Capitolo 67

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La mattina quando ci svegliammo mi disse che era esausto, di solito prima del lavoro si allenava o andava a correre ma quella mattina non aveva le forze. 
“Ho bisogno di far finta che tu non esista da ora fino a quando arriviamo a lavoro, altrimenti non resisterò e questa sera mi dovranno fare una flebo”
“Allora facciamo che tu ti prepari qui e io di là e poi facciamo una bella colazione. Faremo tutto senza guardarci!” 
Sembrava assurdo ma in realtà aveva ragione, non riuscivamo a stare vicini e basta, era un trasporto irrefrenabile che non potevamo controllare. Gli diedi il bacio del buongiorno solo quando fummo pronti per uscire onde evitare ripensamenti.  

Quel primo periodo volò così veloce che neanche me ne accorsi. In ufficio si erano abituati a noi e ormai nessuno dava più peso al fatto che mi tenesse per mano quando arrivavamo al lavoro o che si avvicinasse alla mia scrivania per darmi dei furtivi baci prima di qualche appuntamento.

A casa invece non c’era stanza o posto dove non avessimo fatto l’amore, la distanza e il contegno che mantenevamo, sforzandoci in ufficio, esplodeva appena chiudevano la porta di casa. Mi resi conto che in poco tempo avevo maturato una dipendenza viscerale nei suoi confronti e lui nei miei, non riuscivamo più a fare a meno l’uno dell’altra, eravamo diventati un tutt’uno, sia sul lavoro, sia nella vita privata. 
La sera, dopo cena lo guardavo ammirata mentre leggeva o continuava a lavorare al computer, a casa lasciava sempre i capelli sciolti, lo associavo a un leone con la sua barba lunga e i capelli ribelli che gli arrivavano quasi alle spalle, mi piaceva la naturalezza con cui li portava, non gli avrei mai permesso di tagliarli. 
In un momento di solitudine, ne approfittai per chiamare Rania, da quel giorno tornata da Ischia, non l’avevo più sentita. Chiacchierammo un po', mi chiese cosa ne pensavano i nostri genitori del fatto che mi fossi trasferita da John. In realtà ancora non gliel’avevo detto, sapevano solo che c’era un uomo nella mia vita, che era una storia importante e che appena sarebbero venuti a Napoli gliel’avrei fatto conoscere. John ci teneva molto e mi chiedeva spesso di chiamarli e di invitarli, ma rimandavo sempre. Ero sicuramente un po' di suggestione a frenarmi, non sapevo come dirgli che già vivevamo insieme e che la cosa era andata ben oltre le loro e anche le mie aspettative. Quando iniziai il mio nuovo lavoro, a fine maggio, mai mi sarei immaginata di innamorarmi del mio capo e di vivere con lui in quella casa da ricchi. Perché diciamocelo John era particolarmente ricco, non che quello facesse differenza per me, lo avrei amato anche se fosse stato povero e se la nostra casa fosse stata nella periferia di Napoli, ma la realtà era ben diversa. A volte non sapevo come gestire tutta quell’agiatezza. La mia famiglia non era ricchissima come la sua naturalmente, ma abbastanza benestante da vivere bene, mio padre era un pilota dell’Alitalia, ecco perché la passione per il volo di mia sorella Rania, mia madre un insegnante di inglese, non ci avevano fatto mai mancare nulla, ma quello a cui era abituato John era tutt’altro. Riflettei a lungo su quella differenza sociale, ma alla fine quello realmente importante era l’uomo non i suoi averi. Io amavo il John pieno di vita, che sapeva apprezzava anche le cose più semplici, che ascoltava Pino Daniele, che amava la pizza e fare colazione con caffelatte e biscotti inzuppati a tal punto da diventare una poltiglia. 

Era di MaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora