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Non riesco a dormire.
Ogni volta che chiudo gli occhi è come se si accendesse un interruttore e la mia mente iniziasse a riempirsi di dubbi nuovi.
Il primo di tutti prende il nome di menzogna.
Alba.
Questa è una menzogna.
Io non mi chiamo Alba.
Ho mentito a Fred per tutto questo tempo, e adesso non ho il coraggio di dirgli la verità.
Se non lo faccio, però, domani verrò presentata come Alba e sarò costretta a mentire anche con altre persone.
Non voglio peggiorare la situazione, ma dirglielo potrebbe davvero migliorarla?
Dopotutto chi è Fred?
Non posso dire di conoscerlo, di potermi fidare di lui, solo perché questa sera a cena ho capito di non temere più le sue mani.
Riapro gli occhi e cerco di scacciare ogni pensiero, ma in questo modo non ho nessuna possibilità di addormentarmi.
E se nel suo ufficio avessi di nuovo una delle mie crisi?
E se non riuscissi ad evitare di tremare?
Come potrò scusarmi con Christian, dopo avergli fatto fare quella figura sul set, e dopo avergli negato il mio saluto?
Come potrò interagire con qualsiasi persona, se non riesco ad essere in pace neanche con me stessa?
Fred si è sbagliato, non sono io la ragazza da salvare.
È arrivato tardi, di nuovo.
Sono ormai troppo lontana, irraggiungibile, nessuno può più salvarmi.
Avrebbe dovuto esserci quella sera, sulla barca di Roger.
Sarebbe stato tutto diverso.
Mio figlio non sarebbe morto, Di Lauro non avrebbe potuto invitarmi a cena ed io vivrei ancora con i miei genitori...
Con i miei genitori...
Sarebbe davvero meglio, allora?
Sono così confusa che inizio a credere che trovarmi qui non sia poi una sfortuna così grande, questa casa è più accogliente della mia, e c'è almeno una persona che si preoccupa per me.
Non sento i miei genitori da troppo tempo, ma non mi mancano.
Non nego che mi piacerebbe sapere cosa sta accadendo loro, se mio padre sta bene, e se mia madre continua a vedersi con le sue amiche, ma non rimpiango quella vita così arida e vuota.
Roger mi ha donato una vita diversa, non migliore, semplicemente diversa.
Non so cosa accadrà adesso, ma chi può saperlo?

«Pronta?», mi domanda Fred, una volta saliti in macchina.
Sorrido timidamente e mi ritraggo sul sedile della macchina.
Dovrei dirgli che non mi chiamo Alba.
Sì, dovrei proprio dirglielo.
Mi osserva, e percepisco nei suoi occhi una vena di soddisfazione che mi rende entusiasta, so che almeno per una volta non lo sto deludendo.
Mi dispiace solo per ciò che accadrà.
Non credo di poter divenire sua figlia, non credo potrò esserlo, mai, e se gli dicessi di avergli mentito, so che tutto questo accadrebbe ancora prima.

«Ricordati che se vorrai tornare a casa basterà che tu me lo dica, per oggi resterai nel mio ufficio, se vorrai ovviamente potrai andare ovunque, ma se non vorrai sappi che lì dentro sei al sicuro», mi informa, mettendo in moto.
La guida di Fred ti fa sentire tranquillo, non è noiosa, né eccessivamente vivace.
Tutto è calmo e passa in fretta, proprio come vorresti che accadesse tutte le volte che devi sopportare qualcosa che non vuoi.
Arriviamo alla redazione in meno di venti minuti.
Nulla è cambiato dalla volta scorsa.
L'edificio moderno è imponente, pieno di vetrate a specchio che riflettono la luce del sole.

Entriamo da una porta secondaria, non c'è nessuno in giro, Fred mi accompagna subito verso l'ascensore.
Saliamo all'ultimo piano.
Quando la porta scorrevole si apre ci ritroviamo in un'enorme stanza luminosa, piena di scrivanie stracolme di cartelle, computer e televisori ultrapiatti alle pareti.
Le scrivanie sono divise da dei paraventi di vetro leggermente opacizzato.

Non appena usciamo dall'ascensore una donna si volta verso di noi, si alza dalla sedia e ci viene in contro.
«Signor Gardini ecco la proposta per la copertina del prossimo numero, dovrebbe valutarla nel minor tempo possibile, siamo in ritardo con ogni aspetto dell'uscita», informa con voce pulita e ferma.
Si volta verso di me e mi sorride, poi torna a guardare il suo superiore, in attesa di una risposta.
«Farò il possibile, grazie Giusy», risponde, afferrando la cartella e guidandomi fino al suo ufficio.
Mentre attraversiamo la stanza la maggior parte delle persone, una diecina in tutto, si gira verso di me e l'aria pulita della stanza si appesantisce all'improvviso.
L'ufficio di Fred è la mia boccata d'aria pulita, e quando entro dentro mi sento finalmente meglio...
Se non fosse per Christian che, seduto ad una delle due scrivanie presenti, mi osserva stupito e piacevolmente sorpreso.
Ecco, è arrivato il momento di cui Fred mi ha tanto parlato, quello di ritornare a casa.
Non sono pronta per scusarmi, per dare un'immagine di me che non conosco.
Non so cosa pensa di me questo Christian, probabilmente che sono una maleducata, ed allora dovrei affrettarmi a scusarmi per dimostrargli che si sbaglia, ma mi sento in imbarazzo, e non riesco ad evitarlo.
Mi volto verso Fred, evidentemente preoccupata.
«Lo so, avrei dovuto dirtelo, ma non ti devi preoccupare, Christian... Christian ed io non staremo tutto il tempo qui dentro, anzi, tra poco ti lasceremo sola», mi spiega Fred avvicinandosi un po' di più per non farsi sentire dal ragazzo.
Annuisco, ancora scossa, mentre sento i muscoli del collo irrigidirsi, come se non riuscissi più a muoverli.
«Se vorrai potrai chiudere la porta a chiave», aggiunge poi, nel tentativo di tranquillizzarmi.
Nel frattempo Christian si è alzato in piedi, ha chiuso delle cartelline che teneva sul tavolo, si è sistemato la giacca ed è venuto verso di noi.
«Vi lascio soli», ha affermato, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Non so cosa abbia capito, ma di sicuro non gli è sfuggito il fatto che io mi sento a disagio in sua presenza, e questo non fa che aumentare il mio imbarazzo nei suoi confronti.
Fred mi accompagna fino allo stesso divanetto dove mi sono seduta la volta scorsa e mi fa accomodare.
Non si siede accanto a me, invece si limita ad osservare fuori dalle vetrate che danno sull'enorme giardino.
«Dopo tutto questo tempo credo di aver capito una cosa», inizia, senza voltarsi verso di me.
Appoggio la schiena allo schienale ed inizio a torturare il bordo della mia maglietta, non riuscendo a perdonare il mio comportamento maleducato, quasi, nei confronti di tutte le persone che incontro.
«Si attiva un meccanismo strano, nella mente di una persona, dopo un trauma», aggiunge Fred, mentre io sento che il mio mondo non cambierà mai più.
Resterò per sempre intrappolata tra quelle mura di vergogna e timore che ho ormai dipinto con l'aspetto del mio corpo.
«Come se il mondo si richiudesse su se stesso, ogni cosa perde di importanza e...», la paura, è questo che non riesco ad evitare.
E spesso la paura folle che accada qualcosa mi fa comportare come se quella cosa fosse già accaduta.
«Si torna... bambini. Bisogna ricominciare tutto da capo, ricostruire un mondo fatto solo da noi stessi, e solo dopo che si è capito che si sopravvive anche da soli», ed è questo che sto facendo.
Mi comporto come se tutto ciò che temo fosse già accaduto, ed è proprio qui lo strazio.
È davvero accaduto, eppure lo temo come se potesse accadere di nuovo, e di nuovo ancora, e ancora, fino a quando di me non resterà che qualche brandello destinato a confondersi con il fango che ci ostiniamo a calpestare ogni giorno, con la pretesa di rimanere puliti.
«Solo allora, ci si accorge degli altri e si torna a comprendere che per vivere si ha bisogno di qualcuno, oltre a sé stessi», la cosa più strana però, è che prima che accadesse non lo temevo, né lo immaginavo, ed è proprio per questo che non mi faceva paura.
È tutto sballato.
Il treno ha deragliato.
L'aereo ha finito il carburante.
E la mongolfiera si sta facendo guidare dal vento in terre lontane.
Troppo lontane.
La barca ha perso i remi.
Gli uccelli non trovano più le ali.
L'uomo si eleva ogni giorno più in alto, senza prepararsi, però, alla caduta che lo aspetta, quella verso gli abissi più profondi.
Devo ricostruire il mio mondo, un mondo fatto solo da me stessa, per poi poter inserire gli altri, e tornare a vivere con loro.
«So che non è semplice, ma io ce l'ho fatta, perché non dovresti riuscirci anche tu?», Fred si volta verso di me, ed io torno a prestare attenzione alle sue parole.
Le mani smettono di attorcigliare l'orlo della maglia e tutto sembra calmarsi.
Credo di aver capito.
Non so se ci riuscirò.

Fred mi si siede accanto.
«Ognuno ha dentro di sé una forza che non conosce, perché nessuno gli ha mai insegnato ad usarla, ma se solo volessi, potresti essere la ragazza più felice al mondo. Ogni persona ha le capacità per essere la persona più felice al mondo», mi assicura, posando i suoi occhi nei miei occhi, con la delicatezza di cui solo lui è padrone.
«Averti trovata mi ha reso l'uomo più felice al mondo», afferma, mettendomi a disagio.
Confessioni del genere non mi fanno sentire lusingata da troppo tempo ormai.
«Non voglio nulla da te, Alba, dovresti saperlo», precisa, essendosi accorto del mio irrigidimento.
Mi alzo in piedi, stanca, scossa e disperata.
«Non mi chiamo Alba!», grido, nel centro della stanza, le braccia aperte che implorano pietà, ascolto, comprensione.
Fred spalanca gli occhi ma rimane immobile.
«Non sono tua figlia e non potrò esserlo mai! Mi chiamo Golden, e ho sofferto troppo per poter credere ancora nelle fiabe!», il suono delle parole sembra estraneo alle mie orecchie.
Come se le labbra avessero fatto scivolare fuori parole di altri.
Non avrei dovuto dire nulla di ciò che ho detto.
Ma quante altre cose non avrei dovuto fare, quante altre volte avrei dovuto fermarmi prima, e quante altre volte ancora non riuscirò ad essere chi invece dovrei?
Lascio andare le braccia lungo i fianchi, mentre sento gli occhi inumidirsi pericolosamente.
Fred si alza dal divanetto e viene verso di me.
Questa volta non si tira indietro, allunga le mani e senza più nessun timore mi abbraccia.
«Hai bisogno di dire la verità, Golden, hai bisogno di tornare ad essere te stessa...», sussurra alle mie orecchie, come se fosse davvero mio padre.
«Ed io non ho nessuna fretta, perché non c'è persona al mondo che possa considerarsi davvero felice se non ha compreso cos'è il dolore», le sue braccia sono calde e mi avvolgono completamente.
Nonostante tutto mi sento meglio.
Vorrei che non fosse così, perché allo stesso tempo mi sento più tranquilla, ma anche più debole, avendo raccontato troppo di me ad un uomo che conosco solo in parte, ma che riesce a capirmi.
Vorrei riuscire ad essere quello che dice lui.
Quella bambina bisognosa di costruire prima il suo mondo, per poi poter tornare in quello reale.
Lo vorrei per me.
Lo vorrei per lui.
È qualcosa che renderebbe felici entrambi, ma che io non riesco a compiere.

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E auguro solo buon fine settimana a tutti dreamers, con 1850 baci parolosi solo per voi😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Where stories live. Discover now