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Arrivo cinque minuti in ritardo e non so perché, ma a sgridarmi trovo il notaio in persona, non credevo fosse una cosa così grave, essere cinque minuti in ritardo, ma forse lo è perché è il mio terzo giorno di lavoro.
«Venga nel mio ufficio», mi dice il signor Di Lauro, indicandomi la porta.
Lo seguo, a testa bassa, sotto lo sguardo di Giorgia e Claudia.
Il notaio richiude la porta alle mie spalle, poi va a sedersi ad una delle due scrivanie presenti nella grande sala.
Un parquet scuro e lucido ricopre tutto il pavimento della stanza, alle pareti una carta da parati di un color senape, damascata.
Un'enorme libreria alla mia sinistra, una scrivania alla mia destra ed una di fronte a me, quella del signor Di Lauro.
In fine due poltroncine ed un tavolinetto con sopra una bottiglia da liquore mezza piena, in un angolo della stanza.
Ci sono tre porte che potrebbero condurre ovunque, proprio come immaginavo quando pensavo che dietro la porta del suo ufficio si nascondesse un mondo.

«Venga, si sieda», mi invita, allungando il braccio vero la sedia di pelle posta di fronte alla sua scrivania.
Lo ascolto e mi siedo, titubante, incapace di comprendere il suo comportamento.
«Essere in ritardo il terzo giorno di lavoro non da una buona impressione...», inizia, congiungendo le proprie mani sul tavolo.
Siede composto, la schiena dritta a riempire completamente lo schienale di pelle della sua sedia girevole.
È un bell'uomo, o meglio, lo è stato, deve avere un po' più di cinquant'anni, ha una fede al dito e sono sicura anche dei figli che lo aspettano a casa, figli che potrebbero avere la mia età.
La barba curata e i capelli leggermente brizzolati, gli occhi marroni sono profondi e il naso dritto si addice bene alle guance un po' scavate.

«Mi scuso per...», cerco di dire, ma lui mi interrompe.
«Non importa...», conclude, ed io mi domando allora il motivo per il quale mi abbia fatta venire qui, se non per avvisarmi che non devo più essere in ritardo.
«Ha famiglia, lei, Golden?», domanda, e mi sorprendo del fatto che mi chiami per nome, ma forse vuole solo mettermi a mio agio, perché, va detto, il suo aspetto non aiuta molto.
Curato e impeccabile, come quello di Claudia, e mi fa sentire inadatta, anche se indosso il tubino nero delle altre segretarie, mi sento ugualmente diversa, più insignificante, meno a posto.
E non posso fare a meno di ricordarmi del bambino che cresce dentro di me, e non nel grembo delle altre, e non posso dimenticare neanche che Roger ha violentato me, e non le altre...
Sento gli occhi inumidirsi e mi costringo a tornare nella realtà, ricordandomi che devo ancora una risposta al signor Di Lauro.
«Sì», rispondo, credendo di aver compreso la sua domanda.
«Marito? Figli?», continua, e capisco che non voleva sapere se avevo ancora i genitori, ma se avevo una famiglia mia.
Mi guardo la mano sinistra e trovo l'anello di Roger ancora al mio dito.
Non posso credere di non averlo mai tolto!
Mi sento stupida e incapace di badare persino a me stessa.
Ma, in fondo, che importa?
È solo un anello che potrebbe essermi utile se rivenduto, e credo che lo rivenderò il prima possibile.
Come farebbe mia madre...
Non voglio pensare a lei ora.
Vedo il signor Di Lauro osservare lo stesso punto della mano che sto osservando io.
«No», rispondo comunque, anche se potrebbe sospettare che gli stia mentendo.
«Fidanzata?», continua, non capisco perché tutte queste domande, avrebbe dovuto farmele quando sono venuta al colloquio per essere assunta...
Forse, però, vuole solo trovare un modo per giustificare il mio ritardo...
Avrei dovuto dirgli che ero sposata e avevo un figlio, almeno la famiglia mi avrebbe permesso di dare un senso al mio stupido ritardo.
Ma quale diciottenne lo sarebbe?
«Sì», rispondo, sentendomi male.
Mi crede fidanzata con l'uomo che mi ha regalato l'anello, lo stesso che mi ha usata e messa incinta per poi andarsene senza farsi più sentire, o rivedere.
Non mi ha mai chiamata in queste settimane, non che mi aspettassi il contrario, ed in fondo mi avrebbe fatto piacere una sua sorpresa del genere?
No, almeno su questo ha fatto bene a scomparire, e non sarò di certo io a cercarlo, neanche per dirgli del figlio o, ancora più assurdo, per accontentare la richiesta di mia madre.
«Allora forse è per lui che ha fatto tardi?», domanda.
Dovrei dirgli la verità, che mi sono trasferita oggi, e quindi ho avuto un po' da fare questa mattina?
No, sarebbe troppo complicato.
«Sì», annuisco.
Il signor Di Lauro mi sorride amichevole e poi si alza in piedi.
Mi viene accanto e così mi alzo anche io.
«Spero non accada più, cinque minuti non sono poi molti, è vero, ma si inizia così, ed io, per lei, ho grandi cose in mente...», mi fa capire, porgendomi la mano.
La afferro e lui la stringe in una presa calda e forte.
«Può andare», conclude, lasciandomi la mano ed indicandomi nuovamente la porta.
Sto per aprirla quando la sua voce mi coglie di sorpresa e resto con la mano sulla maniglia, senza abbassarla.
«Spero che lunedì mattino sarà qui dieci minuti in anticipo, signorina Golden», e adesso ha davvero concluso.
Con l'impressione di essere stata bastonata proprio all'ultimo istante esco dall'ufficio e torno al mio posto, insieme a Giorgia e Claudia che mi guardano con circospezione.
Ho l'impressione che loro immaginino cosa sia accaduto nell'ufficio, ma che immaginino la cosa sbagliata, e non so neanche quale sarebbe, la cosa sbagliata.
Indipendentemente da ciò che pensano loro, o da ciò che dovrei pensare io, c'è solo una cosa che non mi abbandona.
Mio figlio.

Non è ancora un bambino, ma il tempo passa in fretta, e lo sarà prima che io abbia preso una decisione, se non lo faccio subito.
Dovrei tenerlo, so che dovrei, sarebbe la cosa giusta, per lui.
Ma cos'è la cosa giusta?
Per chi sarebbe la cosa giusta?
Per me?
Non ne sono poi così sicura...
Per lui?
Ma se l'unica certezza è che io non sono in grado di occuparmi di un bambino, al momento!
Ma allora per chi sarebbe giusto?
Per il mondo.
Sì, per il mondo sarebbe la cosa giusta da fare.
Per le persone sarei una "brava ragazza", che nel peccato sceglie la via che potrebbe redimerla.
Ma io sono davvero il mondo? Io sono le persone?
Non lo voglio questo bambino, non l'ho mai voluto, né chiesto.

«Sta squillando il telefono».
Sento una mano che mi scuote.
«Golden, sta squillando il telefono», ripete Claudia, che improvvisamente compare davanti ai miei occhi.
Mi indica l'apparecchio.
Sbatto gli occhi più volte, prima di rispondere.
«Pronto», dico, senza capire bene cosa dovrei fare.
«Ho urgente bisogno di parlare con il notaio Di Lauro, è davvero importante, quando lo posso trovare?», mi domanda una donna dall'altra parte della cornetta.
«Ah... sì, va bene, capisco... aspetti un attimo... ha un'ora libera giovedì, appena dopo pranzo».
«Non è possibile prima?», domanda la donna.
«No, mi dispiace», rispondo.
La donna accetta allora venerdì e dopo avermi lasciato i suoi dati mi saluta.
Riaggancio e mi ritrovo Claudia davanti.
«Pronto?», ripete.
«Pronto! Tu dici pronto! Non te l'ha detto Di Lauro che devi dire: Buongiorno, ufficio notarile Di Lauro?», mi rimprovera, incrociando le braccia sul petto.
La osservo, sapendo già di aver sbagliato, non ero più qui dentro, ed esserci dovuta tornare per una telefonata non è il massimo.
«Lo so, ero distratta», cerco di giustificarmi, ma a lei non importa.
«Distratta, dici?!», ripete, scettica, «chi era?».
«Non lo so», ammetto, vergognandomi di non averlo chiesto.
«Non so cosa Di Lauro veda in te, ma io non vedo niente!», conclude, allontanandosi.

Vado a sedermi alla mia sedia e osservo la lista degli appuntamenti di Di Lauro, fino a quando non mi si annebbia la vista e sono costretta a distogliere lo sguardo, per posarlo sul sorriso aperto di Giorgia, sempre più fastidioso.
Per il resto della giornata cerco di concentrarmi sul lavoro, ma non ci riesco, perché non ho nessuna certezza, quando invece vorrei tanto che questa sera, quando rientrerò in quella casa sconosciuta, ci fosse una persona amica ad aspettarmi.
Qualcuno di cui fidarmi, sul quale riporre le mie preoccupazioni per poter avere in cambio un po' di sicurezza.
Se ci fosse qualcuno, ne sono sicura, saprei come comportami, saprei che quel qualcuno mi accetterebbe qualsiasi fosse la mia decisione.
Ed invece ci sono solo io, e so che, in qualsiasi modo andrà, qualsiasi decisione prenderò, io non potrei mai accettarmi.
In ogni modo perderò qualcosa, la mia umanità, o la mia libertà.
Ma si può davvero essere liberi?
Liberi da cosa?
O di fare cosa?
Ed umani...
Umani come Roger, o come mia madre?
Chi sono gli umani, chi sono io, tutto questo ha davvero senso?
Non vedo l'ora di andarmene, di tornare a casa, non nel mio appartamento, ma a casa, lì dove si può davvero stare bene.
Per mia sventura, però, non so dove sia questa casa.
Nei sogni, forse.
Nelle fantasie, nelle illusioni, nelle speranze... ovunque sia, ora, è troppo lontana anche solo per essere intravista.
Forse l'umanità ha solo bisogno di tempo...
Ma di quanto tempo?
In ogni modo, troppo.
Se l'uomo è la più grande delle creazioni di Dio, se l'uomo è la creatura a somiglianza di Dio, e per nascere impiega solo nove mesi, significa che le più grandi creazioni dovrebbero essere completate in nove mesi, o no?
Nove mesi per tutte le cose importanti.
Ma non va mai così...
Mai.

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Abbiamo conosciuto anche il notaio Di Lauro, come vi è sembrato?
1620 baci per voi dreamers!😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Where stories live. Discover now