Sheol

De Little57

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Tra le macerie di un posto che cadeva a pezzi non ci eravamo resi conto che quelli più distrutti eravamo noi... Mai multe

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
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Capitolo 45
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Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
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Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
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Capitolo 62
Capitolo 63
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Capitolo 71
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Capitolo 73
Capitolo 74
Capitolo 75
Capitolo 76
Capitolo 77
Capitolo 78
Capitolo 79
Capitolo 80
Capitolo 81
Capitolo 82
Capitolo 83
Capitolo 84
Capitolo 85
Capitolo 86
Capitolo 87
Capitolo 88
Capitolo 89
Capitolo 90
Sequel ed altre storie
Nuova Storia: Madera

Capitolo 67

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De Little57

Il mattino è pallido, come se tutti i colori del cielo fossero stati prosciugati. Al posto dell'azzurro che c'era ieri null'altro se non una coperta grigia. Come spesso accade al cielo di Londra. Non mi capitava di fare così caso al tempo, quando vivevo coi ragazzi: troppo presa a comprendere quello che mi circondava, presa dagli allenamenti, la scuola.

Mi si stringe lo stomaco se penso che c'è una percentuale di probabilità che io non vi metta più piede. Dipende tutto da come riesco a gestire i miei genitori oggi. Se non riuscissi a farli ragionare raccoglierei i miei vestiti in fretta e furia e me ne andrei con il buio, senza dare spiegazioni a nessuno. Non voglio rinunciare ai miei amici, non voglio rinunciare a sedere al solito tavolo per le pause pranzo, ai corridoi, nemmeno ai litigi.

Poco fa la macchina dei miei genitori è entrata nel vialetto. Non hanno portato Jillian con loro. Sanno quanto avrei voluto vederla, non portarla è una mossa calcolata: se dovessi rifiutarmi di andare con loro la userebbero come minaccia, come ricatto. Molto probabilmente non potrei più vederla. Ma non permetterò più ai loro modi di piegarmi e di costringermi al volere di qualcuno che non sia il mio. Devo concedere a me stessa il lusso di poter procedere per gradi: vedere Jillian è una priorità, ma difendere la mia libertà e le mie decisioni anche. Inoltre non posso ignorare gli altri rapporti che ho creato finora, anche loro devono essere protetti. E poi c'è Snyder ed il modo in cui ho promesso ai ragazzi che sarei stata dalla loro parte per riuscire ad abbatterlo.

Osservo la mia immagine allo specchio un'ultima volta: indosso la felpa di Harry, la stessa che aveva abbandonato nello Sheol, tempo fa, e che io gli ho sottratto: non l'ha mai cercata, dubito che sappia sia in mio possesso. Ce l'ho da molto, ragion per cui l'originario profumo è sbiadito tanto da scomparire quasi del tutto, ma se chiudo gli occhi e ripenso intensamente ai suoi abbracci ritorna alle mie narici. Indossare questo mi fa sentire meno sola, mi da forza; non credo di essermi resa conto, a dire il vero, di cosa sto per affrontare.

Scendo le scale, sono tutti in soggiorno. Ancora in piedi, si salutano e si abbracciano, sistemano i cappotti sull'attaccapanni. Ci vuole un poco prima che si accorgano di me, la prima a farlo è mia madre. Rivedere il suo viso dopo tanti mesi ravviva in me emozioni contrastanti: non sono mai stata lontana da casa per così tanto tempo, e mentirei se dicessi che non mi è mancato vederla tutte le mattine, prima di andare a scuola. E' pur sempre mia madre, nonostante tutti gli errori che ha commesso nel crescermi e, sopratutto, nell'abbandonarmi. Sembra stanca ma gli occhi sorridono prima della bocca. Forse è contenta ti vedermi. 

Lentamente cala il silenzio, gli occhi dei presenti cadono su di me ma io non guardo altri se non mia madre. Compie alcuni passi verso di me, non ha ancora detto una parola e sembra abbia paura, come se dovesse cercare di accarezzare una bestia feroce.
"Ciao mamma." interrompo poi, andandole incontro a mia volta. Questo sembra darle la giusta sicurezza, perché mi trascina in un abbraccio che è decisamente inaspettato. C'è una parte di me che vorrebbe gioire, ma un'altra, quella più prepotente, mi ricorda che è troppo tardi. I suoi sensi di colpa non devono essere anche miei. I suoi abbracci non c'erano, né il suo amore, quando piangevo disperata perché non mi allontanassero dall'unico modo che avessi mai conosciuto. 

Sollevando lo sguardo oltre la sua spalla posso notare mio padre. Rigido, grigio nel suo completo elegante. Non posso evitare un sorriso: si è presentato qui come se dovesse andare in ufficio, non come se fosse a casa dei propri genitori ad incontrare sua figlia, che non vede da quattro mesi. Ma non mi sorprende. 

"Sei così diversa." nota mia madre allontanandosi lentamente. Mi scruta da capo a piedi senza ritegno. Nonno Peter e nonna Ofelia mi guardano con un pizzico di compassione negli occhi: nessuno vorrebbe essere al mio posto, lo so bene. Guardo l'uomo che è mio padre, colui che ha avuto l'ultima parola sul fatto di spedirmi lontano da casa. Questa deve essere la resa dei conti, glie lo leggo negli occhi. Alla fine in lui potrei perfino trovare un alleato: per quanto paradossale, lui mi vuole lontano da casa tanto me. 

Vorrei scoppiare a ridere quando mi porge la mano, come se fossi un socio d'affari: una stratta di mano e nemmeno qualche parola. Osservo il suo volto con attenzione: sta invecchiando. I capelli sono più brizzolati, le rughe sulla fronte più marcate, le sue mani.. osservo la fede all'anulare sinistro e l'anello dalla grossa pietra nera al mignolo destro. Tutto questo deve essere uno scherzo. Il suo gesto mette in difficoltà tutti quanti. 

Non dovrei lasciare a questa delusione di incrinare il mio spirito. Ricordo a me stessa che non ho bisogno di loro, che posso vincere questa separazione, tagliare il cordone una volta per tutte ed uscirne illesa. Non devo avere paura. Ma non è paura quella che mi blocca, quella che mi fa combattere le lacrime, è la consapevolezza sempre più vera di ciò che ho avuto. Di quanto poco ho ricevuto. Questa visione distorta ed oscena di amore deve avermi davvero segnata se ora sono qui in piedi davanti a loro con indosso la felpa di un ragazzo che non ha saputo ammettere nessun tipo di attaccamento, figurarsi sentimento, nei miei confronti. 

"Thomas, è tua figlia." nonno lo sta chiaramente giudicando con quel tono.

"Grazie per averglielo ricordato nonno Peter." sbuffo mentre incrocio le braccia al petto.

"Devi ringraziare se sono qui."

"Davvero buffo-lo guardo -credevo foste stati voi a convocare me e non il contrario." 

"Sky." sussurra mamma, con un tono che dovrebbe rimproverarmi. 

"Propongo di accomodarci tutti in salotto." interviene nonna mentre indica i divani.

Papà si dirige per primo verso una delle poltrone e la occupa come se dovesse tenere una conferenza stampa, tutti gli altri gli siedono intorno, eccetto nonno Peter; è lui ad indossare i pantaloni in questa famiglia, per fortuna.

"Suggerisco che ognuno di voi faccia un passo verso l'altro; abbiamo bisogno di chiarire, Sky ha bisogno di certezze. Di certo non tornerà volentieri con voi se vi presentate così." nonno cerca di sminuire.

Sorrido scuotendo lentamente la testa: "Vorrei che questa discussione venisse incentrata attorno al fatto che io non ho nessuna intenzione di restare qui a Londra." osservo i loro volti "Non sono stata io a chiedervi di richiamarmi a voi. E, devo ammettere, che per me è indifferente che voi mi vogliate con voi o meno, a questo punto. Visto e considerato poi come sono stata cacciata di casa. Sappiamo tutti come sono andate le cose- le mie parole portano tensione ed imbarazzo -ma non avevo forse bisogno di aiuto tanto quanto Jillian? La vostra soluzione è stata non ritenermi più un vostro problema." gli occhi di mia madre sono sgranati, mio padre serra le mani a pugno ed i miei nonni non sono meno sorpresi dalle mie parole. La Skylar che loro hanno cresciuto e conosciuto non avrebbe mai detto queste parole. Non sarebbe mai risultata così sfrontata in un discorso. 

"Sei arrabbiata con noi. Ma questo non giustifica il tuo essere sciocca. Quello che dici non ha senso: le tue opportunità sono a Londra, sono con noi." interviene mamma spezzando il silenzio in cui tutti sono caduti alla mia affermazione. Ofelia mi guarda con un briciolo di comprensione.

"Può darsi." la guardo con attenzione. E lo penso davvero, forse sto prendendo la peggior decisione della mia vita nel decidere di tagliare i rapporti coi miei genitori. "Ma voi non potete trattarmi come se non fossi un essere pensante, come se non avessi volontà o desideri. Per tutta la vita ho cercato di rientrare nei vostri canoni e a cosa mi ha portato? Sono una persona terribilmente infelice, e forse perfino questo è un lusso che voi mi avete concesso. La ragione è che non sto rifiutando ti tornare a casa con voi perché ho trovato una felicità stabile da qualche altra parte- sottolineo -è per la libertà che vi ho trovato. Ma probabilmente sto gettando le mie parole al vento: voi non avete mai ascoltato nulla che non aderisse pienamente al vostro credo." mi stringo nelle spalle. La stoffa della felpa cinge la mia pelle e so che Harry è qui con me: è stato lui a trarre fuori quest'animo guerresco. Con lui non ho mai rinfoderato gli artigli prima di aver ottenuto ciò che desideravo, e lo stesso farò ora.

"Sky- continua mia madre, l'unica che voglia cominciare qualcosa, o che voglia cercare di farmi ragionare -sei stata via per tanto, ma non per moltissimo. Qui tutto è rimasto come l'hai lasciato partendo. Ritroverai i tuoi agi, i tuoi privilegi, la tua vita soddisfacente. Ti stai lamentando di una vita che non ti è mai pesato vivere!" 

"Era anche l'unica che conoscessi." controbatto. Forse spedirmi lontano da Londra è stato il più grande atto d'amore che abbiano mai fatto nei miei confronti, sebbene vada contro il nostro rapporto. "Non ho mai avuto degli amici, non ho mai avuto la libertà di sperimentare le cose a modo mio. Non ho potuto scegliere cosa studiare, e non avrei potuto scegliere se continuare a studiare e che università frequentare. Tutto ciò che conoscevo eravate voi- indico le persone nella stanza -e pochi altri scelti."

"Pochi sono all'altezza di ciò che siamo." interviene la voce burbera di mio padre. Il suo tono è calmo ma non potrebbe essere più arrabbiato. E' un uomo freddo e calcolatore, tutto ciò che conosce è sé stesso, ed è quello il suo metro di misura per il mondo. 

"Come credi.." sbuffò, comprendendo bene che non c'è modo di ragionare con nessuno di loro due. Con lui men che meno. "Io parlo, e voi non mi ascoltate. La cosa non mi sorprende. Per cui ve lo dirò con meno fronzoli: io non resterò a Londra."

"Non puoi fare quello che ti pare!" mio padre alza decisamente la voce.

"Ho compiuto diciotto anni il che significa che per questo Stato sono un adulto libero di fare le proprie scelte. Non ho bisogno della tua approvazione per essere ciò che voglio. In effetti ti consiglio di non parlare affatto siccome ogni tua parola, oltre che terribilmente offensiva, è anche molto inutile. Non sono una pedina che muoverai in una scacchiera, non sacrificherai qualcosa che non ti appartiene per i tuoi luridi profitti. Io non sono in vendita e non sono di tua proprietà." condisco il tutto con un sorriso.

"Sei a tanto così- mi guarda -dall'essere caricata in macchina a forza." i suoi occhi mi incutono un certo timore, so che potrebbe farlo. Tuttavia non mostro nemmeno una crepa nella mia facciata di sfrontatezza. Non avranno appigli attraverso i quali manipolarmi. 

"Tremo tutta." sorrido verso papà. 

"Pensa a Jillian! Non ti interessa nulla di lei? Non vuoi vederla?"

Volgo gli occhi verso mia madre con lentezza asfissiante, devo controllare me stessa ed i miei istinti, per non possedere nulla e nessuno: "Come osi, tu, dirmi una cosa simile? Mi avete imballata e spedita letteralmente in una discarica senza darmi nemmeno il tempo di capire se fosse viva o morta, ed adesso per convincermi a restare fai appello al mio amore fraterno? Tutto questo è disgustoso, dico davvero. Come se non ti avessi chiamata solo ed unicamente per chiedere di lei, dall'unico dannato telefono fisso che sono riuscita a trovare, ricordandomi a memoria il tuo maledetto numero, perché non ti sei premurata di lasciarmi nemmeno quello.." le mie parole portano con se il gelo. Il punto è che nessuno qui dentro ha mai osato sputare la verità con i dettagli con cui sto facendo io. "Per quel che vale- continuo guardando i miei genitori -la Douglas High School avrebbe potuto chiamare solo per informarvi della mia scomparsa, e del ritrovamento del mio cadavere in qualche cunicolo buio.." rabbrividiscono "Ce ne sono parecchi dovo vengo." sorrido enormemente divertita dalle loro reazioni.  "Baderò a me stessa." concludo poi. 

"Tu pensare a te stessa? In che modo potresti essere utile a qualcuno tu? Un'anormale." ridacchia mio padre.

Tutti quanti i presenti, eccetto la sottoscritta, lo guardano con un paio d'occhi in più. Nonno Peter cerca di trattenersi dal mettergli le mani addosso: forse si sta rendendo conto di aver fallito come padre tanto quanto il mio ha fallito con me.

"Suppongo sia per questo che mi odi tanto. Perché la mia anormalità è opera tua, opera di tutte quelle cose che credevi infallibili. Non è bastato insegnarmi a stare, ballare, scrivere, parlare, mangiare come una duchessa. Non è servito presentarmi le persone 'giuste'. Non è servito plasmarmi a tuo gusto e piacimento.. alla fine hai fallito." questa è una resa dei conti. Non avrò pietà per nessuno. 

"Credi di essere tanto intelligente e tanto matura perché hai visto un po' di povertà e di vie malfamate.." ridacchia "Non mi interessano le tue opinioni, non m'interessa quello che vuoi."

"Questo non è cambiato." ridacchio mentre vedo i volti delusi degli altri tre presenti.

"E quindi, se ti dico che torni a casa con noi, tu lo fai e basta, senza fiatare." mi indica con il dito indice.

Qualcuno bussa, sono quasi sicura che sia Ben che arriva nei momenti meno opportuni per poter mettere altra carne sul fuoco. Ofelia si affretta ad andare ad aprire.

Io resto qui, immobile ed incapace, potrebbe rivelarsi più difficile di quanto pensavo, non avevo calcolato tutto questo. Non mi ricordavo bene la testardaggine e la cattiveria di quest'uomo. Nessuno fiata, non c'è nessuno rumore, da nessuna parte eccetto che per la porta. Le chiavi che girano nella toppa, voci confuse nell'ingresso e poi dei passi. Mi alzo in piedi ed avanzo fino al centro della stanza. Cammino avanti ed indietro per cercare di mettere ordine nella mia testa malmessa. Cosa dire? Come convincerli senza dover per forza strisciare ai loro piedi?

Ma i passi diventano passi conosciuti, diventano passi già sentiti, diventano passi voluti, sognati, passi familiari, passi pieni di un suono così diverso da quello degli altri.

Quando si fermano di colpo, non posso fare a meno di notare gli occhi di tutti correre alla figura alle mie spalle, palesemente sorpresi.

So che è lui. 

Mi volto, come se tutto accadesse a rallentatore. Quando appoggio gli occhi sulla sua figura sento di poter tirare un sospiro di sollievo. Harry è quello di sempre, non lo hanno cambiato i giorni, anche se a me sembrano passati anni. Addosso uno dei soliti maglioni, i capelli in disordine, i jeans strappati, gli stivali ai piedi, gli occhi verdi contornati da ombre scure, il dolore palesemente impresso sul suo viso. Non sono più sola. 

"Ho un'altra risposta per te testa di fuoco." sussurra, come se non avesse interrotto nulla, come se, invece, fosse stata proprio la vita ad interrompere il nostro discorso di quella sera al lago. E sento che le lacrime scivolano silenziose lungo il mio viso. "Spero solo tu voglia sentirla.. è stata una lunga strada." sorride appena.. quei sorrisi che cerca di trattenere e fanno si che si formino le solite fossette ai lati della bocca, così dolci e letali.

Cammino verso di lui: quando sto per avvolgere le braccia attorno al suo busto, è proprio lui a precedermi, attirandomi a se come se fosse passato tanto di quel tempo che ce lo siamo impressi sulla pelle. Mi stringe a se forte, fortissimo, il suo viso nell'incavo del mio collo, e il mio sul suo petto a sentire il mio battito ora un po' più veloce. 

"Mi dispiace." sussurra poi mentre la sua mano si intrufola tra i miei capelli e li stringe dolcemente a pungo sulla nuca, come per farmi più vicina. "Non te ne saresti dovuta andare come hai fatto." continua. "Spero siano lacrime di gioia." mi fa ridere, passando un pollice sotto i miei occhi.

"Perdonami." sussurro "Avrei dovuto parlarti. Avremmo dovuto parlarne. E non me ne sarei dovuta andare senza vederti prima."

"Quello era il mio pretesto." mi fa sorridere. "Ne parliamo dopo, si?" annuisco. Il cuore potrebbe scoppiarmi nel petto. E' qui. E' qui per me. 

"Scusate la maleducazione." parla poi. Una mano ad avvolgere il mio fianco, come ad accertarsi che io stia davvero bene. "Piacere di conoscervi, voi dovreste essere i genitori di Sky." sorride, uno di quei sorrisi affascinanti. Porge la mano a mia madre, che è più vicina e lo guarda con occhi fuori dalle orbite, prima lui poi me. Ricambia la stretta. "Elisabeth Adkins." balbetta lei mentre lui le sorride. "Harry Styles."

Passa a mio padre, gli porge la mano, lui lo guarda per un attimo troppo lungo prima di rispondere al saluto. "Thomas Adkins.. il padre della ragazza che non dovresti toccare nel modo in cui stai facendo."

Harry sorride ancora di più.. "Harry Styles: il ragazzo al quale avrebbe dovuto dire queste parole tempo fa."

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