63

69 11 12
                                    

Credo di essermi addormentata, perché quando riapro gli occhi il sole è così alto nel cielo che non possono essere ancora le nove del mattino.
Il mio stomaco brontola e penso sia per questo che mi sono svegliata.
Mi alzo in piedi, ancora un po' addormentata, riprendo le mie cose e torno dentro.
Dall'enorme orologio di vetro appeso alla parete dell'entrata vedo che sono già le dodici e mezza, è ora di pranzo.
Vado verso l'ascensore così da poter raggiungere la sala da pranzo.

Prima di schiacciare il pulsante del piano però, mi ricordo di Christian, mi ha detto che mi avrebbe aspettata nel suo ufficio.
È tardi, forse è già andato, ma voglio controllare lo stesso.
Forse sarà la prova definitiva di un qualcosa al quale non so dare nome.
Raggiungo l'ufficio di Christian, ma non entro.
Lui è sicuramente dentro, ne sento la voce, e sento anche che non è solo.
Di nuovo Vanessa.
È così strano, ritrovarmi per due volte consecutive, nello stesso giorno, ad origliare una loro conversazione.
E non so neanche se sia educato.
Forse dovrei andarmene.
Christian mi ha detto che mi avrebbe aspettata e lo ha fatto, per me è sufficiente sapere questo.
O forse non mi ha aspetta, è ancora nel suo ufficio solo perché è stato impegnato...
Dopotutto, se avessero voluto che nessuno li sentisse, avrebbero anche potuto parlare più piano.
«Non l'ho mai fatto perché tu non sei lei!», afferma Christian.
«Lo so, so di non esserlo, ma ora credo di capirlo ancora meglio! Di me non ti sei mai preoccupato così tanto!», Vanessa sta quasi urlando.
«Ho fatto male a lasciare che ti confidassi con me, ho sempre fatto male! E ho fatto male a credere che un giorno sarebbe potuto essere tutto diverso!», continua, dopo aver ripreso fiato.
«Vanessa, non fare così, lo sai che ti voglio bene, che te ne ho sempre voluto, credevo fosse lo stesso anche per te...», non riesco più ad ascoltare, il buon senso mi dice di andarmene, anche se la curiosità non vorrebbe altro che essere esaudita.
Mi volto e vado in sala da pranzo.
Mi siedo da sola ed inizio a mangiare, dopo essermi costretta, per questi pochi minuti, a non pensare.
Ora invece, non riesco più a tenere a bada i miei pensieri.

Di chi stavano parlando Vanessa e Christian? E perché Vanessa era arrabbiata? Forse ho fatto bene, fin dalla prima volta che l'ho visti insieme, a credere che a lei non sarebbe dispiaciuto approfondire il rapporto con Christian.
Mentre Christian è sempre stato un enigma in questo.
Non ho mai capito fino a che punto gli importasse degli altri.
E non credo sarò io a capirlo, se lui non me lo spiegherà, e se anche me lo spiegasse, non so se sarei capace di riconoscere una menzogna.
Ed ecco che torno ad essere diffidente e distaccata, ma forse è meglio così, che immersa fino al collo nelle cose.
Ho già finito il mio piatto di pasta, quando vedo Christian e Vanessa entrare insieme nella sala, ma andare in direzioni opposte.
Non appena Christian mi vede mi raggiunge, osteggiando un sorriso, anche se mi rendo conto che la discussione con Vanessa non è finita con una pace.
«Ti ho aspettata nel mio ufficio...», mi ricorda, rattristato, e non so più se dal fatto che non sono andata, o dal diverbio con Vanessa, con la quale sembra avere un rapporto speciale.
Ed io non so cosa rispondere.
Se ammettessi di essere andata, capirebbe anche che ho ascoltato la sua conversazione, se gli dicessi di non essere andata, invece, penserebbe che non mi importa nulla di lui.
Ed in fondo, sarebbe poi così male?
Alzo le spalle e lascio che capisca ciò che vuole.
Lui sospira e si lascia andare sullo schienale della sedia.
Non riesco più a guardarlo in volto, mi concentro sul mio piatto e spero che sia lui il primo ad aprire bocca e ad iniziare una conversazione su di qualcosa di futile, come l'armonia dell'arredamento di questa stanza.

«Vorrei poter partire subito per New York, Golden, vorrei essere già su quell'aereo con te e sapere di non dover tornare mai più da solo...», riflette, ma so che vuole che io lo ascolti.
Le sue parole arrivano in un posto speciale, credo in quell'angolo in cui mi ostino a nascondere i miei pensieri più sinceri, quell'angolo che fino a poche ore fa credevo irraggiungibile.
Ed invece Christian c'è proprio dentro.
E non ha dato nessun preavviso della sua presenza.
Non ha bussato alla porta.
E non ha chiesto permesso.
Eppure io l'ho lasciato entrare.
Non dirò mai una cosa del genere a lui, e non gli lascerò mai credere che lui abbia trovato quella parte di me, ma lo ha fatto.
«Manca solo domani», affermo io, atona, senza trasparire emozioni.
«Lo so, ma vorrei che domani non ci fosse», il suo tono di voce si fa preoccupante.
È così serio, e convinto, che io inizio a credere che la discussione con Vanessa sia stata più grave di quanto credessi.
«Cosa è successo?», domando, sinceramente interessata.
Scuote la testa.
Continuo ad osservarlo, nel tentativo di capire cosa c'è, ma lui abbassa lo sguardo.
«Qualcosa non va?», domando di nuovo, sentendomi una scema, nel parlare da sola.
Christian continua a sfuggire al mio sguardo.
Io bevo un sorso d'acqua dal mio bicchiere e poi torno con gli occhi su di lui.
D'improvviso alza il volto, ed il suo sguardo bacia il mio, inaspettatamente, ma nel più intenso dei modi.
Due calamite fino a quel momento troppo lontane che, arrivate ad una certa vicinanza, si abbracciano in meno di un secondo, e coprono tutta la distanza che le divideva in un semplice e strettissimo abbraccio.
«Golden, dimmi che non ti sono indifferente, ti prego», mi supplica, sporgendosi sul tavolino, e coprendo la distanza che ci divideva.
I suoi occhi davvero vicini ai miei, e i miei pensieri ormai troppo lontani da noi due.
Roger.
È questo ciò a cui penso, è in questo luogo che è andato a finire il mio cervello, ed i miei ricordi.
Proprio lì.
Lì dove Roger ha colpito più forte, lì dove Roger mi ha fatto la stessa richiesta, lì dove io non avrei mai dovuto stare.
Mi irrigidisco e lascio cadere la forchetta nel piatto con un sonoro tintinnio che mi fa scuotere.
Christian si allontana velocemente, accorgendosi dell'inaspettata vicinanza tra di noi.
Non ho più nessuna parola da pronunciare, non ho più una lingua, non ho più una voce.
Mi resta solo l'immagine di Roger davanti a me, e delle sue parole, che all'epoca mi sembrarono così dolci e disperate da farmi cadere ai suoi piedi, da farmi schiava di un sogno che non sarebbe mai stato qualcosa di diverso.
Non voglio credere che Christian sia come Roger, e pensavo di essere più forte, ma evidentemente mi sbagliavo.
Ho ancora paura, e una semplice frase come questa può mettermi i brividi e costringermi a ricordare.
Ho ancora paura e una semplice frase come questa può uccidermi, adesso più che mai.
Perché ho ancora paura.

«Scusami, non dovevo», Christian si alza dal tavolo e se ne va, senza voltarsi indietro, lasciando me con un peso nel petto che dubito questa volta se ne andrà tanto facilmente.
Sono stata picchiata troppe volte.
Dovrei dire basta.
Eppure non ci riesco
Nonostante il peso nel petto vorrei raggiungere Christian, spiegargli tutto, ma non ce la faccio.
Perché Christian non è nessuno.
Perché Christian non è Fred.
E neanche a Fred ho avuto mai il coraggio di dirlo.
Ed allora è così che va.
Muoio.
Per l'ennesima volta.

__________________________________________________________

Eeem... le cose si sono un po' intrecciate🤔 ma aspettiamo il viaggio a New York a questo punto😜😂
Io vi ricordo come sempre l'altra mia storia completa sul profilo, JUNIPER e vi lascio ben 1310 baci DREAMERS😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘
A domani❤

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Where stories live. Discover now