38. Shivers

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ʜᴀʀʀʏ'ꜱ ᴘᴏᴠ

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ʜᴀʀʀʏ' ᴘᴏᴠ

«È questa, ne sono sicura!» pigolò Evie tenendo il naso incollato al finestrino della mia auto come una bambina.

I suoi grandi occhi verdi si erano illuminati come faville scintillanti dal momento esatto in cui il paesaggio aveva iniziato a cambiare al di là del vetro: le palme da cocco tipiche di Los Angeles avevano lasciato spazio ad abeti e pini innevati; l'aria temperata della California era stata sostituita dal clima rigido della montagna, obbligandoci ad attivare il sistema di riscaldamento della mia auto.

Il viaggio verso quella baita era stato duraturo e piuttosto estenuante, ma l'entusiasmo di Evie non aveva accennato a scemare per l'intera durata del tragitto. Aveva impiegato gran parte del tempo a raccontarmi di quanto scalpitasse all'idea di poter fare ingresso in quel rifugio dopo tanto tempo, di rivedere acceso il camino di fronte al quale aveva trascorso interi pomeriggi, di percepire nuovamente la sensazione della neve tra le dita... Ed io, di fronte alla sua instancabile euforia, non avevo potuto far altro che lasciarmi trasportare per l'intero tragitto, finendo per sorridere e ridacchiare insieme a lei come un vero idiota.

Parcheggiai l'auto di fronte all'edificio che mi aveva indicato. Non aspettò neanche che inserissi il freno a mano prima di fiondarsi fuori dall'abitacolo per raggiungere il giardino della piccola casetta di legno. Si inginocchiò immediatamente sulla neve e in un attimo raccolse un po' di quella magia soffice tra le mani per portarsela di fronte al viso e osservarla.

Il suo giubbino celeste spiccava sui colori freddi attorno a lei, insieme al cappellino bianco che portava sulla testa e alle sue labbra rosate perennemente incurvate in un sorriso. I capelli biondi formavano dei morbidi boccoli dorati verso le punte e ondeggiavano ad ogni suo movimento, incorniciando perfettamente il suo piccolo volto incantato. La sua pelle era così lattea che si confondeva con il colore pallido della neve attorno a lei, e per un istante mi chiesi se quella che avevo di fronte fosse una sottospecie di fata, un angelo o qualsiasi altro essere capace di risultare tanto delicato e innocente quanto lei in quel momento.

Scesi dall'auto per poterla raggiungere. Quando le mie scarpe affondarono nella neve, mi sembrò per un istante di rivivere momenti della mia infanzia a Londra: il freddo affilato contro la pelle, il suono dei cristalli di ghiaccio che si rompevano sotto le suole degli stivali, il naso gelato, le labbra screpolate...
L'Inghilterra era ciò che più di tutto mi mancava della mia vita di prima.

«Guarda!» mi mostrò la palla di neve perfettamente sferica che era riuscita a costruire con le mani, sorridendo come una bambina soddisfatta della sua creazione.

«È troppo grande per essere lanciata» contestai, chinandomi verso il basso per poter raccogliere un po' di neve, «Ti informo che hai di fronte un vero esperto di combattimento a palle di neve» ghignai, cominciando a modellare una sfera della dimensione corretta con le dita.

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