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«Ho visto una casa, ieri, è bellissima Roger, sarebbe perfetta per noi, non molto lontana da quella dei miei genitori, giusto qualche chilometro, e poi da lì la vista è davvero bella, nonostante sia vicinissima al centro di Roma...».
«Ah, sì?», fa lui, mentre mi stringo al suo fianco, sul divanetto di pelle nera del bar in cui siamo venuti a prendere un caffè.
«Certo», rispondo, sicura di me.
Roger mi guarda interrogativo, quasi non si fidasse di me.
«Andiamo a vedere questa casa allora...», accetta, alzandosi in piedi.
«Adesso?», chiedo, incredula.
«Quando altrimenti?», replica lui, prendendomi per mano e tirandomi fino a farmi alzare in piedi.
Gli sorrido e mi faccio accompagnare alla macchina.
Gli indico la strada da prendere e partiamo.

Anche solo il cancello, in fondo al viale alberato, mi incanta, il suo ferro battuto sembra quasi ricamato e la sua tonalità di rosso è allo stesso tempo calda e brillante, ha solo bisogno di un piccolo restauro...
Scendo dall'auto e vado ad aprirlo con la chiave che a fatica sono riuscita a farmi lasciare dall'agenzia.
Proseguiamo lungo il viale di querce e castagni, fino al laghetto di fronte alla casa, al centro del quale è posta la statua di una sirena sdraiata sulla roccia, con ai suoi piedi un uomo che sta uscendo dall'acqua, purtroppo ora melmosa.
Oltre lo stagno un altro viale che conduce all'entrata, che si raggiunge attraverso due scalinate a semicerchio.
Prendo Roger per mano e lo tiro dietro di me, ansiosa di mostrargli la bellezza degli interni.
L'entrata è più grande di quella di casa mia e le pareti sono affrescate, disegni di angeli sul soffitto e alberi e giardini alle pareti.
Oltre c'è una saletta non molto grande, ma sarebbe perfetta per me, alla destra invece troneggia una cucina enorme, adatta a qualsiasi cuoco o cuoca che si rispetti.
I banconi bianchi sono impolverati e ricoperti da teli trasparenti, ma non possono frenare la mia fantasia, che riesce già a vedere come la casa sarà dopo.
Adiacente alla stessa saletta ci sono altre tre stanze, una potrebbe diventare lo studio di Roger, mentre le altre due fungono da salotto e sala da pranzo.
Il divano della sala è vecchio, il tavolo sembra aver visto momenti migliori e lo stesso vale per le sedie, ma sembra tutto ricoperto da un velo di magia.
Sono stanze spaziose e le finestre enormi dai telai in legno fanno venir voglia di restare affacciati per ore, o di guardare la casa dal giardino.
In un'altra stanza, adiacente al salotto, c'è la scala che porta al piano di sopra, composto da quattro camere e quattro bagni.

«Non ti piace?», domando a Roger, mentre scendiamo le scale, insospettita dal suo silenzio.
«Sì, sarebbe perfetta, ma c'è molto lavoro da fare...», mi fa capire lui.
Ma che importa del lavoro? Non abbiamo problemi economici, in meno di un mese potremmo rimettere tutto a posto.
Riesco già ad immaginare come sarà alla fine, ma forse lui non è dotato della mia fervida immaginazione...
«Che importa del lavoro... così potremmo renderla ancora più nostra», ribatto io.
Roger mi si avvicina, continuando a tenermi stretta la mano.
«Con te qualsiasi casa sarebbe perfetta», sussurra, avvicinandosi al mio orecchio, e sfiorandomi il collo con la lingua.
Come può la mamma dire che Roger non mi voglia bene?
Sorrido e lo allontano da me.
«Sono sicura che non lo pensi, anche per te la casa è importante, ma non mi arrabbierò», dico io, allontanandolo e uscendo in giardino.
«Immagina i nostri figli giocare qui, e noi seduti là, sotto la veranda, che li guardiamo mentre ci sussurriamo quanto siamo stati fortunati a trovarci...», inizio ad immaginare, mentre comincio a correre sull'erba forse un po' troppo alta, ma che, nella mia mente, è verde, fresca e curata, proprio come quella del cortile di casa mia.
E dovrà essere sempre così.
Il sole splenderà sempre sopra i nostri figli e per loro ci saranno solo giornate di sole e pomeriggi da passare in compagnia, tra giochi, tè e arrampicate sugli alberi, e io riderò della loro spensieratezza, mentre il mio cuore troverà finalmente pace nel petto.
Tutto questo però accadrà tra almeno cinque anni, non voglio dei figli adesso.
Per il momento mi basta Roger e la sua compagnia è la migliore che possa chiedere.
«I nostri figli?», domanda Roger, dubbioso, alzando un sopracciglio.
«Sì, non ne vuoi?», l'idea che lui possa non desiderare bambini mi mette un po' di paura.
«Certo, certo che ne voglio, ma... non ti sembra un po' presto?», dice, fingendosi preoccupato, o forse lo è davvero.
«Prestissimo, neanche io voglio averli adesso, ma verrà il momento, prima o poi ci annoieremo a stare soli...», osservo, avvicinandomi a lui e stringendogli le mani con le mie.
Roger abbassa il viso di qualche centimetro e poi le sue labbra trovano le mie, riscaldate dal sole estivo, mentre l'erba mi solletica le caviglie e il verso degli uccelli mi accarezza le orecchie.
D'improvviso le labbra di Roger si fanno più insistenti, e la sua lingua trova la mia prima ancora che io possa accorgermene.
So già dove vuole andare, ma spero di sbagliarmi e per questo mi aggrappo a lui, incurante di ciò che potrebbe accadere.
Roger mi stringe con una mano aperta al centro della mia schiena, ed io trovo il suo petto caldo e accogliente, mentre con l'altra mi massaggia il collo e la spalla sinistra, ricoperta dalla spallina dell'abito violetto che indosso.
Io unisco le mani sulla sua nuca e poi trovo i suoi capelli, corti e soffici, dentro ai quali infilo le mie dita, prima che il bacio di Roger si sposti lì dove pochi istanti fa c'era la sua mano a massaggiare la spalla, e dove adesso c'è solo la mia pelle nuda, scoperta dalla spallina che ha deciso di scendermi lungo il braccio.
E non passa neanche un minuto che anche l'altra spallina abbandona il suo posto per lasciarsi andare sulla pelle del braccio.
Voglio Roger, lo voglio davvero, ma non qui, non così, nel giardino incolto di una casa che non è neanche ancora nostra.
E non voglio neanche fermarlo, così lo lascio fare, permetto alle sue mani di sfiorarmi i seni, dapprima con delicatezza, quasi fossero carezze, e poi con più intensità, fino a quando le sue mani non si spostano sui miei fianchi, fino a quando non arrivano al mio fondo schiena ed esercitano una leggera presa, ed allora io faccio un saltello e mi abbraccio a lui, stringendolo per la vita.
Roger mi tiene stretta a sé e si allontana dall'erba incolta, fino a trovare la parete esterna della casa, ricoperta di intonaco bianco con sfumature color panna, date dal tempo.
So che non manca molto, ma non voglio ancora che si fermi, voglio sentire fino a che punto posso resistere, fino a quando sarò in grado di fermarmi.
Per adesso lascio che la mia schiena sia stretta contro il muro e che le sue mani siano sui miei fianchi a far presa per evitare che io cada.
Lo stringo a me e gli bacio il collo, mentre mi aspetto che lui vada avanti.
I suoi baci si fanno più insistenti, prima sul collo, poi sul seno ormai per metà scoperto, e poi lo sento tra le gambe e capisco che forse è il momento di dirgli basta.
«Roger...», dico, ma lui fraintende il mio richiamo per un sussurro di piacere.
Allora poso le mie mani sul suo petto e ripeto il suo nome.
Roger alza lo sguardo, svogliato.
«Roger, non credo... sia il caso, qui», spiego, allontanandolo ancora un po' di più.
Roger mi lascia andare, stizzito, ed io torno con i piedi per terra, letteralmente, mentre il mio cuore non smette di battere all'impazzata.

«Per te non è mai il caso!», sbotta, allontanandosi, dandomi le spalle.
È la terza volta che lo rifiuto, ma voglio essere sicura di quello che faccio, non voglio essere come tutte le altre, non voglio che parli di me ai suoi amici come una facile.
«Roger...», lo richiamo, facendomi vicina.
«A volte dubito che mi sposerai mai, forse non serviva neanche venire a vedere questa casa! Se non vuoi fare l'amore con me, dimmelo, ma non credo che in questo modo potrai mai avere dei figli!», esclama, allargando le braccia in segno di resa.
«Roger io... voglio fare l'amore con te, ma non qui, non... in un campo, ma ti assicuro che lo voglio», cerco di rassicurarlo, non avevo mai provato a mettermi dalla sua parte, ma forse ha ragione.
«Non mi servono le tue rassicurazioni», risponde, prima di riafferrarmi e baciarmi di nuovo, con la stessa intensità devastante di prima, ma senza andare oltre.
Mentre siamo in macchina per tornare a casa riesco a convincerlo definitivamente a comprare la casa e a decidere una data per il matrimonio.
Non voglio che entri l'autunno, quindi dovremo sposarci entro il ventuno settembre, ma noi abbiamo deciso per il trenta agosto, tra esattamente quarantacinque giorni.

Quando torno a casa cerco mia madre per informarla delle novità.
La trovo in giardino, come sempre nel pomeriggio.
Oggi, però, non ci sono le sue amiche a farle compagnia.
Mi siedo su di una poltroncina accanto a lei e inizialmente la osservo ricamare.
Mia madre alza il viso verso di me, facendomi capire che è disposta ad ascoltare, ma per il momento sono io che scelgo di non parlare.
Dopo un po', quando il sole sta ormai per scomparire dietro la casa, decido che è il momento giusto di raccontarle le novità.

«Abbiamo scelto la data», inizio.
La mamma sbaglia un punto e si punge.
So che credeva me la sarei fatta passare, ma si sbagliava.
Io e Roger ci sposeremo.
«E trovato una casa», aggiungo, senza tirarla troppo a lungo.
«Anche una casa?!», ripete, scettica, mettendo da parte tela e ago.
«Sì, è a qualche chilometro da qui, ed è bellissima, sono sicura che piacerà anche a te, ci sono...», mi interrompe.
«Chi la pagherà?», domanda, appoggiandosi allo schienale della sua poltroncina e osservandomi dall'alto in basso.
«Roger domani parlerà con la sua banca», rispondo, felice di averla sorpresa.
«Quindi sarà lui ad acquistarla?», si appoggia le mani in grembo e aspetta che io le risponda, con aria di chi sa già come andrà a finire, neanche avesse una palla di vetro sul comodino, al posto della abat-jour.
«Sì», cos'altro posso aggiungere?
«Spero che la fine di questo sogno arrivi il prima possibile, così che tu la smetta di dire queste sciocchezze», conclude la mamma, prima di alzarsi e andarsene.

Ricordo che prima di tornare a casa non ho fatto altro che pensare a quante cose avevo da dirle, quante novità, mentre adesso non ricordo neanche più perché le ho parlato.
Spero solo che almeno papà la prenda meglio, questa sera.

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DREAMERS!!!
E anche la casa è stata scelta😏😏 cosa ne pensate?
Vi aspetto nel prossimo capitolo inviandovi 1839 baci, come le parole di questo capitolo😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Where stories live. Discover now