47. Beware

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«Non arriveremo mai a Los Angeles di questo passo» Harry si voltò a guardarmi attendendo che lo raggiungessi nel lungo corridoio dell'accademia

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«Non arriveremo mai a Los Angeles di questo passo» Harry si voltò a guardarmi attendendo che lo raggiungessi nel lungo corridoio dell'accademia.

Rispetto a quando eravamo passati di lì alcune ore prima, la quantità di persone era nettamente aumentata: una lunga serie di ragazzi e adulti di età differenti camminava da una parte all'altra freneticamente, diretti probabilmente nelle diverse aule nelle quali si tenevano le lezioni. Non ero mai stata in un ambiente così rigoroso e professionale: ero abituata ai semplici corridoi scolastici, per lo più affollati da ragazzi scalmanati e insegnanti tutt'altro che amichevoli.

«Mi sono distratta a guardare il posto, sembra tutto così interessante» mormorai tenendo lo sguardo su ciò che aveva particolarmente attirato la mia attenzione, «Non credevo esistessero delle aule di informatica così attrezzate» commentai osservando la classe semivuota alla mia sinistra. Presentava cinque o sei file di banchi, sopra ad ognuno dei quali era posizionato il monitor di un computer; mentre sulla lavagna interattiva erano illustrati i passaggi di una tipologia di esercizio che non avevo mai visto.

«Questa è solo una delle quattro che abbiamo, in realtà» replicò Harry con una scrollata di spalle, «Ma è l'unica che conosco, perché è di fronte alla classe di autodifesa» mi indicò una porta alla mia destra, dalla quale stavano uscendo diversi ragazzi con abiti sportivi, probabilmente affaticati e sudati dopo la lezione.

«Quattro aule di informatica?» sgranai gli occhi, ripensando alle misere lezioni a scuola del professor Keller in cui la maggior parte delle volte eravamo persino costretti a condividere il computer con qualcun altro. «Posso vederle?!» domandai sorridendo entusiasta.

«Certo, vuoi che ti faccia anche da guida turistica?» sollevò un sopracciglio con sarcasmo, «Non ho intenzione di farmi tre rampe di scale solo per farti vedere delle aule tutte uguali»

«Noto con piacere che la gentilezza l'hai lasciata lì sul tetto» roteai gli occhi al cielo infastidita.

«Avresti dovuto godertela. Non tornerà così facilmente»

«E a te non tornerà facilmente quello che ho tra le gambe»

Parve sorpreso dalla mia risposta maliziosa, ma mostrò nuovamente un'espressione impassibile dopo aver distolto lo sguardo dal mio volto. «Cosa ti fa pensare che mi importi di riaverla?» scrollò le spalle con indifferenza.

«Devo ricordarti come sono riuscita a scappar via con il tuo portafoglio qualche ora fa?» sollevai un sopracciglio con aria di scherno.

«Eri ubriaca, mi facevi soltanto pena» si giustificò con noncuranza, «Da quando sei passata dal non volermi neppure parlare all'alludere ad una nuova scopata con me?»

Aveva ragione: il modo in cui mi aveva aperto il suo cuore poco prima sul tetto era inevitabilmente riuscito a sciogliere la corazza di ghiaccio che avevo cercato di costruirmi da quando avevo scoperto la verità. Dannate la mia costante sensibilità e la mia empatia: nonostante tutti i segreti che mi aveva nascosto, scoprire degli aspetti così importanti del suo passato aveva inevitabilmente smosso qualcosa in me e cambiato il modo in cui la sua immagine risultava ai miei occhi.

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