09. Slowly

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«In fila, veloci!» urlai duramente battendo le mani per attirare l'attenzione delle ragazze

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«In fila, veloci!» urlai duramente battendo le mani per attirare l'attenzione delle ragazze. «Serena, sei un cammello? Non abbiamo ancora iniziato e già ti sei scolata mezza bottiglia! Come salti con due litri di acqua nello stomaco?!» la rimproverai rivolgendole uno sguardo severo.

«Scusa, è che sono in hangover» si giustificò.

«Oh, poverina...» finsi un'espressione dispiaciuta. «Non me ne frega un cazzo!» sibilai acidamente. «E da ora in poi non potete più ubriacarvi la sera prima degli allenamenti»

Portai lo sguardo su ognuna delle ragazze, le quali mi avevano ascoltato e si erano messe in riga sulla linea bianca da un lato del campo. Iniziarono a mormorare tra loro, probabilmente lamentandosi per ciò che avevo appena detto.

«Perché?» osò chiedermi Kara, guardandomi confusa.

«Perché,» ripresi la parola, «come spero abbiate già saputo, siamo state selezionate per le regionali del mese prossimo» asserii seria, guardandole una ad una per essere certa che mi stessero ascoltando. «E noi dobbiamo vincerle, ovviamente»

Alcune di loro annuirono, altre mi guardarono un po' stranite.

«Quindi ho bisogno che siate nel meglio delle vostre facoltà. Non accetto errori, né distrazioni, né dispetti.» Mi curai di guardare Bonnie direttamente negli occhi, assicurandomi che avesse compreso a cosa mi stavo riferendo, «...o questa volta non ci penserò su due volte prima di cacciarvi dalla squadra» sentenziai.

Il mio sguardo si posò solo per alcuni secondi sulla persona che si trovava poggiata al muretto dal lato opposto del campo. Harry mi stava osservando con un sorrisetto sghembo sulle labbra e sembrava essere molto divertito dalla scena che aveva davanti.

Non aveva una squadra di idioti di cui occuparsi? Perché non la smetteva di osservare me e di deridermi solo con lo sguardo?

Fui costretta ad impiegare tutta la forza di volontà che avevo per distogliere lo sguardo da lui prima che l'istinto di andare ad insultarlo prevalesse. Dovevo occuparmi di ciò che era davvero importante in quel momento: quella gara ne valeva della mia stessa vita. Vincerla voleva dire passare alle nazionali, semplicemente il mio più grande sogno.

Non c'era nulla che ritenessi più importante del cheerleading: era l'unico motivo per cui mi alzavo al mattino, l'unica ragione per cui continuavo a sentire la mia vita degna di essere vissuta. Non trovavo niente di più bello ed emozionante che percepire il vento tra i capelli, danzare a ritmo di musica, sentirmi leggera come una piuma.

Diventare cheerleader era stato il mio sogno sin da quando ero solo una bambina: le foto di mia madre nella sua divisa rossa e bianca erano sempre state la mia più grande fonte di ispirazione. La mia immaginazione si spingeva oltre i confini del realismo ogni volta che mi perdevo nel suo sorriso luminoso e nella sua bellezza sovrumana. Guardavo il nastro rosso della sua uniforme che ancora adesso utilizzavo durante gli allenamenti, e immaginavo di volteggiare nell'aria insieme a lei in un'altra dimensione, di ridere spensieratamente mentre il vento s'insinuava tra i nostri capelli dorati. Ero solo una bambina, eppure sapevo perfettamente che quello sarebbe sempre stato il mio obiettivo.

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