Capitolo 18

52 19 20
                                    

Rebecca aprì gli occhi, ma una fitta di dolore la colpì nel mezzo alla fronte e fu costretta a richiuderli.

Qualcuno accanto a lei si mosse e le accarezzò il viso. «Ehi, Rebe. Sono io.»

La voce di Marika le arrivò ovattata alle orecchie, ma abbastanza forte da spingerla a sollevare le palpebre. Il volto dell'amica era incorniciato da una luce asettica proveniente da una lampada a neon sul soffitto. Non era in camera sua.

«Dove mi trovo?» domandò con un filo di voce.

Marika aveva un'espressione preoccupata dipinta sul volto, gli occhi marroni gonfi velati dalle lacrime e incorniciati da delle brutte occhiaie scure. «Sei all'ospedale, Rebe. Stamattina sei svenuta e tua mamma ha chiamato l'ambulanza.»

Rebecca scosse piano la testa e chiuse gli occhi, cercando di riportare alla mente cosa fosse successo, ma la sua memoria non voleva collaborare. Ricordava solo di essersi alzata presto perché non riusciva a dormire.

«Dov'è mamma?»

Marika provò a sorridere, ma le sue labbra si rifiutarono di obbedire. Vedere Rebecca in un letto di ospedale era troppo.

«È andata allo spaccio insieme alla mia. I medici le hanno suggerito di mangiare qualcosa, altrimenti sarebbe svenuta pure lei.»

Rebecca chiuse gli occhi e annuì. Il dolore martellante nel mezzo alla fronte non era ancora passato.

Per qualche minuto, Marika la osservò in silenzio, soffermandosi sul volto slavato e le scapole sporgenti. Nelle ultime settimane era dimagrita.

Stefania aveva chiamato sua madre quella mattina alle cinque e mezzo, disperata, informandola che Rebecca era svenuta e che la stavano portando all'ospedale. Claudia, l'aveva svegliata e insieme erano corse lì. Adesso era l'ora di pranzo.

«Ti ricordi cosa è successo?» le chiese non appena riaprì gli occhi.

Rebecca sospirò e provò a mettersi seduta.

«Ehi, piano» le sussurrò mentre l'aiutava a tirarsi su.

Rebecca aspettò che la stanza smettesse di girarle intorno, poi la ringraziò con un filo di voce e si prese la testa fra le mani. I ricordi la stavano travolgendo come un fiume in piena e le sue iridi si riempirono di lacrime. Le gocce salate iniziarono a scenderle lungo le guance prima piano, poi sempre più forte, finché non si ritrovò con le spalle scosse dai singhiozzi.

Anche Marika, incapace di restare indifferente di fronte alla scena, iniziò a piangere e l'abbracciò, appoggiando la testa contro la sua.

«È morta, Mari...» singhiozzò Rebecca.

Le iridi di Marika si sgranarono per lo stupore e un brivido di paura le corse per tutta la schiena. Piano sciolse l'abbraccio e guardò l'amica dritta negli occhi. La gola le si era annodata.

«Rebe, di chi stai parlando?»

Lei scosse la testa e aprì la bocca un paio di volte, ma entrambe la richiuse senza emettere alcun suono. Aveva bisogno di confidarle quello che era successo, era l'unica con cui poteva sfogarsi, ma non riusciva a controllare le emozioni. Stava tremando.

Marika le prese le mani tra le sue e le accarezzò il dorso, poi la guardò negli occhi.

«Lo sai che puoi raccontarmi tutto, vero?»

Rebecca annuì e deglutì, ma il blocco che sentiva nel petto non si mosse. «Non so neanche da dove iniziare» sussurrò con la voce rotta dal pianto.

Marika le strinse più forte le mani. «Da dove vuoi, Rebe.»

Lei sospirò tremante e riappoggiò le spalle al cuscino, poi puntò le iridi sul lenzuolo chiaro che le copriva le gambe. Non ce la faceva a guardarla negli occhi.

«La prima sera, con Jack, siamo andati in un parchetto, dove mi ha detto è solito stare tutti i lunedì. Ci siamo seduti su una panchina e mi ha spiegato un po' più nel dettaglio come funzionano le cose.»

Sospirò di nuovo e lasciò le mani di Marika. «Sono venuti tre o quattro clienti e con tutti la scena è stata più o meno la stessa: loro gli domandavano chi fossi, lui rispondeva che ero nuova e dopo gli consegnava la droga che gli avevano richiesto. Poi loro la pagavano e se ne andavano.»

Si portò le braccia al petto e la sua schiena fu scossa da un brivido. Era arrivata alla parte difficile. «Verso mezzanotte è arrivata una ragazza. Dovevi vederla, Mari: tremava come una foglia e aveva uno sguardo folle...» Un singhiozzo le bloccò la frase a metà. Quei ricordi le facevano male.

«Rebe, se non vuoi...» Marika iniziò a parlare, ma lei la interruppe con un gesto della testa.

«Ho bisogno di raccontarlo, Mari.»

Marika chiuse la bocca e annuì con sguardo grave, così Rebecca riprese. «La ragazza voleva della droga, ma non aveva i soldi per pagarla. Ha iniziato a implorarci, ha detto che ne aveva bisogno e che avrebbe fatto qualunque cosa avessimo voluto, ma noi non potevamo dargliela, Mari. Jack è stato categorico, alla sera i conti devono tornare sennò per lui si mette male.»

Marika rabbrividì e la sua mente le ripropose l'immagine degli occhi stanchi del ragazzo, poi però riportò la sua attenzione sul racconto di Rebecca. «Dovevi vedere come stava, Mari. Quando ha capito che Jack era irremovibile è venuta di me, ha iniziato a offendermi e poi ha provato a mettermi le mani al collo...»

Marika sussultò. «Cosa?»

Rebecca scosse la testa. Le lacrime le rigavano il volto. «Jack l'ha fermata prima che mi raggiungesse, ma ho avuto paura. Alla fine l'ha portata di peso fuori dal parchetto e non l'ho più vista fino a stamattina.»

Marika sgranò gli occhi. «L'hai incontrata stamani?»

Rebecca si prese la testa fra le mani e un singhiozzo le scosse le spalle. «Hanno fatto vedere la sua foto al telegiornale, Mari. È morta per overdose ieri sera e stanno cercando chi le ha venduto l'ultima dose.»

Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now