Capitolo 43

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Appena mi resi conto che la giornata di lavoro stava finendo mi ricordai che avevo dimenticato di avvertire Gennaro per farmi venirmi a prendere. Non avevo intenzione di chiamare Dario, non dopo la spiacevole conversazione del giorno prima.
Leila e Michele avevano altri orari e così prima di mettere in croce Gennaro o chiamare un taxi tentai con Denise, ma dispiaciuta disse che avrebbe preso un autobus.
John passò in quel momento, fece un saluto generale senza dare importanza a nessuno, soprattutto a me, neanche mi guardò.
Arrivai all’ascensore e lo trovai ancora lì, esitava ad entrare nonostante fosse arrivato.
“Ti porto io a casa!” Disse categorico come se non ci fosse possibilità di contraddirlo.
“Grazie!” Non aggiunsi altro e non feci neanche nessuna protesta.
Mi aprì lo sportello della macchina e andò subito a sedersi al posto di guida.
Poggiai dentro le stampelle e provai ad entrare ma quella macchina era particolarmente alta e non riuscivo.
Provò a resistere fino alla fine poi scese e mi venne incontro. 
“Metti il braccio dietro il mio collo!”
Lo feci un po' impacciata ma appena lo toccai riprovai tutte quella sensazioni che un tempo mi mandavano fuori di testa. Mentre mi poggiava piano sul sedile lo guardavo invedente ma il suo volto teso non lasciava trasparire nessuna emozione. Solo quando per togliere il braccio da dietro il suo collo, involontariamente lo avvicinai ancora di più a me, intravidi da dietro i suoi occhiali da sole una reazione, chiuse per un attimo gli occhi e subito dopo fece un respiro profondo.
Continuò comunque a non guardarmi, si spostò veloce, chiuse la porteria e tornò al suo posto. 
Nessuno dei due parlò per i primi cinque minuti, poi mi sentii, per qualche strano motivo, in dovere di spiegare la mia situazione con Dario.
“Ieri quando hai visto Dario, non vorrei che avessi frainteso. Non c’è nulla tra noi!”
“Non devi giustificarti! Sei stata chiara, la tua vita privata non mi deve interessare più!”
“Mi hai preso molto in parola!”
Si accostò e fermò la macchina.
“Isi mi hai chiesto o no di non interferire nella tua vita privata?”
“Si, ma volevo spiegarti…”
“Perché?”
“Perché cosa?”
“Perché ti interessa sapere come la penso se poi non vuoi veramente ascoltarmi!”
Aveva ragione ero un ipocrita. Ma non era facile per me gestire tutto quello mi stavo comportanto vermente in maniera ambigua.
“Perché ascoltarti significherebbe ritornare a stare male!”
“Io non voglio più farti soffrire, lo capisci?” Poggiò per un attimo la testa sul volante “Ecco perché ti evito! Credi veramente che io non voglia sapere quello che fai, quello che pensi, con chi parli o sapere cosa diavolo ti sei fatta a quel piede!”
Accennai un sorriso. 
Allungò la sua mano per stringere la mia e glielo lasciai fare.
“Io voglio vederti sorridere e se questo implica un allontanamento da te, allora lo farò!”
“No per favore!” Dissi terrorizzata all’idea “Ho bisogno di tempo ma non evitarmi più, mi farebbe stare ancora più male!”
Strinse ancora più forte la mia mano.
“Avrai tutto il tempo che vuoi e quando sarai pronta, se lo vorrai parleremo!”
Feci un sospiro di sollievo.
Anche se entrambi a pezzi almeno eravamo insieme. Non avevo la piu pallida idea di come sarebbero andate le cose ma di sicuro non ero pronta a distaccarmi totalmente da lui, avevo bisogno della sua vicinanza, non riuscivo a farne a meno. Pensare di tenerlo di nuovo a distanza mi sembrava impossibile, mi mancava la sua voce, il suo sorriso, mi mancavano anche i suoi abbracci e i suoi baci ma per quelli ancora non ero pronta.

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