Capitolo 19 - III

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Appena il taxi mi lasciò davanti al locale dove lavorava il panico salì tutto insieme.
Non ero pronto, non mi sentivo pronto, tre mesi senza vederla, senza poterle parlare erano stati troppi.
Rimasi per un po' fuori tentando di individuarla, ma c'era troppa gente che copriva la visuale e poi la vidi spuntare nella sala con una cassa di lattine in braccio, troppo pesante per le sue braccia.
Semplice e bellissima come lo era sempre stata. Indossava un jeans scuro e un maglione rosa, i capelli più lunghi di come li ricordavo, legati senza impegno come faceva anche a casa quando aveva necessità di toglierseli da davanti il viso.
Sembrava serena, disinvolta come se avesse sempre fatto quel lavoro.
Non avevo mai conosciuto nessuno che avesse lasciato un lavoro in piena ascesa e adattarsi ad un altro che non aveva mai fatto in vita sua. Ma lei era così, sapeva improvvisare. Era cocciuta, se non le riusciva una cosa provava e riprovava con caparbietà e alla fine riusciva senza essere mai fuori luogo.
Quando Rania mi raccontò che viveva a Istanbul, come se fosse nata e cresciuta in quel posto, mi sembrò surreale, ma vedendola così sicura di sé, fu evidente quanto forza aveva tirato fuori e quanto combattivo fosse il suo carattere. Ero orgoglioso di lei.
L'averla rivista ravvivò quel senso di dipendenza che avevo sempre avuto nei suoi confronti e che mi attirava a lei come una calamita, come un'ape al miele, non mi bastava solo osservarla da lontano avevo bisogno di avvicinarmi, ma non ero pronto a parlarle, ero troppo nervoso e avrei fatto sicuro qualche errore. Mi serviva approcciare a lei a piccole dosi.
Entrai e riuscii ad avvicinarmi al bacone senza che lei mi vedesse, indossavo un capello e un giaccone lungo che mi coprivano, senza dare nell'occhio andai nell'angolo dove era posizionato l'albero di Natale, mi nascondeva quel poco che bastava.
Riuscivo a vederla bene, era vicinissima, intenta a leggere un quadernino e a recitare a voce alta delle frasi in turco.
Mi feci bastare quei pochi minuti e uscii di corsa fuori. Il taxi che mi aveva portato stava ancora aspettando lungo la strada, ma non ero ancora pronto ad andare via, volevo vederla un'ultima volta.
Fu lei però a venire da me, inaspettatamente uscì dal locale, indietreggiai per non farmi vedere e rimasi fermo in angolo buio.
Era sconvolta, piegata su se stessa con le mani sulle ginocchia, provava a fare dei grandi respiri.

Era di MaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora