Capitolo 24 - II

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Quando tornai a Napoli mi resi conto che mi era mancata più di quanto mi aspettassi.
Avevo ritrovato in Istanbul molte caratteristiche affini che mi avevano fatto sentire meno la nostalgia della mia città come il traffico, la tanta gente affollata nelle vie e nelle piazze, l'ospitalità delle persone, il mare e i tramonti indimenticabili, ma il profumo delle sfogliatelle appena sfornate, la pizza servita sui tavoli di marmo e l'odore di caffè appena macinato quelli no, erano unici.
C'era un'altra cosa a cui non feci mai caso ma me ne resi conto solo quando lo sentì risuonare, il suono delle campane.
Per tre mesi non l'avevo più sentito e non me ne ero accorta. Forse perché, nonostante l'islam non fosse la mia religione, avevo comunque continuato a percepire uno slancio spirituale attraverso il richiamo alla preghiera che si propagava dagli alti minareti fino a raggiungere qualsiasi punto di Istanbul.
Chiesi a John di fermarsi davanti alla prima chiesa che vidi. Entrai affascinata come se non ne avessi mai vista una.
Mi venne spontaneo accendere una candela, forse perché ero grata di tutto quello che la vita mi stava donando. Era una chiesa piccola proprio come quella che avrei scelto per il mio matrimonio.
Desideravo una cerimonia intima, se fosse stato per me, mi sarei sposata anche in quel momento ma John voleva fare le cose per bene, non mi avrebbe concesso una cosa improvvisata. Nonostante fosse il proprietario di un'agenzia di grandi aventi eravamo d'accordo nel fare una cosa semplice, circondati solo delle persone a noi più care. Volevamo e potevamo sposarci in Chiesa visto che il suo precedente matrimonio era stato svolto con rito civile.
Avevamo deciso che il tutto sarebbe avvenuto a maggio, quando le belle giornate ci avrebbe permesso di festeggiare anche all'aperto, rigorosamente con lo sfondo del mare come ospite d'onore.
All'inizio pensai che maggio sarebbe stato troppo lontano ma considerando che, anche se pochi, c'erano dei preparativi da fare, forse era stata la scelta migliore, in fin dei conti eravamo già a gennaio inoltrato e tre mesi sarebbero volati in un lampo.
Dedicammo la prima settimana dal nostro rientro a trasferire le ultime cose che erano a casa di Sara, dalla sua a quella di John.
Anche se in realtà lui si arrabbiava ogni volta che l'appellavo come casa sua, continuava a ripetermi ossessivamente che quella era casa nostra.
Trascorremmo un'intera giornata a sistemare tutta la mia roba, John non poteva essere più felice, lo vedevo dal suo sguardo.
Quando entrai in casa dopo tutto quel tempo mi resi conto della verità del suo racconto.
Aveva lasciato tutto intatto com'era prima che io me ne andassi, si era raccomandato con Rosita, la signora delle pulizie, di non cambiare la disposizione di nulla, di nessun oggetto che fosse in casa e se avesse avuto bisogno di spolverare di rimettere tutto al suo posto in maniera maniacale.
Era vero, i miei orecchini erano ancora sul comò, così come il libro che stavo leggendo sul tavolino da caffè del salotto, persino il mio pigiama era rimasto piegato sul letto.
Capii solo in quel momento quanto era stato difficile anche per lui la nostra separazione.

Era di MaggioWhere stories live. Discover now