanche si voltò quando Rebecca gli urlò contro: «Non sei migliore di lui!». Andrea rise solo più forte.

Marika percepì il calore delle mani di Rebecca sulle braccia prima ancora di metterla a fuoco. L'abbracciò.

«Magari non è vero, Mari. Vuole farti del male.»

Scosse la testa per mandare giù il groppo che le aveva chiuso la gola. Perché doveva essere una bugia? Sicuramente Jack non era finito a spacciare droga per volontariato. E allora perché faceva così male?

***

Marika prese il casco che Jack le porgeva con le iridi ferme sulla ruota del motorino. Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.

Prima di cena le aveva scritto per informarla che li avevano contattati per una consegna e che sarebbe passato a prenderla alle dieci.

Era uscita di casa con la scusa di andare a fare due passi in centro e se l'era cavata solo con la promessa di non rientrare tardi. Mentire ai suoi genitori stava diventando un'abitudine e si sentiva un mostro per ciò, ma tutte le preoccupazioni erano state sostituite da un unico pensiero quando aveva intravisto il ragazzo. Le parole di Andrea Menna le erano risuonate in testa per tutto il giorno, nemmeno l'apprensione di Rebecca era riuscita a scacciarle.

Si era decisa che gliel'avrebbe chiesto subito. Voleva strapparsi il cerotto dalla pelle con un colpo secco sperando che non facesse troppo male, ma quando se l'era ritrovato davanti l'unica cosa che era riuscita solo ad abbassare la testa. Quasi sussultò quando lui le sfiorò la guancia con i polpastrelli. Sollevò lo sguardo di scatto.

«Ehi, stai bene?»

Le iridi verdi di Jack erano cariche di preoccupazione e si riempirono di confusione notando i suoi occhi lucidi.

Lei scosse la testa. Non era il momento, non ce la faceva. Si sforzò di sorridere.

«Sì, scusami. Giornata pesante.»

Il suo sguardo non mutò. «Sicura?»

Il cuore di Marika saltò un battito e il peso che sentiva nel petto si fece più gravoso.

Lui non ti guardava come se fossi la causa di tutto.

Ricordò le parole di Rebecca e in parte si spaventò. Aveva ragione: nelle iridi di Jack c'era traccia di un sentimento che non avrebbe dovuto esserci, ma fu la parte di lei che le imporporò le guance a convincerla a fare un passo indietro e a sottrarsi dal tocco. Era sbagliato. Matteo Bellanovi le procurava quelle sensazioni, non lui. Sfuggì dal suo sguardo indossando il casco.

«Dove dobbiamo andare stasera?»

Jack abbassò la mano dubbioso. Non insistette e cercò di calmare il battito del cuore. Il muscolo era impazzito quando l'aveva sfiorata d'istinto. Non si era mai nascosta da lui come aveva fatto solo pochi minuti prima e il suo corpo aveva agito prima della mente. Una brutta sensazione gli scosse le spalle, ma il richiamo di lei lo distrae dai suoi pensieri.

«Jack?»

Batté le palpebre e impiegò qualche attimo per ricordare la domanda. Erano nella traversa del corso dove si erano trovati la prima volta, ma avrebbero potuto essere ovunque. La testa non collaborava. Realizzando la risposta però, si incupì. Non voleva portarla lì.

«A casa di altri rivenditori.»

Marika agganciò la fibbia del casco ignorando i brividi. Il tono di Jack non presagiva nulla di buono.

«Peggio del Capanno?»

La voce le era uscita incerta, non era sicura di volerlo sapere.

Lui negò con un gesto del capo e per alcuni attimi il sollievo la invase, ma questo si tramutò in pietra quando notò la sua espressione assorta: era in disaccordo con l'ultima affermazione.

Ignorando il buon senso e la logica, consapevole che se ne sarebbe pentita, stavolta fu lei ad avvicinarsi e a poggiargli una mano sul braccio. «Sicuro?»

Jack sentì il cuore correre e il calore invadergli il petto. Tenne gli occhi bassi. Temeva che prima o poi Marika avrebbe capito l'effetto che aveva su di lui e non voleva, soprattutto visto dov'erano diretti.

Si scostò delicatamente senza guardarla in volto e appoggiò le mani sul manubrio dello scooter.

«Davvero, Marika. Il posto dove andiamo non fa paura.»

«E le persone?»

Jack si bloccò alcuni attimi indeciso su come risponderle, poi scosse la testa, mise il piede sul cavalletto centrale e con le braccia tirò indietro il motorino. Gli ammortizzatori cigolarono quando le ruote toccarono terra.

«Non ti faranno niente.»

Forse la verità l'avrebbe rassicurata di più, ma la vergogna gli impedì di dirla. Montò sul motorino e aspettò che salisse. Lei lo raggiunse dopo pochi secondi e gli cinse la vita. La sensazione di benessere che lo pervase gli fece desiderare che la serata finisse in quel vicolo con loro due abbracciati, ma era certo che la speranza ormai avesse cancellato il suo nome da quelli degni di riceverla. Partì e lo scoppio del motore risuonò nella via.

Doveva essere una stupida storia d'amoreNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ