Capitolo 37

20 2 5
                                    

La prima cosa che colpì Marika non appena entrò nella stanza rettangolare fu l'odore troppo intenso di tabacco mischiato alla fragranza di un profumo maschile, poi, come la porta si richiuse alle loro spalle, fu l'assenza di suoni a sorprenderla. Chi si era occupato dell'insonorizzazione del locale conosceva il fatto suo. Dopo il chiasso della discoteca quella quiete le fece quasi male alle orecchie; continuarono a fischiarle per qualche minuto.

La stanza era arredata con mobili scuri e semplici. Sulla sinistra un divanetto squadrato in pelle era sistemato davanti a un basso tavolino di vetro dov'era posato un posacenere di cristallo riempito di mozziconi lasciati a metà. Dall'altro lato una scaffalatura seguiva il profilo della parete fino alla scrivania di legno verniciata di scuro, dietro la quale un uomo se ne stava seduto con la schiena appoggiata a una poltrona di pelle grigia. Subito dietro di lui, due uomini dalle spalle massicce e i lineamenti seri lanciarono ai nuovi arrivati delle occhiate severe.

Marika era la prima dei tre e un brivido le attraversò la schiena non appena incrociò le iridi con quelle verdi di Sandro Menna. L'uomo sembrava la versione più matura del figlio: stessi lineamenti regolari e medesimo taglio degli occhi; i capelli erano castani più chiari e radi sulle tempie, ma l'uomo emanava una aria di superiorità e di potere che nel figlio era assente. Si sentì piccola e vulnerabile di fronte al suo sguardo penetrante.

In silenzio si fermò nel mezzo alla stanza e Rebecca e Jack le si posizionarono ai lati. Sandro Menna li scrutò tutti e tre, spostando più volte le iridi tra i volti delle due amiche.

«Tu devi essere Marika» esordì dopo qualche attimo alzandosi in piedi. Si portò davanti alla scrivania, poi si spostò davanti a Rebecca. «E tu la figlia di Sergio.»

Marika trattene il fiato e sentì Rebecca fare altrettanto. Era terrorizzata.

«Effettivamente siete molto simili. Impressionante.»

Sandro Menna tornò alla scrivania, ma invece di sedersi sulla poltrona si appoggiò al mobile e mise la mano destra in tasca. Quella posizione rilassata cozzava con la tensione che vibrava nell'ambiente, ma Marika suppose che ne fosse consapevole e gli fece ancora più paura. Per quanto nell'ultimo periodo avesse incontrato diverse persone che l'avevano spaventata, Segio Menna era diverso e lo capì non appena si rivolse a Jack.

«Pensavi che fosse divertente spassartela con entrambe? O che fossi così stupido da non venirlo a sapere?»

Rebecca singhiozzò quando uno dei due uomini sulla parete tirò fuori un coltello a serramanico dalla tasca della giacca e Marika strinse il pugno per bloccare il tremore della mano. Jack abbassò la testa.

«No.»

Sandro Menna lo raggiunse e gli agguantò il mento, costringendolo a sollevarlo. «No cosa?»

Rebecca urlò per il movimento repentino dell'uomo e Marika si aggrappò al suo braccio. Sentiva che per quello sarebbe avvenuto da lì a poco avrebbe avuto bisogno di un sostegno. E così avvenne. Stavolta urlò anche lei mentre Sandro Menna assestava un pugno nello sterno del ragazzo.

«Jack!» Il nome le sfuggì dalle labbra e solo la presa di Rebecca le impedì di buttarsi in avanti.

Il padre di Andrea ripeté la domanda e la vista le si annebbiò quando lo vide alzare di nuovo il pugno per colpirlo. Qualcosa dentro di lei si ruppe. O si sbloccò.

Scattò in avanti. «È colpa mia. Non farlo, ti prego!»

«Marika!» Jack provò a mantenere l'attenzione su di sé, ma ormai Sandro Menna si era voltato verso di lei.

«Hai costretto Jack a portarti con sé al posto della tua amica?» le domandò con tono beffardo.

Rebecca sussurrò il suo nome, ma Marika sostenne lo sguardo di lui sebbene stesse tremando e ignorò quello dolorante di Jack che la stava implorando di lasciar perdere.

«Sì, l'ho pregato. Rebecca era all'ospedale, non poteva andare.»

L'uomo lasciò andare il ragazzo, che si portò una mano sul punto colpito, e si spostò di fronte a lei, poi la squadrò come se la vedesse per la prima volta.

«Ti predi la colpa al suo posto dopo che hai visto cosa gli ho fatto? Pensi che il tuo visino carino basti perché non ti riservi lo stesso trattamento?»

Rebecca iniziò a piangere più forte e Marika temette che quei perforanti occhi verdi fossero in grado di leggerle nella mente. Rispose solo perché con la coda dell'occhio vide che Jack stava per fare lo stesso.

Non ce l'avrebbe fatta a vederlo picchiare di nuovo.

Non le importò di umiliarsi, voleva solo che tutti e tre uscissero integri da lì. Lacrime bollenti le rigarono le guance.

«Per favore. Non gli faccia ancora del male e non lo faccia neanche a noi. È stata davvero una mia idea, ma non l'ho fatto per mancarle di rispetto. Volevo solo che la mia amica non soffrisse più.»

Le ultime parole le uscirono spezzate per colpa dei singhiozzi.

Sandro Menna rimase qualche attimo immobile. Né la sua postura, né la sua espressione mutarono, parlò solo con voce più calma.

«Ora capisco quello che Asso mi ha detto su di te.»

Lasciò cadere la frase a mezz'aria, poi tornò alla scrivania e si sedette sulla poltrona.

Marika avrebbe voluto allungare una mano verso Jack e l'altra verso Rebecca per accertarsi che stessero bene, ma lasciò le braccia inermi lungo i fianchi. In lacrime e con un groppo in gola che a malapena lasciava passare un filo d'aria, aveva paura pure di respirare.

Fu Jack a fare un passo verso di lei, le si accostò finché le loro spalle non si sfiorarono. Tremava anche lui.

«Non mi piace essere preso per il culo, soprattutto da dei ragazzini, ma devo ammettere che lo scambio non ha causato problemi alle consegne, anzi, chiunque ti ha visto, Marika, mi ha fatto arrivare i complimenti per la scelta. Puoi prendere il posto della tua amica, se preferisci, a me basta che qualcuno saldi il debito di suo padre. Le assomigli abbastanza per fare credere ai miei creditori che tu sui lei. Però pretendo assoluto rispetto e che la scelta sia definitiva, non è un corso pomeridiano che potete saltare quando cazzo vi pare.»

L'uomo fece una pausa e un silenzio grave calò sulla stanza. Quando riprese, Marika si sentì nuda di fronte al suo sguardo. «Prenderai il suo posto?»

Tutta la paura e l'apprensione che aveva provato in quelle settimane si riversarono in quella singola domanda. Aveva assistito inerme al crollo della sua migliore amica, della colonna portante della sua vita. Aveva creduto ingenuamente di poterla salvare ed era stramazzata pure lei. L'incontro in quella stanza era colpa sua; le lacrime e il terrore di Rebecca erano colpa sua; il pugno che aveva preso Jack era colpa sua. Poteva rispondere in un'unica maniera, poco importava che Jack la stesse supplicando di dire di no.

«Sì.»


Doveva essere una stupida storia d'amoreWhere stories live. Discover now