Capitolo 27

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Jack stava guidando in mezzo a un banco di nebbia. La luce giallognola del faro sembrava danzare dentro la cortina bianca che gli impediva di mettere a fuoco tutto ciò che non fosse la linea che delimitava il bordo della strada. Dietro di lui, Marika gli cingeva la vita e usava le sue spalle come misero riparo contro l'umidità che le stava inzuppando la felpa.

Si erano lasciati alle spalle le vie cittadine da ormai una decina di minuti, ma la foschia le aveva fatto perdere il senso dell'orientamento. L'ansia le aveva stretto lo stomaco in un nodo che diventava più serrato ogni minuto che passava. Le parole di avvertimento di Jack le risuonavano nella testa, in loop, come la sirena di un allarme rimasta accesa. Le gravava sulle spalle anche la consapevolezza di star infrangendo la promessa che aveva fatto a Rebecca il giorno prima: ancora non le aveva scritto.

Nella nebbia sbucò un vecchio cartello bianco con la punta rivolta verso destra. Marika non riuscì a leggere le parole, ma Jack rallentò e seguì la direzione indicata. La strada che avevano imboccato era dissestata. Jack avanzava piano a zig-zag per scansare i crateri che si erano venuti a formare sull'asfalto non mantenuto, ma Marika si sentì comunque sballottare a destra e sinistra.

«Dove cavolo stiamo andando?» mormorò a se stessa con un filo di voce, mentre dentro di sé la preoccupazione crebbe a dismisura. La nebbia le impediva di vedere l'ambiente circostante, ma vista la strada suppose di essere nel mezzo al niente. Se le fosse successo qualcosa, nessuno l'avrebbe trovata.

Irrigidì le spalle e si scostò leggermente dalla schiena di lui. A pelle, Jack le era subito sembrato uno di cui si potesse fidare, ma in quel momento realizzò che alla fine non lo conosceva per davvero e, complice il buio e la foschia, iniziò a dubitare persino di lui.

«Jack, dove mi stai portando?»

La nota allarmata che traspariva dalla sua voce colpì Jack al cuore, ma non poté biasimarla. Anche lui sarebbe stato terrorizzato al suo posto. Era già tanto che non gli avesse ancora chiesto di tornare indietro.

Sperando che il suo gesto non peggiorasse la situazione, stacco una mano dal manubrio e accarezzò il dorso di quella che lei gli teneva sul fianco per sorreggersi.

«Siamo quasi arrivati.»

Il contatto durò solo per qualche istante, ma entrambi sentirono uno strano formicolio diffondersi per tutto il braccio e, come per magia, la nebbia iniziò a diradarsi.

Marika intravide delle luci in lontananza e subito dopo dei rumori le arrivarono all'orecchio. All'inizio non riuscì a distinguerli, ma poi le sembrò di percepire degli appalusi e delle grida di esultanza.

Jack svoltò in una stradina sterrata. Sul lato destro, delle autovetture erano posteggiate in fila per tutta la lunghezza della via che finiva in un piazzale anch'esso pieno di macchine. Nel centro, un vecchio fabbricato squadrato svettava verso il cielo. Era da lì dentro che provenivano gli applausi e le luci. Intorno solo buio e campi.

Jack arrestò il motorino al limitare del piazzale. Senza che le dicesse nulla, Marika scese e si tolse il casco.

«Ma che cavolo...?»

Jack le si affiancò. «Incontri di lotta clandestini» le rispose prima che completasse la frase.

La ragazza sentì un brivido attraversarle la schiena e allarmata si girò verso di lui, ma notando l'espressione seria sul suo volto rimase in silenzio.

Jack si mise il borsone in spalla e quando Marika gli porse il casco, lui scosse la testa. «Portalo con te, non si sa mai.»

La pressione che sentiva alla bocca dello stomaco aumentò. Aveva paura, voleva andarsene da quel posto, ma non poteva. Per Rebecca, lo stava facendo per lei.

«Ti seguo e rimango in silenzio finché non vengo interpellata. Giusto?» gli chiese tremante.

Jack annuì e le sue labbra si piegarono in un sorriso triste. Imparava in fretta e, per esperienza, sapeva che non era positivo. «Cammina a testa bassa e cerca di non attirare l'attenzione» esclamò guardandola negli occhi dopo qualche attimo di silenzio. «Non è un bello spettacolo» aggiunse poi a voce più bassa.

Marika sentì il nodo allo stomaco farsi più stretto e lanciò un'occhiata preoccupata al fabbricato. Adesso le grida erano così vicine che riusciva a distinguere le parole, ma avrebbe preferito non capirle.

«Dai, andiamo. Guardiamo di fare il più veloce possibile.»

Iniziarono a camminare. Jack un passo avanti e Marika uno indietro. C'era un solo ingresso, sul davanti della struttura. Una saracinesca arrugginita era alzata fino a metà altezza, quel tanto che bastava per far passare dritto un uomo. Man mano che si avvicinavano, la luce si faceva sempre più calda e tremolante, ma Marika non capì il perché finché non entrò nell'edificio.

L'ambiente era illuminato da dei fuochi che si alzavano da dei vecchi bidoni, sistemati su tutto il perimetro. Una folla urlante era radunata al centro, intorno a una piattaforma rialzata sulla quale due uomini se le stavano dando di santa ragione. Avevano i volti coperti da maschere e il corpo ricoperto di olio e sangue. Il tanfo di corpi sudati e tabacco feriva le narici, come il volume troppo alto delle grida faceva male alle le orecchie.

Marika si aggrappò al braccio di Jack e nascose il viso nella sua spalla. Non voleva vedere la scena che si stava svolgendo sul ring, le faceva accapponare la pelle e rivoltare lo stomaco, come gli incitamenti alla violenza urlati a squarciagola. Avrebbe tanto voluto tapparsi le orecchie, ma non voleva staccarsi da Jack: le sembrava la sua unica ancora di salvezza. Si lasciò trascinare da lui lungo i muri della costruzione.

Per fortuna, l'attenzione di tutti era rivolta verso i combattenti e nessuno li notò. La luce del fuoco si rifletteva sopra i loro capelli biondi illuminandoli con sfumature rossastre. Due angeli appena giunti all'inferno.

Jack si mosse con passo svelto verso il fondo della sala, sforzandosi di non guardare la ragazza al suo fianco. La sentiva tremare e il senso di colpa per averla trascinata in quel posto gli attanagliò lo stomaco. Individuò l'uomo che stava cercando dopo aver fatto vagare lo sguardo su tutte le pareti. Lui era appoggiato al muro e osserva soddisfatto la scena che gli si svolgeva davanti. Suppose che quell'incontro gli stesse fruttando un sacco di soldi.

Jack si fermò a qualche metro da lui, nello stesso momento in cui l'uomo si voltò verso di loro. «Ti stavo aspettando» gli mimò il maggiore con le labbra, poi gli fece segno di raggiungerlo.

Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now